Capitolo 16
Anche sui tetti rossi di
Pagliara erano calate le tenebre , nonostante la bella stagione fosse ormai
alle porte il clima quella notte era polare. Il chiarore che filtrava dalle
poche finestre ancora illuminate proiettava ombre sinistre sul selciato e
rendeva il paesaggio spettrale. In una
di quelle povere case mamma Lucia , sola,
moriva .
Giaceva nel letto immobile, sul volto smagrito affiorava il
pallore del trapasso ed era già dipinta la fine , il naso era affilato, le
labbra secche e nerastre . Il
respiro sempre più corto scandiva quei suoi ultimi istanti di
vita mentre con lo sguardo appeso al
cielo aspettava rassegnata la mano
pietosa della morte che, chiudendole
quegli occhi tanto stanchi, ponesse finalmente termine alla sua
sofferenza.
La mano era fredda ,
contratta dagli spasmi , tra le dita scarne stringeva il rosario , il petto si
alzava e si abbassava lentamente a tempo con il respiro affannoso e il ventre si contorceva ferito
da fitte sempre più acute. Restò ancora
qualche minuto a fissare il soffitto, riuscì faticosamente a voltare il capo ,
indirizzò lo sguardo verso il crocifisso appeso alla parete, gli occhi si
fecero vitrei , riuscì a chiuderli poi spirò.
Il cigolio della finestra
schiusa da un’ alito di vento si confuse con l’ultimo lamento, mamma Lucia si
era spenta chiudendo finalmente quella vita di stenti, sulle labbra era rimasta
la traccia di un sorriso.
Fuori intanto la Luna,
distratta dal chiarore di una manciata di stelle, non si era accorta di niente , continuava ad illuminare anche
quella finestra . Un raggio s’intrufolò
dalle grate, rischiarò le pareti e si posò sul sudario , mamma Lucia si era
addormentata per sempre e nel pallore del viso i lineamenti apparivano
composti.
Quando il mattino successivo
Linda entrò nella stanza, per prepararle la colazione ed aiutarla a
vestirsi , come concordato con Gabriele
prima della sua partenza , non si accorse di nulla . Aprì la finestra per far
entrare il tepore del sole già alto e si accostò alla sponda del letto.
“Sveglia comare Lucia! Sveglia! Sono già le otto!”
L’espressione del volto di
mamma Lucia era serena, Linda , che nel frattempo aveva già riempito il catino
d’acqua, preparato le vesti e spalancato le persiane , non considerò come tanta
tranquillità fosse del tutto innaturale.
“Comare ! Allora!? Chi va a
dormi’ coi varzitti , se sveglie coglie cuie sporche!”
Niente. Mamma Lucia
continuava a dormire.
Linda stava per perdere la
pazienza, si avvicinò alla figura immobile nel letto , il chiarore del giorno
aveva illuminato la stanza evidenziando tra l’altro l’insolito pallore di quel
volto ormai esangue. Le sfiorò la
fronte con il palmo della mano , avvertì il freddo della pelle e finalmente
capì. Un brivido le percorse la schiena , ritrasse immediatamente la mano, le
coprì il volto con le lenzuola , uscì da quella casa e corse verso il centro
del paese per far accorrere i compaesani ed avvertire Don Urbano che a
quell’ora , era certa, avrebbe trovato in sacrestia intento a preparare la
funzione mattutina.
All’interno della chiesa
tutto era silenzio, i bracieri riscaldavano l’ambiente, nell’aria il profumo dell’incenso
e della cera che bruciava.
La luce del sole non aveva
ancora raggiunto la piccola finestra disposta ad oriente e filtrava da quella
della sacrestia, setacciava l’altare maggiore insistendo contro la parete di
sinistra per poi diffondersi nella navata centrale che ospitava due delle
quattro file di banchi . La prima , quella disposta alla sinistra della guida
rossa , era riservata ai pezzi grossi,
autorità e notabili del paese, sulle
altre tre sedevano di regola le persone comuni , umili pastori e semplici
contadini .
Quelle di destra erano
destinate alle donne , solitamente più numerose e pie . Davanti sedevano le più
anziane, dietro le ragazze in età da marito, in fondo bambine e adolescenti accompagnate dalle mamme agghindate per la
Messa o dalle zie ancora signorine , donne sciatte e accigliate, non più tanto
giovani , rassegnate a restare senza compagnia per accudire i vecchi o aiutare
in casa sorelle più fortunate.
Quella rimasta, all’estrema
sinistra, bastava in genere ai pochi
uomini presenti alla celebrazione domenicale , quelli scampati al tradizionale
appuntamento al campo di bocce o ad una
più tranquilla partita a carte . Tresette a quarantuno , briscola a tre ed
eventuale bella a cinquantuno, il tutto insaporito da vino, scenate e bestemmie che arrivavano cristalline alle orecchie dei fedeli
raccolti in preghiera.
Al centro della parete
bianca , alle spalle dell’altare , era fissato un prezioso dipinto di scuola
bizantina con la cornice ricoperta d’oro zecchino, raffigurava la Madonna
dell’Oriente con in grembo nostro Signore . Sul capo a mezz’aria spiccava la
caratteristica aureola dorata. Nelle
nicchie poste accanto alla tela , una a destra, l’altra a sinistra, due statue . La prima,
una preziosa scultura lignea
ricavata da un unico tronco d’albero , rappresentava la Madonna del
Buonconsiglio , la seconda , più ordinaria , ritraeva il Sacro cuore di Gesù . Ai piedi di queste, più piccole, le
grossolane statue in gesso di una coppia di angeli dai riccioli biondi .
Indossavano una lunga tunica dai riflessi azzurro e rosa , tra le mani
stringevano un pesante candelabro a tre braccia.
Al di sotto di questa
nutrita schiera di figure religiose e del suggestivo tabernacolo di legno , un
pesante velario color senape scendeva
come un sipario fino al pavimento per coprire quello che fungeva da deposito di
santi e martiri dimenticati . All’interno del magazzino erano ammucchiate alla
rinfusa vecchie croci di legno,
stendardi impolverati e immagini sacre che nessuno, da anni, portava più in processione.
Al rigoroso impianto
dell’ordine superiore si contrapponeva la dovizia decorativa di quello
inferiore . Le tre navale della pianta erano divise da imponenti pilastri che
sfociavano in arcate monumentali. Nelle navate laterali si aprivano le cappelle
dei Santi inquadrate tra colonne , archi e stucchi.
Ai lati della mensa ,
opportunamente protetta da una lunga tovaglia bianca ornata di ricami e
merletti , appena sotto i due gradini di marmo che dividevano l’altare rialzato
dalla navata centrale , collocate sulle loro basi di legno , erano disposte le statue del patrono del
paese, Sant’Antonio da Padova, saio
color castagna e lunga fascia bianca attorno al collo, e quella della Vergine Maria abbigliata con
la caratteristica veste rosa , il mantello azzurro ed un candido velo disposto
sul capo. Tra le braccia d’entrambe le sculture il piccolo Redentore .
A pochi passi , sull’
impiantito, le figure scolpite di Santa Lucia , che con un volto pallido e
spaurito teneva tra le mani una ciotola con due bulbi oculari assai più simili
ad un paio di uova al tegamino , e quella di San Rocco , sguardo mansueto ,
capelli ala Nazzareno, folto barbone scuro , buffi calzoncini corti e lunghi
stivaloni d’ordinanza.
Di solito non era quello il loro posto , ma a primavera , quando il clima rendeva
gradevole il compito, le quattro statue
venivano portate accanto all’altare per un’accurata ispezione ed una scrupolosa pulizia in
attesa di presenziare , come ospiti d’onore , alla tradizionale festa patronale
prevista per metà agosto.
Di fianco a quello centrale
si ergevano due alti templi laterali . Nel primo di destra , in marmo color
grigio argento con intarsi dorati, piantonato da due alte colonne della stessa
tinta ricoperte in alcuni punti da uno spesso strato di tempera, dimorava ,
assisa e pensosa, la scultura in
terracotta della Madonna della Neve che pregava a mani giunte. Nel basamento
sottostante un’iscrizione incompleta recitava : “...nives pro nobis” .
Nell’altro , collocato sulla parete di fondo della navata sinistra , ritta in
piedi nella profonda nicchia e avvolta in un lugubre manto nero, la statua
dell’Addolorata rivolgeva la sua supplica al Cielo. Alla base di quest’ultima una sinistra teca di vetro accoglieva
il simulacro sanguinante del Cristo deposto reso ancor più macabro dalla luce
rossastra dei bracieri.
Era l’ incubo notturno dei
bambini, almeno di quelli più facilmente impressionabili , che, costretti da
madri devote ad assistere alla liturgia domenicale , si mostravano incapaci di
distogliere lo sguardo da quell’inquietante loculo trasparente che custodiva il
volto sfigurato e sofferente del Messia e quel suo corpo nudo e martoriato ,
con le carni d’avorio e la corona di spine in testa , avvolto nel sudario.
La parete di destra
proseguiva con altri due altari. Al centro del primo l’affresco della Madonna della Porta , per alcuni “dei
Bisognosi”, nel suo grembo il bambino Gesù nell’atto di benedire . Intorno alla
cornice dorata i volti alati dei cherubini in rilievo , più simili in verità a
bizzosi amorini pagani , sorridevano tra
stucchi e fregi ora verdi ora
azzurrini. Sulle cornici del tempietto , sulle ali degli angeli e sui capitelli delle colonne la presenza di
argento in foglia d’oro.
All’interno della seconda
edicola , posta sul lato est della chiesa , ancora una statua in legno scolpito
del santo protettore del paese. Tra i due altari un antico pulpito di legno .
Sulla parete di fronte, quella prospiciente la piazza , alcune pregevoli opere
in bronzo sbalzato, una pietà , una pietra tombale , un indefinito bassorilievo
cesellato. Tutto rigorosamente di una cupa tonalità nera.
Al di sopra del pesante
portone centrale , generalmente chiuso a
chiave , alle cui estremità due porte laterali , più piccole e
leggere, permettevano ai fedeli
l’ingresso in chiesa con la semplice pressione delle dita di una mano, era
posizionato , nella cantoria protetta da una robusta balaustra di legno
intagliato, il prezioso organo settecentesco addossato alla parete sud
dell’edificio .
Era l’orgoglio e il vanto d’ogni pagliarese , vi si accedeva attraverso la stessa scala
in gradini di marmo , protetta da un’esile ringhiera in ferro battuto , che
ospitava le funi della torre campanaria.
A turno i ragazzini , spesso
i più prepotenti , raramente quelli più mansueti , sempre comunque autorizzati dal parroco, si attaccavano a
quelle corde come scimmie per dar voce alla campana “Antonina” - questo il nome
assegnatole nel lontano 1904 - e alla sua piccola aiutante per chiamare a
raccolta i fedeli.
L’ultimo lato , quello
contiguo alla via dei Morti, era il più spoglio. Ad interrompere la lunga
teoria dei cammei circolari in bronzo della via Crucis solo un inginocchiatoio
ed un tetro confessionale dove i penitenti riconoscevano quei peccati che il
parroco già conosceva uno ad uno . Da
ultimo , proprio di fronte al sepolcro del Salvatore, un vecchio candeliere per
i ceri votivi in ferro battuto , sepolto dalla cera dei moccoli consumati.
Quando Linda irruppe in
sacrestia Don Urbano , seduto alla scrivania, era intento a trascrivere sul registro parrocchiale nomi e
date riportati provvisoriamente su un foglio di carta protocollo tagliato a
metà .Indossava già la veste talare pronto a dir messa per la sua perpetua e
un’altra mezza dozzina di vecchie. Sempre le solite . La donna era sconvolta, balbettando tentò di spiegarsi ma non ci
riuscì, il sacerdote si alzò allora dalla sedia , ripose con cura il registro
nello sportello intarsiato dell’alzata superiore del mobile di noce che fungeva
da archivio e la fece sedere al suo posto . Mise la mano in uno stipo, trasse fuori una bottiglia di cognac e due
bicchierini, ne porse uno a Linda.
“Cosa ti succede?” Domandò
riempiendolo fino all’orlo.
“La comare Lucia Zi pre’!
“Serrò le labbra , ingoiò, poi riprese “Se n’è ita al Creatore! L’atraièri
steva bene e maddimà...”
Il parroco alzò gli occhi al
cielo unendo le mani in preghiera , poi sfilò la stola verde ricamata in oro
che portava a tracolla la ripose in un armadio , uscì dalla sacrestia e chiamò
il piccolo Michele già vestito da chierichetto, che , prima dell’inizio della messa , allineava a fatica le pesanti
panche di legno spostate la sera prima
per fare pulizia.
Badando a non farle sfregare
sul pavimento per non suscitare l’ira del prete , tentava di sollevarle a
braccia facendo perno su quelle sue gambette magre , ma l’impresa era ardua e i
pochi centimetri guadagnati tra un banco e l’altro sembravano ai suoi occhi
veramente poca cosa, l’allineamento poi lasciava alquanto a desiderare.
Paonazzo in volto al
richiamo del parroco lasciò cadere la panca , il fracasso echeggiò a lungo nel
silenzio della navata.
“Vieni ecco!”gli intimò Don
Urbano fulminandolo con gli occhi .
Stremato dallo sforzo il
ragazzino indugiò qualche secondo , poi si avvicinò a testa bassa , docile come
un agnello, rassegnato all’inevitabile
rimbrotto .
“Va a riempire
l’aspersorio.” Gli ordinò il sacerdote.
Alcune donne , entrate nel
frattempo in chiesa per la funzione,
avevano assistito alla scena e incuriosite si erano avvicinate a Linda
rimasta accanto alla statua della Madonna .
“ Che è stato ?” Domandò la
comare Chiarina.
“Lucia...”Rispose Linda con
gli occhi bassi. “ ...non s’è revegliata.
”
“Sand’Antonio mi’!”Proruppe
la vecchia Mariannina facendo un balzo
indietro e affrettandosi a fare il
segno della croce.
Il gruppo di comari radunato davanti all’altare si era infoltito
e commentava ad alta voce l’accaduto . Solo quando comparve dal buio della
sacrestia , abbigliata con i paramenti sacri , la figura di Don Urbano
accompagnata dal chierichetto con l’acqua santiera , gli animi si calmarono.
Le donne si accodarono e il lugubre corteo prese a borbottare il pater noster
avviandosi lentamente verso quella casa al limitare del paese dove , in attesa
dei conforti religiosi, aspettava senza fretta, immobile, mamma Lucia .
Amministrata l’estrema
unzione Don Urbano recitò una preghiera, quindi si chinò, prese il viso di
mamma Lucia e le baciò la fronte. Le mise le dita tra i capelli ancora in parte
raccolti dentro la cuffia merlettata , la accarezzò , la osservò ancora un
istante con gli occhi traboccanti di lacrime , infine la lasciò alla cura delle
donne.
Tutto il paese era riunito
di fronte a quella porta , aspettava di veder uscire il parroco e , quando
quello finalmente varcò la soglia , Adele, la perpetua, gli si fece incontro.
“Allora zi’ pre’?”
“Non c’è più niente da fare,
la comare se n’è andata in Paradiso, ha finito di tribolare.”Poi volgendosi
alle altre donne presenti aggiunse.“Datevi da fare. Sistemate la stanza e
qualcuno vada a prendere le candele in sacrestia.”
Michelino che reggeva ancora
l’aspersorio mezzo vuoto, doveva aver perso quasi tutta l’acqua lungo la
strada, si fece avanti.
“Vado io !”
Poi prese a correre lungo la
salita . La lunga tunica da chierichetto gli ostacolava la corsa , tra le mani continuava a stringere secchiello
e catenella , con un continuo tintinnio
metallico le ultime gocce d’acqua benedetta finirono lungo la via.
Le donne entrarono in casa e
mentre le più anziane , tutte con le vesti scure, rassettavano la stanza della
morta piangendo e scuotendosi il petto , le più giovani composero mamma Lucia
sul letto. Alcune pregavano lasciando scorrere tra le dita le perle di un
rosario , altre esplodevano improvvisamente in pianti dirotti e venivano
accompagnate fuori.
Mamma Lucia continuava a
dormire tranquilla, le lasciava fare , che fastidio avrebbero potuto darle?
Le imposte delle finestre
vennero accostate quel tanto che permettesse di lasciar trapelare un poco
d’aria e di luce , poi fu permesso d’entrare anche agli uomini .
Michelino intanto era
tornato e i quattro ceri che aveva portato erano stati disposti intorno alla
salma, la luce oscillava seguendo il movimento delle fiammelle. Nel vedere il
cadavere il ragazzino ebbe un mancamento.
“ Portatelo fuori!” Gridò
Linda volgendosi ad un paio di giovanotti che pregavano commossi ai piedi del
letto. “Non è posto per i varzitti
quiste!”
Fu a questo punto che
intervenne la comare Edda.
“Se lu mmalate se mòre ,
l’aì accise lu mèdeche, se ss’aresan’ è state le sande. Ma simme ssecure che
quista ziotta dòppe nen se reveglia comme
Giuseppe?”
“Ogn’ora passe e ògne
ttièmbe vé”Rispose Linda.
Strana domanda quella di
Edda? Dovreste conoscere la vicenda che poco meno di dieci anni prima aveva
visto protagonista in paese il vecchio
Giuseppe.
Quel giorno il nostro
eroe , ospite a casa del figlio
Mariuccio , si scaldava accanto al caminetto , d’un tratto ebbe un malore e
svenne. Gli fu immediatamente prestato soccorso ma ogni tentativo di rianimarlo
si rivelò inutile . Per tutti il povero
vecchio aveva ormai tirato le cuoia, si provvide pertanto a sistemarlo sul
catafalco per la visita dei parenti. Avvenne però che mentre congiunti e amici
vegliavano la salma, questa mosse prima una mano, poi le gambe fino a mettersi
seduto tra lo spavento e lo stupore generale.
Evidentemente il Padreterno
non aveva ancora deciso di chiamarlo a sé , a dispetto dell’età infatti
Giuseppe visse in grazia di Dio ancora
per qualche anno.