Capitolo 17
Trascorsero i giorni .
Quel mattino Luca, in piedi
sul molo prospiciente il lago con una lunga canna da pesca tra le mani, tentava
, senza troppa fortuna, di
procurare il pesce per il pranzo , Giustino gli sedeva accanto attento a
scegliere l’esca giusta. Dalla notte di quell’improvvisa fuga era passato più di un mese.
A pochi passi dai due calava la lenza un ragazzone dalla
corporatura robusta, il volto era bruno con sfumature rossicce , nonostante la
giovane età sembrava un pescatore esperto. Luca spiava i suoi movimenti cercando d’imitarlo . D’un tratto con un rapido strappo
Artemio tirò fuori dall’acqua un grosso
pesce che provò disperatamente a divincolarsi dalla morsa dell’ uncino
insanguinato . Ogni sforzo fu inutile, il carnefice trasse la preda sul pontile
e con pochi rapidi gesti la liberò dall’amo lasciandola cadere sulle assi di
legno. Il corpo argentato del cefalo guizzò ancora per qualche secondo poi , dopo un ultimo sussulto, smise di dibattersi e s’irrigidì. A quel punto il giovane pescatore lo afferrò
e, tirato fuori dallo stivale un coltello ben affilato , lo decapitò , lo
squartò estraendone le viscere e lo infilò nella bisaccia di corda. Non
contento sostituì l’esca raccolse la canna,
e con la massima disinvoltura le
fece compiere un’ampia rotazione al di sopra delle spalle immergendo di nuovo
la lenza nelle acque del lago.
Luca aveva seguito tutta la
scena con un pizzico d’invidia , a rendergli più amaro il boccone la pena
straziante per quell’animale che non se la sentiva proprio di tirare le
cuoia.
Giustino nel frattempo aveva
dato un’occhiata alla cesta , le due trote pescate erano abbastanza grosse,
potevano bastare per tutti.
“Allora Luca? Vogliamo
andarcene?”
Il ragazzo annuì con il capo
.
Quando raggiunsero
l’abitazione del pescatore il sole , ormai alto nel cielo , dentellava le
frange dei cespugli stingendo i colori del giorno.
Il pesce cucinato da Emma
con la solita maestria ottenne l’incondizionata approvazione dei commensali e
sparì dai piatti in pochi minuti . Dopo pranzo Giustino approfittò della pausa
per coccolare la piccola Clarice stringendo le sue manine tra le dita e si
ritirò con lei in camera da letto per un sonnellino mentre la figlia si
occupava di riordinare la cucina . Luca invece preferì uscire per potersi
abbandonare a quella sua inguaribile malinconia, fuori un sole smorto lambiva i
tetti delle case attraverso il forame dei glicini.
Nel loggiato erano appesi
pomodori, granturco e saggina da seccare, al suolo accanto alla staccia erano
appoggiate ad asciugare tre grosse pentole di smalto e un paio di tegami di terracotta.
Nell’aia razzolava una
gallina , era nervosa, aveva gli occhi strabuzzati che sembravano uscire fuori
dalle orbite e osservava incuriosita tutto quel che le accadeva intorno. Aveva
un piumaggio fulvo , si muoveva circospetta con scatti brevi e rapidissimi
agitando i bargigli che oscillavano a tempo con i movimenti del collo. Di tanto
in tanto si fermava , s’accosciava e, alzate le corte ali, si beccava stizzita
per liberarsi dai pidocchi.
Poco lontano il re del
pollaio, un grande gallo bianco dalle piume maculate di grigio, occhio fisso e attento , avanzava tutto
impettito verso il centro del cortile agitando orgoglioso una superba cresta
rossa che pareva inamidata.
Luca sedette su uno scalino,
non si sentiva però abbastanza comodo, si lasciò allora cadere sull’erba molle
del prato, addossò la schiena allo steccato e cominciò a pensare.
Le mancava. Tanto. Troppo.
Emersero chiari i ricordi ,
gli odori e le immagini di quei giorni felici trascorsi insieme.
“Presto.” Rimuginava “Presto
la rivedrò.”Ma non ci credeva affatto.
“Cos’è che pensi?” gli
sussurrò la voce calda di una donna apparsa all’improvviso al suo fianco.
Si voltò e la vide.
Tornò a fissare lo sguardo oltre
le cime dei monti scomparsi all’improvviso sotto una fitta cortina di nebbia che aveva ingoiato il sole
rendendo l’aria gelida.
“Penso al mio paese, a quel
che ho lasciato.”
“Non ti trovi bene qui?”
“Certo. Ma non è la stessa
cosa.”
Solo allora volgendosi di
nuovo a guardarla s’accorse di quanto fosse bella. L’aveva conosciuta qualche
giorno prima in casa del pescatore,
era andata lì per scambiare quattro chiacchiere con Emma , una delle poche amiche su cui poteva
contare.
Era alta, sulla trentina,
occhi azzurri e carnagione insolitamente chiara, non doveva essere di quelle
parti, il viso appariva stanco ma non ancora avvizzito come quello della
maggior parte delle donne del paese. D’altronde la vita che conduceva non era
quella delle altre. Andata in moglie ad
un facoltoso proprietario terriero, probabilmente l’uomo più ricco del paese ,
non era riuscita a darle il figlio tanto desiderato . La servitù in casa non
mancava , passava la giornata a ricamare, scrivere lettere alla famiglia
lontana e leggere riviste e romanzi
d’appendice.
Teresa era vestita molto
semplicemente. Indossava una lunga gonna rosa di velluto con ampie tasche
laterali fermata in vita da una cintura nera guarnita da una fibbia dorata e
una camicetta con il ricciolo davanti al petto, le maniche erano rivoltate
all’altezza dei gomiti. A tenerle calde le spalle uno scialle di lana scuro, a raccoglierle i capelli del colore
del grano maturo un foulard di seta annodato sotto il mento.
“Perché non vieni a passare
la Pasqua da noi?” Gli propose la donna.
Luca si meravigliò di quel
curioso invito , si voltò lentamente e balbettò:“Non so…non mi pare il caso…”
Era allettato dalla proposta
ma pensava al dispiacere che avrebbe procurato
a Giustino che l’aveva accolto in casa come un figlio ed ospitato fino a quel momento senza chiedere niente
in cambio.
“Allora?” Sollecitò Teresa
posandogli la mano sulla spalla e accennando la lusinga di un sorriso.
“Mi dispiace signora, siete
molto gentile , vi ringrazio di cuore ma non posso proprio.”
La donna restò di sasso, il
sorriso mutò in una smorfia di disappunto, il tono si fece serio.
“E perché mai?” Tornò a
chiedere indispettita da quell’irritante rifiuto.
“Non posso lasciare soli
Giustino e la figlia proprio la domenica di Pasqua , sono stati tanto buoni con
me. La piccola Clarice poi! Sapete si è tanto affezionata . Ne morirebbe.”
“Va bene! Va bene!”
S’infervorò quella .“Resta pure con
loro!”
Nel cortile si era alzato un
vento fastidioso, tenendo lo scialle accostato alla gola Teresa , scura in
volto, si alzò di scatto e con l’altra
mano accomodò la gonna spiegazzata
prima di allontanarsi infuriata .
Luca la vide andar via .
“Signora! Signora!” La
chiamò.
“Vi prego non prendetela
così! Come potrei lasciarli soli?”
Le corse dietro, la raggiunse
e l’afferrò per un braccio.
Teresa si fermò, le pieghe
del viso tornarono serene, aveva capito. Lo fissò negli occhi imploranti ,
sollevò la mano e l’accarezzò dolcemente sulla guancia.
“Non me la prendo affatto
caro ragazzo. Hai ragione tu.”
Sorrise , riprese il cammino , poi si voltò ancora una
volta e strizzando l’occhio aggiunse:“Buone feste e …a presto.”
Luca sorpreso da quel
repentino cambio di umore non ricambiò l’augurio , considerò piuttosto quelle
ultime parole che avevano il sapore di una premonizione ma sul momento finse
di non afferrarne il senso.
“A presto. “ Rimuginò “Cosa
avrà voluto dire? Quell’occhiolino poi?”
Non aveva mai considerato
l’ipotesi che oltre a Barbara ci fosse qualcun’altra al mondo che potesse essere attratta da lui. Era rimasto stregato
dal fascino di quella donna misteriosa ed aveva la netta sensazione che
l’avrebbe rivista presto.
La sera stessa , dopo cena ,
uscì per fare due passi, s’affacciò alla porta aspirando con forza l’aria che
sapeva di muschio, la temperatura si era abbassata di qualche grado ma il
freddo era tollerabile, le rade chiazze
d’azzurro in quel cielo grigio cominciavano a scolorire.
Imboccò come ogni sera lo
stretto sentiero che seguiva solitamente per spingersi fino alla piccola radura
dove la terra bagnata sprigionava quell’ odore di resina che lo faceva sentire
a casa .
Quando qualche minuto dopo
la raggiunse si rese conto che stavolta non era solo, nella penombra
s’intravedeva un’ombra seduta su un blocco di roccia addossato al tronco del
fico sotto al quale era solito distendersi in attesa della notte .
La luna liberatasi della
nuvolaglia residua si era spostata al centro del cielo , il suo chiarore
disegnava sul terreno il contorno dei rami intrecciati poi risaliva lungo la
figura accovacciata fino a delinearne il profilo. Teresa lo stava aspettando,
prima di quanto sospettasse, sul viso il sorriso enigmatico di poche ore
prima.
Il ragazzo gli passò accanto
ed accennò un saluto proseguendo a testa bassa il suo cammino.
“Dove vai?” Domandò la
sagoma ritagliata sotto l’albero .“Non ti fermi come al solito?”
Luca si bloccò , alzò gli
occhi e stavolta cercò il suo sguardo .
“Come fate a sapere che
vengo qui ogni sera?”
“Ti ho seguito. ” rispose
quella con il massimo candore distendendo i lineamenti in un sorriso di
compiacimento sollevando al contempo spalle e sopracciglia .
“Vieni! Siediti qua!”
Aggiunse battendo il palmo della mano sul masso che occupava spostandosi
contemporaneamente di qualche centimetro
per fargli posto.
“Ma veramente…non so se è il caso.” Farfugliò Luca intimidito.
“Su non fare il bambino.”
Arrossì ma non si fece pregare oltre , accennò un sorriso e le
sedette accanto.
“Cosa c’è? Hai paura?”
“No di certo. Perché?”
“Mi sembri nervoso.”
“Perché dovrei?”
“Lo sai che sei un bel
ragazzo?”
Stavolta Luca non rispose,
sentì il cuore battergli nel petto e non riuscì a ribattere. La donna si
accorse del suo imbarazzo e lo incalzò.
“Dico sul serio , mi piaci
molto. Cos’è? Non ti va?”
A quella domanda il ragazzo tentò la replica.
“Vi prego signora…siete
molto bella…ma vostro marito…”
Lo interruppe portando le
dita sulla sua bocca. “Chiamami
semplicemente Teresa, come fanno gli amici,
e dammi del tu.”
S’accostò ancora un po’ ,
gli passò una mano tra i capelli , gli
carezzò la nuca poi abbassò le palpebre
e lo tirò a sé schiudendo le
labbra .
Quel bacio appassionato
dissipò gli ultimi dubbi .
“ Questa qua” pensò fissando quegli occhi socchiusi “C’ha una voglia matta. Certo che anch’io…”
Era confuso, combatteva tra
il desiderio per quella femmina seducente dalle forme mozzafiato e l’amore
sincero per la sua ragazzina, intanto Teresa aveva cominciato a baciargli la
fronte, il collo, ed afferratagli una mano se l’era portata sul petto.
Luca si lasciava andare. Atterrito dal pensiero di quanto stava facendo
a Barbara era tuttavia pervaso da un piacere intenso per i baci ardenti di quella donna che aveva ormai preso a muovere le mani esperte sul suo corpo senza più
ritegno .
Era sul punto di cedere ,
gli sembrava d’avere le vertigini, la
lasciava fare, Teresa aveva slacciato la camicetta di seta bianca lasciando
scoperti i seni , il riverbero della luna era scivolato su quella pelle liscia
facendo risaltare il bianco delle carni . Aveva sciolto i capelli lasciandoli ricadere sul petto del suo
riottoso amante, Luca avvertì il caldo della pelle , un fremito lo scosse poi ,
all’improvviso, gli tornò alla mente il
viso solare di Barbara e quel suo contagioso sorriso . Ritirando di scatto la
mano allontanò con l’altra il corpo
della donna sciogliendosi da quell’infuocato abbraccio.
“Lasciatemi in pace!”
Urlò “Ma cosa volete?” Sembrava fuori
di testa.
“Cos’è? Non ti piaccio?” Gli
domandò amareggiata Teresa tentando di ricomporsi.
“Non è questo.”
“Cosa c’è allora? Qualche
ragazzina per la testa?”
Luca non rispose , si limitò
ad abbassare lo sguardo e ad infilare le mani in tasca.
“Ma dai non ne soffrirebbe
di certo . A meno che tu non vada a raccontarglielo.”
“Le voglio bene.”
“E allora? Amore! Amore! Una
parola senza futuro.” Sentenziò riabbottonando la camicetta .
Luca la fissò con aria
interrogativa.
“Perché? Voi non credete
all’amore?”
“Sì e no.” Rispose ormai rassegnata a quel rifiuto sistemando
di nuovo i capelli sotto al fazzoletto, poi aggiunse:“Quando la giovinezza se
ne va svanisce anche la passione. La vita stessa non ha più un gran senso .
All’ardore subentra l’abitudine, all’amore l’affetto, persino il tuo corpo non
ti piace più, non risponde al tuo spirito ancora giovane.”
“Ma voi siete ancora giovane
e bella!”
“Tu dici? Può darsi. Ma per
me la situazione è un po’ più complicata. Un animo spento , senza entusiasmo,
in un corpo tanto seducente quanto inutile.”
“Non amate vostro marito?
Siete infelice con lui?”
“Chi ? Quello? Ma l’hai
visto? Ha trent’anni più di me e sembra anche più vecchio. I miei, povera
gente, volevano sistemarmi offrendomi a quel ricco gentiluomo arrivato in città
per affari . Credevano di rendermi felice e, forse , lo sono stata davvero per
qualche tempo . Avevo lasciato la mia casa per seguirlo ma ero la signora del
paese e , con l’ingenuità dei miei sedici anni, immaginavo d’avere il mondo intero ai miei piedi.
Pochi anni, poi m’accorsi
che l’uomo che avevo sposato maturo ma ancora piacente era già diventato vecchio . Non ce la fa più neanche a letto e
se la prende con me quando l’impotenza
frustra le sue voglie. Ho
compiuto trentasei anni la scorsa settimana e solo adesso comincio a sentire il
bisogno di quell’ amore di cui straparli.”
“Mi spiace signora, mi
spiace davvero.”
“Ma vuoi piantarla di
chiamarmi signora? Non lo sopporto.”
Sorrise , lo prese
sottobraccio e s’incamminò con lui lungo il sentiero avvolto ormai nelle tenebre per tornare in paese.
“Raccontami di te. Della tua
ragazzina.”
La soggezione di Luca mutò in simpatia e senza farsi ulteriormente
pregare le narrò le sue vicende.
Teresa lo ascoltò con attenzione e , alla fine del
racconto , quando arrivarono in vista delle poche luci ancora accese in paese,
domandò:
“Se le vuoi tanto bene
perché non vai da lei?”
“Dove? A Roma ? Come potrei
trovarla in una città tanto grande? Non saprei come fare.”
“Dalla tua reazione avevo
avuto l’impressione che per rivederla saresti disposto a scalare le montagne .
Possibile che tu abbia paura? Per i soldi non devi preoccuparti, te li presterò
volentieri.”
Non rispose subito , restò
silenzioso a riflettere. Come poteva essere stato così stupido?
“Dove posso trovare la stazione ferroviaria ?”
Teresa sorrise.
“Non dovrai andare troppo
lontano , ti basterà raggiungere la piana di Avezzano , lì potrai prendere il
treno per tornare dal tuo tormento.”
“Grazie signora
…anzi...Teresa . Grazie di cuore , finalmente so cosa fare.”
“Quando partirai?”
“Tra un paio di giorni.
Festeggerò la Pasqua con Giustino e la sua famiglia e il lunedì dell’Angelo mi metterò in cammino. Perché non vieni
via con me ? Potresti rifarti una vita lontano da qui?”
“No. La mia vita è qui…a
fare la signora.”
Percorsero gli ultimi metri
in silenzio poi le loro strade si divisero, un ultimo saluto , l’accenno di un sorriso.
Il giorno di Pasqua
trascorse in letizia e alle prime luci dell’alba del mattino successivo Luca
salutò commosso il pescatore e la figlia con un lungo abbraccio, poi si chinò a
baciare sulla fronte la piccola Clarice con gli occhi gonfi di lacrime ,
si strinse la sciarpa di lana intorno al collo e lasciò quella casa.
Emma e Giustino lo videro
allontanarsi , erano rattristati per quella decisione tanto improvvisa ma non
cercarono di fermarlo , avevano capito che non era quello il suo posto . Sul volto
segnato del vecchio pescatore scivolò una lacrima subito imprigionata da una
profonda ruga scolpita sulla guancia che l’incanalò verso le labbra , prima
d’ingoiarla ne assaporò il gusto salato.
Era una bella mattina di
sole, la brina riluceva sulle zolle di terra e sui ciuffi d’erba bagnata. Per
raggiungere la strada Luca preferì servirsi ancora una volta del sentiero che
portava alla radura , era una scorciatoia che gli avrebbe fatto risparmiare
tempo e solo Dio poteva sapere quanta fretta avesse ora quel ragazzo.
Ad aspettarlo al varco per
un ultimo saluto trovò Teresa . Alla luce del primo sole sembrava ancora più
bella, gli occhi chiari luccicavano
umidi di pianto.
“Addio Luca.”
“Arrivederci signora, e
grazie di tutto.”
“Ancora?”
Luca arrossì.
“A presto Teresa.”
Lo trattenne ancora un
istante.
“L’ hai capito o no che mi
sono innamorata di te?”
Pronunciate queste parole
chinò il capo come una ragazzina. Luca la fissò con tenerezza , si sentiva
lusingato ma allo stesso tempo provava una gran pena per lei. Le sollevò il
mento , asciugò la lacrima che era
spuntata sulle lunghe ciglia e le baciò
la guancia , le sollevò la mano se la pose sul petto , la strinse forte poi la
lasciò cadere per riprendere il suo viaggio.
La donna sentì il sangue
pulsare alle tempie , un groppo alla
gola le impediva di parlare , avvertiva sulle guance il calore delle lacrime
che ora scendevano copiose fino a
lambire la bocca tremante. Serrò con forza le labbra per non urlare, un brivido
le percorse la schiena, piegò le ginocchia , pose le mani sul volto e sedette
sulla pietra sotto al fico. Alzò il capo , allargò le dita che teneva premute
contro il viso e lo vide andar via per sempre . S’abbandonò alle lacrime, ma
era un pianto sommesso, nessuno in paese avrebbe dovuto sapere che la signora
era infelice.
“Povera Teresa.” Pensò Luca
“Non se lo meritava proprio.”
Ancora un pensiero poi
l’ultimo casolare di Corcumello scomparve dietro la collina.
Camminò tutto il giorno attraversando l’intera piana che dal luogo
di partenza , incrociando campi , strade e mulattiere, l’avrebbe portato ad
Avezzano e solo quando il sole al tramonto scintillò sulle rotaie che filavano
verso il centro abitato capì di essere ormai arrivato.
Raggiunta la stazione si
guardò intorno. Ad aspettare il treno soltanto un vecchio in uniforme . Era pallido, magro come un chiodo , si
reggeva in piedi per miracolo, le ossa sembravano tenersi insieme solo grazie a
quella sua divisa inamidata che per quanto scolorita e ormai abbondante
appariva comunque inappuntabile.
Una lunga barba bianca e dei folti baffoni arricciati gli coprivano quasi completamente il volto ,
sotto tutto quel pelo sfolgoravano soltanto due grandi occhi scuri. Nello sguardo
ormai prostrato s’intuiva ancora la fierezza che doveva averlo accompagnato in
gioventù.
Di tanto in tanto sollevava
il berretto e si grattava con il mignolo la testa completamente calva , poi,
terminata l’operazione lo riponeva con cura sul capo. Doveva essere un reduce
di guerra, probabilmente un ufficiale, uno dei tanti scarti d’inizio secolo che
compiuto il sacro dovere di soldato votato alla patria era stato messo ai
margini della società.
Luca avvertì un pizzico
d’imbarazzo quando il militare si avvicinò e gli domandò con un filo di voce:
“Scusami ragazzo.”
“Ditemi signore. Se posso
esservi utile?”
L’altro si presentò tendendo
la mano.
“Colonnello Bellizi !”
“Piacere colonnello io sono
Luca.”
“Sai ? La mia vista non è
più quella di un tempo, non riesco a consultare il cartello degli arrivi e
delle partenze. Devo prendere il treno per la capitale. ”
“Ma certo. Venite con me
andiamo a leggerlo insieme.”
Lo prese sottobraccio e
l’accompagnò verso il manifesto incollato malamente sulla colonnina accanto
alla biglietteria felice di poter fare qualcosa per quel povero vecchio che gli
ricordava tanto quell’eroico nonno mai conosciuto.
Solo allora si rese conto
che l’uomo aveva un braccio troncato di netto sotto l’ampia mantellina
sollevata da un’ improvvisa folata di vento.
“Dovrebbe passare a momenti,
qui c’è scritto alle 20, ad occhio e croce non dovrebbe mancare molto.”
“Sì certo.” convenne il
vecchio tirando fuori dalla tasca della giacca un antico orologio a catena.
Tentò di leggere l’ora avvicinandolo agli occhi poi, rassegnato, lo passò al
ragazzo.
“Manca un quarto d’ora ,
aspettatemi qui, anch’ io devo andare a Roma , faccio il biglietto e vi
accompagno al binario.”
Il convoglio non si fece
attendere, incorniciati dai finestrini pochi viaggiatori , la locomotiva sbuffò
e si arrestò lentamente con un tagliente stridore di freni.
Aiutato l’ufficiale a salire anche Luca montò sul vagone di coda,
la sosta fu breve, qualche scossone poi
la ripartenza segnalata dal sibilo
assordante della sirena.
Il viaggio si annunciava
lungo , la stanchezza del duro cammino attraverso le ore del giorno si sarebbe
certamente fatta sentire, meglio riposare e provare a chiudere gli occhi.