Storia di Roma in pillole

 

Parte Prima

Dalla monarchia alle guerre puniche

 

I sette re di Roma

 

 

cusami se ho trascurato troppo a lungo l’impegno preso , ma in questo periodo papà ha avuto parecchio da fare e doveva risolvere qualche problema di non poco conto . Ora sono di nuovo qui e possiamo riprendere da dove avevamo lasciato. La fondazione di Roma ,  se non ricordo male . Andremo un po’ di corsa , sono certo che capirai , se mi soffermassi su troppi dettagli temo non riuscirei a finire il mio racconto in tempo , tu resteresti con la curiosità ed io con il rimpianto dell’ennesima incompiuta , senza contare che sarai presto più alto di me e sarebbe piuttosto difficile tenerti sulle ginocchia. 

Bene , quella che ti ho raccontato ovviamente è leggenda o comunque una mezza verità, adesso sarà bene sentire gli storici autentici .

Questi ritengono che il nome di Roma derivi da Rumon , antico nome del biondo Tevere, e che le prime abitazioni sorsero sulla riva sinistra di questo fiume, raggruppate in piccoli borghi, i quali poi si unirono e formarono la città munita di una rocca per difendersi dai nemici.

Probabilmente hanno ragione , non per niente hanno speso le loro vite tra cocci e vecchie carte alla ricerca di prove e indizi e noi,  semplici dilettanti della storia , non possiamo che affidarci delle loro conclusioni.

La leggenda narra che Roma fu governata per circa 240 anni da sette re succedutisi l’uno all’altro. Romolo, il fondatore, sarebbe stato il primo , ma questo io e te l’avevamo già imparato. Si dice che regnò con saggezza , assoggettò i Sabini , un popolo vicino , divise il popolo in tribù , scelse cento tra i migliori cittadini che aveva sottomano per essere aiutato nel governo della città e istituì il Senato , allargò un bel po’ il suo dominio con diverse conquiste  e ,  dopo morto,  fu adorato con il nome di Dio Quirino.

A succedergli Numa Pompilio, un tipo pacifico , un contadino , protesse infatti l’agricoltura, promulgò buone leggi , riformò il calendario e fece costruire il tempio di Giano , un curioso luogo di culto , sempre chiuso in tempo di pace e aperto quando arrivava il momento di menare le mani. Tullio Ostilio, terzo re di Roma , lo teneva spalancato , era infatti un re guerriero , distrusse la città di Albalonga e obbligò i vinti a trasferirsi a Roma per accrescerne la popolazione.

Anco Marzio, succeduto al precedente , non era certamente più tenero , sconfisse alcuni popoli latini, abbellì l’Urbe – sì , era l’antico nome di Roma – fece costruire sul Tevere il primo ponte detto Sublicio , cioè “fatto di travi”  e alla foce del fiume , in riva al mare, il porto di Ostia.

Tarquinio Prisco fu il quinto, estese il dominio della città e fece costruire il Circo Massimo per i giochi pubblici , la Cloaca Massima per lo scolo delle acque e dei rifiuti e il Foro dove si radunavano i cittadini per discutere gli interessi dello Stato , per i processi e per i mercati . Un gran casino insomma , ci si faceva di tutto, era il cuore pulsante della città.

Servio Tullio , sesto re di Roma , vinse gli Etruschi ed estese ancora di più il dominio della città, la circondò di mura , fece il censimento della popolazione e la distribuì in cinque classi in ragione della ricchezza perché ognuno pagasse le imposte in proporzione di quanto possedeva, a quei tempi ci si riusciva, tra l’altro fu il primo a coniar moneta .

L’ultimo, Tarquinio il Superbo – lo dice lo stesso nome – fece un po’ lo stronzo , governò infatti da tiranno e il popolo romano , pacioccone quanto si vuole ma non per questo scemo , non ebbe esitazione a cacciarlo via istituendo così la Repubblica .

 

 

 

 

La Repubblica

 

 

capi della rivoluzione contro Tarquinio furono Giunio Bruto e Collatino , cambiarono il nome del loro ufficio , da re diventarono consoli , ma le prerogative erano più o meno le stesse.

Raggiunto l’equilibrio la nuova Repubblica poté finalmente consolidarsi . Come già accennato il potere centrale , prima delle mani di un solo uomo, passò in quelle di due consules eletti dai comizi centuriati e il cui mandato aveva la durata di un anno . Inoltre le diverse cariche pubbliche , accentrate in epoca monarchica nella persona del re , vennero spartite in una serie di figure distinte, i censori vegliavano sui costumi, i pretori amministravano la giustizia, i questori gestivano il patrimonio pubblico, i pontefici avevano mandato sulle questioni religiose , infine gli edili erano preposti all’edilizia e al commercio. 

Tarquinio tentò di rientrare a Roma e di ristabilire il governo monarchico per mezzo di una congiura , alla quale aderirono alcuni giovani patrizi, i nobili insomma , che mal sopportavano la severità del regime repubblicano. La congiura fu però scoperta da uno schiavo che ne riferì a Bruto. Costui fece arrestare i colpevoli , tra i quali si trovavano anche i suoi figli Tito e Tiberio, e condannò tutti a morte. Un tipo vendicativo. Egli stesso assistette all’esecuzione della sentenza sacrificando così il suo affetto di padre all’ amore della giustizia e della libertà. Così almeno dicono gli esegeti dell’amor di patria , io non ne sono molto convinto.  

Comunque Tarquinio era un tipo tosto e sostenne quattordici anni una guerra senza tregua contro la Repubblica . Suo figlio Arunte , alla testa di un esercito etrusco , venne a battaglia contro le forze comandate da Bruto . I due capi spronarono furiosamente l’un contro l’altro i propri cavalli e si trafissero con le lance. Sarà vero ? Poco importa, resta il fatto che la battaglia durò fino a sera finché gli etruschi non ebbero la peggio. Roma pianse la morte del suo amato console e le matrone , per onorarne la memoria , vestirono le gramaglie per un anno intero.

 

 

Porsenna

 

 

dare una mano al re defenestrato ecco apparire il capo di una confederazione di dodici città etrusche, tal Porsenna – il cui nome significa poi principe . Un popolo invasore gli aveva portato via il regno , ed egli , per rifarsi della perdita , pensò bene di muovere contro Roma con un poderoso esercito. Dapprima riuscì a sottomettere la città , ma i Romani si riorganizzarono , lo sconfissero e riacquistarono in breve tempo la loro indipendenza.

Molti secoli dopo gli storici romani scrissero che Porsenna aveva combattuto per restituire il trono a Tarquinio , e che egli aveva poi abbandonato l’impresa per gli esempi di eroismi di Orazio Coclite , Muzio Scevola e Clelia. Ma i Romani erano cazzari all’epoca e lo sarebbero restati per sempre, quelli di oggi non sono poi così diversi , nascondevano infatti le sconfitte e glorificavano le virtù dei propri concittadini , non disdegnando di raccontare favole, per il loro grande amor di Patria.

Già , Orazio Coclite, cioè cieco di un occhio. La leggenda dice che Porsenna giunse improvvisamente col suo esercito sulla riva destra del Tevere , occupò il colle del Granicolo e stava per penetrare in città quando un giovane , Orazio appunto, gli si parò davanti e difese da solo il ponte Sublicio per dare il tempo ai suoi commilitoni di tagliarlo alle sue spalle , poi si gettò nel fiume e si salvò a nuoto .

 

Muzio Scevola

 

arra ancora la leggenda che il nemico cinse Roma d’assedio nella speranza di poterla prendere per fame. A questo punto il patrizio Caio Muzio , travestitosi da soldato etrusco, s’introdusse nel campo nemico e qui uccise con un pugnale il segretario di Porsenna scambiandolo per il re stesso. Evidentemente se Orazio era orbo di un occhio il nostro nuovo eroe lo era di entrambi. Arrestato e minacciato di morte Caio disse allora a Porsenna : “Sappi che trecento giovani hanno giurato , con me, di ucciderti , perché tu minacci la vita e la libertà di Roma . Io punirò la mano che ha fallito il colpo! “ A questo punto stese il braccio destro sopra la fiamma di un braciere che ardeva lì presso, tenendovelo fermo , senza dar segno di dolore anticipando di parecchi secoli palestrati alla Rambo . Porsenna , colpito da tanta audacia e forza d’animo, concluse la pace con Roma. Muzio fu soprannominato Scevola , che significava mancino , ci rimise un braccio ma ci guadagnò la gloria imperitura, lascio giudicare a te se nel cambio c’abbia o meno guadagnato.  

 

Clelia

 

l mito di Clelia invece è decisamente più edificante , a me è sempre piaciuto un sacco . Porsenna , che , a torto o ragione, era uno che si fidava poco , trattenne in ostaggio dodici giovanotti e altrettante fanciulle perché i Romani rispettassero i patti di pace stipulati. Tra queste fanciulle c’era la bella Clelia , la quale , mal soffrendo la prigionia, decise di fuggire . Così , nel cuore della notte attraversò a cavallo la campagna romana -  gli storici si dimenticano ovviamente di spiegarci come abbia fatto a sfuggire alla sorveglianza e dove abbia trovato il cavallo – e si gettò nel Tevere nuotando per raggiungere la sponda opposta , poi si asciugò per non prendersi un malanno e se ne tornò tranquillamente a casa . Ma i Romani , fedeli ai patti , rimandarono la povera Clelia a Porsenna con un biglietto di scuse. A questo punto costui  fu talmente sorpreso da tanta lealtà , ma  soprattutto ammirato per l’ardire dell’eroica giovinetta , che non solo le restituì la libertà ma le concesse anche di scegliere alcuni fra gli ostaggi e portarseli via con sé .

 

 

Si sveglia il popolino

 

 

Romani erano obbligati , in forza di una legge , al servizio militare e ad armarsi e nutrirsi a spese proprie in tempo di guerra. Questa direttiva arrecava gravissimi danni ai plebei , i poveracci dell’epoca , i quali formavano la classe più numerosa , costituita per la maggior parte da contadini costretti ad abbandonare il lavoro dei campi e della famiglia e far debiti , più o meno come i loro eredi d’oggi . I plebei dovevano poi restituire i quattrini che si erano fari prestare ad usura , altrimenti i loro creditori potevano batterli con le verghe , venderli come schiavi e persino ucciderli . Da allora le cose sono decisamente migliorate , oggi gli strozzini si limitano a portarti via la casa e la dignità. Ma non sono argomenti questi da dibattere in tale sede .

Per di più essi erano esclusi dalle cariche dello Stato e , mentre erano obbligare a spargere il sangue per la Patria , non potevano ottenere il premio della vittoria. Degli sfigati insomma . I Patrizi , invece,  si arricchivano con la pratica dell’usura e dividendosi le terre sottratte al nemico.

Insomma, tira e ritira anche la corda più resistente finisce per spezzarsi , così la plebe ne ebbe abbastanza e, proprio mentre la città era minacciata dai popoli vicini , si ritirò sopra una collina , che fu poi detto Monte Sacro – sì , bravo ,  si tratta proprio della zona dove abitiamo adesso  - lasciando ai patrizi la difesa delle loro terre , visto che alla fine della giostra chi ci guadagnava erano solo loro.  E’ a questo punto che spuntò fuori il primo sindacalista  di regime che , fingendo di difendere i sacrosanti diritti del popolino oppresso ,  si schierò in realtà con la Confindustria dell’epoca spacciando ammorbidente tra la folla in cambio di gloria e laute prebende .

 

Menenio Agrippa

 

er tentare un accordo il Senato inviò infatti il patrizio Menenio Agrippa , molto amato dalla plebe che anche allora era mollacciona e d’indole fin troppo pacifica . Menenio salì sul monticello , poi riprese fiato ,  sfoderò la sua eloquenza e attaccò la seguente pippa :

“Una volta le membra del corpo si ribellarono contro lo stomaco, perché ritenevano che vivesse da ozioso impinzandosi delle pietanze che esse gli procuravano con molta fatica. Per punirlo decisero di lasciarlo morire di fame : le gambe e i piedi non si mossero più , le braccia smisero di lavorare e non accostarono nemmeno più il cibo alla bocca .

Ma così continuando le membra s’indebolirono e alla fine finirono col persuadersi che se esse lavoravano per lo stomaco , questo a sua volta dava loro sangue , forza e vita.”

Così fecero la pace , lo stomaco continuò ad abbuffarsi e le membra a faticare . Non tutti erano convinti , qualcuno non ci vedeva chiaro e , forse per via della fame , scorse alcuni insidiosi cetrioli volare pericolosamente bassi . Ma allora come oggi  bastarono poche chiacchiere per convincere i più e lasciare le cose come stavano e il significato che tutti diedero all’apologo era quello stabilito fin dall’inizio dai notabili del Senato  : corpo umano , stomaco , membra , altro non erano che Repubblica , Patrizi e Plebei . Se le diverse classi di cittadini sono in lotta tra loro tutte ne soffrono e la Patria va in rovina , i cetrioli raggiunsero così il loro bersaglio e tutti , chi con la schiena dritta, chi piegato a novanta gradi , vissero comunque felici e contenti .

A questo punto Menenio , non ancora pago del successo ottenuto , ritornò in città e volle che certi suoi magistrati , detti tribuni , che difendevano la Plebe contro gli abusi dei Patrizi , godessero il privilegio della inviolabilità personale . Nessuno di quei poveracci capì al momento che tale mossa non era per salvaguardarli dai patrizi , di cui altro non erano che subdoli complici, ma dalla rabbia del popolino che prima o poi si sarebbe resa conto dell’inganno .

Era il primo vagito del sindacato ufficiale , i cobas , per il momento , rimanevano al palo in attesa di tempi migliori , nel frattempo i centurioni romani avevano anche trovato il tempo per sconfiggere la lega latina nella battaglia del lago Regillo496 a.c. – e Roma aveva consolidato il suo potere sul territorio.

 

Coriolano

 

n superbo patrizio, espugnatore della città di Corioli – non chiedermi dove fosse perché non ne ho la minima idea  -  e proprio per questo chiamato Coriolano, disprezzava in modo particolare la plebe e cercava in ogni modo di opprimerla. Un vero infame insomma. L’odio che si attirò fu tale , che non solo non ottenne di essere console , ma dovette prendere la via dell’esilio. Mi sembra il minimo. Ora avvenne che Roma , sempre piuttosto litigiosa , si trovò in quel periodo in guerra coi Volsci e con gli Equi suoi vicini ,e Coriolano compì l’atto deplorevole di mettersi a capo dei nemici della Patria , per vendicarsi così dei torti ricevuti.

Giunto alle porte della città, gli furono mandati ambasciatori e sacerdoti per indurlo a desistere dall’impresa ma questi si mostro irremovibile.

Finalmente si recarono al campo la moglie coi figlioletti e la madre Veturia , il patrizio, appena scorse le donne , mosse loro incontro e fece atto di abbracciare la genitrice – mammoni sin da allora – ma questa lo respinse ammonendolo: “Prima tu dimmi se tu sei mio figlio o un nemico di Roma !“

Coriolano non ebbe più animo di resistere , e stringendosela al cuore  - mentre la moglie rosicava chiedendosi quando si sarebbe deciso a staccare quello stramaledetto cordone ombelicale – esclamò : Madre, hai vinto!”

I Volsci e gli Equi , abbandonati da Coriolano e dai fuorusciti Romani che con lui avevano fatto comunella , dovettero così tornarsene al loro paese e Roma fu salva , pare però che , per vendicarsi , uccisero chi li aveva traditi . Sulla scia di storie come queste nacque più tardi la sceneggiata napoletana e tutto quel che, tristemente, ne consegue.

 

I Fabi

 

 

uesta è una storia che conoscono in pochi , ma papà , come ben sai ,  è un po’ fissato , per cui , anche se probabilmente non la troverai sui libri di testo , ti toccherà comunque ascoltarla.

Quella dei Fabi , una delle più illustri di Roma antica, era una di quelle che oggi chiameremo una famiglia allargata , ma quando si esagera si esagera visto che sembra fosse addirittura costituita da più di trecento persone. Ovvio pertanto che non si poteva andare tutti d’amore e d’accordo , fu così che , per sottrarsi alle discordie interne, uscirono dalla città e si accamparono di fronte ai Veienti  , uno dei tanti popoli che ne minacciava la sicurezza, e per due anni si opposero da soli all’irrompere del nemico.

Un giorno però caddero in un agguato e furono trucidati , tutti tranne un fanciullo che , per sua fortuna , non si trovava al campo . Così quella gloriosa casata non andò completamente distrutta e diede altri insigni uomini alla Patria , li troveremo più avanti , per cui per ora tieniti la curiosità e continua a leggermi perché è arrivato il momento di presentarti l’amico Cincinnato , il mio preferito, uno che faceva quel che doveva senza star lì a chiedere ricompense , forse il primo della storia , e in verità non ne sarebbero seguiti molti .

 

Cincinnato

 

 

l console romano Minucio , siamo attorno al 458 a.c. , si era lasciato circondare , con tutto il suo esercito , dagli Equi sopra una vetta dei Colli Albani , dalle parti dei Castelli Romani per capirci . In così grave pericolo Roma volle affidare la sua difesa a un Dittatore , cioè ad un magistrato che doveva durare in carica , con poteri assoluti , il tempo necessario per far fronte all’emergenza che , in quel caso , si era stabilito fosse , giorno più , giorno meno , di circa sei mesi . Si rivolse così ad un virtuoso patrizio – di solito erano virtuosi solo i patrizi perché i plebei avevano ben altro a cui pensare – Quinzio Cincinnato , così soprannominato per via dei suoi capelli ricci . Questi viveva ormai da povero contadino in campagna , occupandosi del suo orticello e facendosi bellamente i fatti suoi.

Quando giunsero i messi del Senato Cincinnato guidava i buoi aggiogati all’aratro , li scorse da lontano e alzò gli occhi al cielo chiedendosi cosa diavolo volessero . Asciugatosi il sudore che gli grondava dalla fronte , si fece portare la toga , la indossò in segno di rispetto – senza naturalmente prendersi la bega di darsi almeno una sciacquata – e rimase in piedi ad ascoltarli .

Saputo ciò che desideravano da lui si volse verso la moglie e le disse : “ Temo che per quest’anno il nostro campiello rimarrà incolto .” Subito dopo partì per la città a compiere il suo dovere . Così mentre , l’inviperita signora Quinzio gli lanciava moccoli - dovendosi occupare , oltre che di lavare , stirare e crescere i figli , anche dell’orto -  egli raccolse tutti gli uomini validi alle armi , marciò contro il nemico , lo sconfisse e liberò il console Minucio , l’unico che , in tutta questa bella storia,  non ci fece davvero una gran bella figura.

A questo punto Cincinnato non pretese che di potersene tornare bel bello alla modesta vita dei campi , senza onori né ricompense , a casa non l’aspettava una buona accoglienza , ma questa è un’altra storia , materia da consultorio familiare che comunque non ci compete .  

Intanto a Roma la giustizia viene amministrata un po’ alla buona , c’è un bel po’ di confusione , le leggi non sono scritte ma tramandate di bocca in bocca e , come è facile intuire , l’interpretazione molto soggettiva , viene così nominato un decemvirato perché ci si occupi di redigere una serie di norme ben precise , è il 449 quando vengono finalmente promulgate . Sono le cosiddette Leggi delle XII tavole , ad elaborarle una decina di saggi , i decemviri appunto , che  a questo punto , assaporato il gusto del potere  , ci provano e insistono per restarsene in carica casomai ci fosse ancora bisogno di loro . Ma una sollevazione popolare li convince ben presto che non è cosa , i Romani ormai si sono fatti furbi ,  così , presi codici e codicilli , se ne tornano a casa loro con la coda tra le gambe.

A bussare alle porte di Roma , nel frattempo , un popolo bellicoso proveniente dall’odierna Francia , tu mettiti comodo , vado a farmi un caffè e poi te li presento. 

 

 

I Galli

 

rano chiamati Galli gli antichi abitatori della Francia , detta allora Gallia . Parte di costoro avevano valicato le Alpi e si erano stabiliti nella valle del Po , sino all’Adige , la Gallia Cisalpina insomma. Di là scesero verso l’Italia centrale e si spinsero in territorio romano. Presso il torrente Allia essi misero in fuga un esercito romano di quarantamila uomini . Immaginati un po’ lo spavento di Roma!  

I cittadini abbandonarono in preda al panico la città e i Galli entrarono dandosi al saccheggio e alla devastazione come avrebbero fatto diversi secoli dopo i loro discendenti agli ordini di un piccolo generale con manie d’onnipotenza , ma è presto per parlarne .

Rimasero in piedi soltanto poche case e alcuni templi. Anche il Campidoglio, ultimo rifugio dei pochi romani rimasti , fu cinto d’assedio ; ma resistette a lungo , benché i difensori si riducessero ormai a nutrirsi col cuoio degli scudi e delle scarpe , prima macerato e poi cotto .

E tu che ti lamenti quando devi fare merenda con le crostatine perchè è finita  la nutella !!!!!

Alla fine gli invasori , stanchi d’aspettare la capitolazione, si accontentarono di un compenso di mille libbre d’oro e se ne tornarono di corsa alle loro terre che , nel frattempo, erano minacciate dai Veneti . Anche stavolta insomma rimediammo una sconfitta  mascherata da pareggio , per batterli sul campo avremmo dovuto aspettare i mondiali del 2006 , ma anche questa è un’altra storia.

Nel frattempo , per nascondere questa nuova debacle , era necessario ricorrere ad una delle solite leggende e in questo i romani erano veri maestri , la troverai nelle prossime righe.

 

 

Furio Camillo

 

 

amillo, vincitore di Veio , ingiustamente accusato da pochi invidiosi della sua fama , si trovava in esilio ,quando seppe dell’invasione dei Galli.

Di fronte al pericolo che correva la sua diletta Patria , egli dimenticò l’ingratitudine dei suoi concittadini e i torti ricevuti , radunò i soldati dispersi , volò in soccorso di Roma e vi giunse appena in tempo per salvarla dalla vergogna.

Un tal Brenno infatti , capo dei Galli , pesava le mille libbre d’oro pattuite per togliere l’assedio ma ci faceva la cresta usando dei pesi fasulli . I Romani , che non erano per niente scemi, se ne accorsero e glielo fecero notare. “Guai ai vinti!” gridò l’energumeno , e gettò sulla bilancia , nel piattello dei pesi, anche la sua spada .

Proprio in quel momento Camillo gli piombò addosso esclamando : “ Non è con l’oro , ma col ferro che Roma riscatta la sua libertà” e cominciò a menar le mani come un forsennato, ben presto imitato dai suoi compaesani che , in un impeto d’orgoglio, presero le armi contro l’invasore. 

Una battaglia che non ti dico, un vero massacro, ad avere la peggio furono naturalmente i Galli invasori , mentre il liberatore della Patria fece riedificare la città distrutta e si meritò il nome di secondo Romolo.  I  Romani , riconoscenti , gli innalzarono così una statua nel Foro.   

Siamo nel 390 , più o meno mezzo secolo di tregua poi si ricomincia con le solite scaramucce .

Dopo aver consolidato il predominio sui popoli vicini l’attenzione di Roma si spostò sulle floride regioni meridionali sulle cui coste fiorivano i commerci delle colonie greche, il richiamo di questi approdi facevano però gola anche ad un fiero popolo stanziato sui monti dell’Abruzzo, i Sanniti. La lotta tra le due popolazioni durò la bellezza di 50 anni e, tra alterne vicende, si concluse con la vittoria romana nel 290 a.c.

Mentre tentano di sedare una ribellione dei Latini , che pretendono insensatamente i loro stessi diritti ,  scoppia la prima guerra sannitica , vinta dal console Valerio Corvo sul monte Gaura nel 343 ma è solo l’inizio. I romani vengono infatti sconfitti dai Sanniti nella battaglia di Caudio nel 321 e sottoposti all’umiliazione delle “Forche caudine” . Di che si tratta ? Te lo dico subito , aspetta solo un momento , devo fare pipì , tu aspettami qui e intanto ripassa mentalmente la lezione fin qui svolta. 

I Romani, impegnati nella seconda guerra sannitica, furono accerchiati mentre attraversavano una stretta gola dell’Appennino Meridionale fra Campania e Sannio – le forche caudine appunto -  dalle truppe nemiche e costretti alla resa. Fu loro concesso di ritirarsi ma dovettero passare sotto il giogo , un ‘umiliazione che non venne mai dimenticata. Tanto che i romani la vendicarono nella terza guerra sannitica quando, guidati da Marco Attilio, sconfissero i sanniti , che, nonostante l’eroica resistenza , furono fatti passare nudi sotto il giogo a loro volta , a quel punto Roma aveva lavato l’onta e , anziché costringere il nemico ad invocare la pace,  lo fece diventare suo alleato, con il solito giochetto del divide et impera .

E’ il 312 quando il censore Appio Claudio fa costruire la prima via lastricata , congiunge Roma a Capua e prende da quello del suo ideatore il nome di via Appia , appena l’anno dopo scoppia una nuova guerra , quella contro gli etruschi , Roma ovviamente ha la meglio e penetra nell’Etruria centrale, Successivamente vince la resistenza dei Sanniti che , pur restando indipendenti , devono rinunciare al possesso della Campania e , con il dittatore Marco Valerio Massimo , trionfa sugli Etruschi e sui Marsi  . Ma non c’è pace , nel 290 si conclude la terza guerra Sannitica con la resa dei Sanniti , a questo punto tutta l’Italia centrale è nelle mani dei Romani anche se i Galli non si danno ancora per vinti e continuano ad impegnare scontri sul territorio.

Il tempo per promulgare la Legge Ortensia , voluta dal dittatore Ortensio, che riconosce valore legale ai plebisciti votati dai Concili della Plebe – un bel passo avanti – e si torna a menar e mani .

 

 

 

Pirro

 

tavolta a doversi preoccupare dell’espansionismo romano i tarantini. Sembra che Roma ce l’avesse con loro perché le avevano affondato cinque navi nuove di zecca , ma si tratta probabilmente della solita scusa necessaria ai guerrafondai per giustificare il ricorso alle armi , il casus belli insomma.  Comunque sia andata la città di Taranto si rese conto che da sola non avrebbe potuto farcela e chiese aiuto al re dell’Epiro , tal Pirro , costui sbarcò in Italia e sconfisse i romani ad Eraclea , è il 280 a.c.

In questa battaglia , per la prima volta, apparvero in campo venti elefanti, carichi di torri sormontate di guerrieri armati di lance e frecce. Pirro la spuntò ma la vittoria gli costò molto cara , tanto che da allora , quando si fa riferimento ad una vittoria che ha l’amaro sapore di una mezza sconfitta , si ricorre alla perifrasi “vittoria di Pirro”. Ma questo , sono certo , lo sapevi già.

Forse non conosci invece la storia di Fabrizio, sono in pochi a conoscerla e difficilmente potrai trovarla nei libri di storia.

Dopo lo scontro Caio Fabrizio, valoroso condottiero, già due volte console , fu mandato da Pirro per trattare la restituzione dei prigionieri . Pirro tentò con l’oro di trarlo dalla sua parte , ma il romano respinse i doni dicendo : “Offrili agli schiavi che non hanno amore di patria!”

Tentò allora di spaventarlo con l’improvvisa apparizione di un elefante che gli posò la proboscide sulla testa . Ma Fabrizio sorrise dicendo : Come non mi sedussero i tuoi doni , così non mi fa paura il tuo elefante.”

Il re epirota capì che da quel tipo non avrebbe ottenuto solo risposte sprezzanti e ne ebbe abbastanza concesse così ai prigionieri di recarsi liberi a Roma , facendosi però promettere che , se la pace non fosse stata conclusa , sarebbero tornati al campo . Ma i prigionieri , contro le sue speranze , non proposero la pace al Senato e , fedeli alla promessa, tornarono a costituirsi. Molti si chiedono , tra questi il sottoscritto, perché tornare a casa per poi tornare indietro se non era loro intenzione proporre quanto richiesto da Pirro . Comunque non è dato saperlo , per cui dovremo restare tutti con la curiosità .

A questo punto Pirro trangugiò una massiccia dose di Malox e mandò ambasciatori a Roma per proporre un accordo. Niente da fare, non ottenne nulla , il vecchio senatore Appio Claudio si mise in mezzo e disse loro : “Esca prima il nemico dal nostro territorio , e poi tratteremo la pace!”

Si combatté un’altra battaglia presso Ascoli , e anche questa volta il Re vinse ; ma ebbe tali perdite da esclamare : “Ancora una vittoria come questa, e noi saremo spacciati!”

La leggenda narra ancora che il medico di Pirro un giorno offrisse a Fabrizio di avvelenare il proprio Re , a patto di ricevere un lauto compenso dai romani. Fabrizio , indignato per l’infame proposta  , denunciò a Pirro quel vile, e Pirro, commosso dalla lealtà romana – pare infatti che alla fin fine fosse un tenerone -  lasciò liberi tutti i prigionieri di guerra e disse : “E’ più facile deviare il sole dal suo corso , che Fabrizio dal cammino della virtù.”

Tu non credere a tutto , i romani non erano affatto quel che gli adulatori della storia vogliono farci credere , erano uomini e come tali anche spergiuri e traditori , ma soprattutto Pirro era un mezzo selvaggio che frasi come quelle non se le sarebbe mai nemmeno sognate. Ma questo resti tra noi , non andarlo a raccontare ai tuoi professori , mi raccomando , non si sa mai.

Fu poi conclusa una pace onorevole . Ma da lì a qualche anno le ostilità furono riprese e si combatté un’ultima battaglia a Malevento ( ribattezzata per l’occasione Benevento). Gli elefanti , questa volta,  colpiti dalle saette infuocate dei romani , portarono lo scompiglio fra le loro genti . I romani insomma ebbero la meglio , dopo di che Pirro se ne tornò in Grecia e fu fatto fuori ad Argo .

 Fu così che anche Taranto , le migliori colonie greche e così tutta l’Italia meridionale, furono assoggettate a Roma . Siamo nel 270 avanti Cristo , l’Italia  , dalla Toscana allo stretto di Messina , era ormai praticamente romana.

 

Le tre guerre puniche

 

 

a ai romani prudevano le mani , niente da fare , così nel 264 raccolgono l’invocazione dei Mamertini, mercenari campani che l’anno prima  avevano occupato Messina dovendosela vedere con Siracusa e si scontrano con la potente città di Cartagine che aveva un presidio proprio a Messina. E’ il casus belli , scoppia così la prima guerra punica.

Sulla spiaggia africana fioriva anticamente una città potentissima chiamata Cartagine, tra Roma e Cartagine si ebbero due lunghe guerre dette puniche , perché Puni erano chiamati a quei tempi i cartaginesi , la prima guerra avvenne per il possesso della Sicilia e fu vinta dai Romani per terra e per mare. Roma non aveva un flotta potente ma , considerata la preponderanza di quella cartaginese, in meno di due mesi allestì centoventi navi e ne diede il comando a Caio Duilio che riportò una grande vittoria presso Milazzo. Dopo ventire anni di lotte , e dopo un’altra vittoria dei Romani presso le isole Egadi fu conclusa la pace.  I Cartaginesi dovettero cedere la Sicilia e le isole vicine e pagare un forte somma di denaro quale risarcimento di guerra.

Durante questa prima guerra  un tribuno di nome Cedicio , con poche centinaia di soldati , salvò l’intero esercito che si era lasciato sorprendere n una stretta vallata. Ma non tutto filò liscio , si narra infatti che il Console Attilio Regolo , mandato in Africa a combattere i Cartaginesi, fu sconfitto e cadde prigioniero. Ecco quel che seguì. 

Per ottenere la pace , i Cartaginesi inviarono a Roma lo stesso Attilio Regolo , facendosi promettere che, se la pace non fosse stata accettata , egli sarebbe ritornato prigioniero, L’eroico Console consigliò i Romani a continuare la guerra, poi , come se niente fosse, resistendo alle preghiere della famiglia e degli amici, fedele al giuramento , ritornò a Cartagine . La storia la conosciamo già , ricalca grosso modo quelle che ti ho già raccontato, ma al povero Regolo non andò altrettanto bene come a tanti suoi illustri predecessori , fu infatti rinchiuso in una botte irta di chiodi e precipitato giù da una montagna. Brutta fine poveraccio.

La seconda guerra punica avvenne perché i Romani , durante il periodo di pace, avevano tolto ai Cartaginesi le isole di Sardegna e Corsica.

I Cartaginesi , lividi di rabbia, mandarono allora in Italia Annibale, un celebre condottiero, il quale sin da ragazzino aveva giurato odio eterno contro i Romani. Con un poderoso esercito varcò i Pirenei, attraversò la Gallia , superò le Alpi e sconfisse i Romani per ben tre volte : sul Ticino, sulla Trebbia e sul lago Trasimeno. Una batosta da paura.

Ancora una volta Roma fu costretta a provvedere alla sua salvezza eleggendo un dittatore, Quinto Fabio Massimo . Ma questi seguì la tattica di stancare il nemico molestandolo continuamente , senza però avventurarsi mai in una battaglia decisiva. Per questo fu soprannominato il temporeggiatore. Ai Romani , maneschi ed impulsivi come li conosciamo, quei sistemi non andavano per niente a genio, così , richiamarono il fin troppo prudente Fabio Massimo e lo sostituirono con Paolo Emilio e Terenzio Varrone , quest’ultimo figlio di un semplice beccaio , sì , un beccamorto insomma , vabe’ , impresario di pompe funebri. Adesso hai capito ?

Bene, anzi, male, infatti anche a loro non andò meglio, rimediarono infatti una pesante sconfitta a Canne , dove persero più di quarantamila soldati , ci rimise inoltre la pelle lo stesso Paolo Emilio insieme a un’ ottantina di  senatori.

Grande fu lo sgomento a Roma per questa disfatta. Ma la gloriosa Repubblica non si perse d’animo, e mentre Annibale svernava con le sue truppe presso Capua , ricompattò gli animi e  organizzò un nuovo, più forte, esercito.

Sulla panchina fu richiamato Fabio Massimo , a cui si affidò il compito di fronteggiare l’esercito di Annibale , mentre il Console Claudio Marcello fu mandato in Sicilia , dove la città di Siracusa parteggiava per i Cartaginesi.

 

Archimede

 

a città siciliana si difese lungamente , sorretta dal genio di Archimede, il più celebre matematico e meccanico di quei tempi . Costui , benché vecchio e prossimo alla pensione, mise a servizio della Patria tutte le forze del suo poderoso ingegno.

Costruì meravigliose macchine che scagliavano pesanti massi contro le truppe nemiche, altre che afferravano le navi per la prua , le sollevavano in aria e poi le facevano sommergere o infrangere sugli scogli e, si dice, inventò anche una combinazione di specchi che le bruciavano a distanza . Un’ira di Dio insomma.

Tuttavia i Romani, nonostante tutto, per via di un tradimento, riuscirono ad introdursi nella città e la saccheggiarono . Marcello aveva ordine di rispettare la vita di Archimede , ma per pura sfiga anche questi fu ucciso da un soldato romano che non lo riconobbe . Alla domanda : “Sei tu Archimede?” il grande matematico non aveva infatti risposto perché assorto nella risoluzione di un problema geometrico. Meglio così  : un teorema in meno da imparare alle medie.

 

 

Scipione l’Africano

 

 

Romani riconquistarono la Sicilia , sconfissero presso il Metauro un esercito cartaginese e costrinsero Annibale a rifugiarsi nel Bruzio, l’odierna Calabria insomma...sì, bravo, proprio dove abita zia Marilena.

Dopo questi successi , Roma mandò in Africa un esercito comandato da Cornelio Scipione , già famoso per aver soggiogato la Spagna.

Egli vinse il nemico in diverse battaglie , così Annibale fu costretto ad accorrere in Africa per difendere la patria . Fu però battuto a Zama e , a questo punto , a Cartagine non restò che  concludere in fretta una pace rovinosa prima di rimetterci la stessa indipendenza. Annibale rosicò a lungo , roso dall’odio contro i Romani, poi decise di chiudere la sua avventura terrena e si avvelenò.

I Cartaginesi pagarono diecimila talenti , restituirono tutti i prigionieri e i disertori, consegnarono navi ed elefanti e diedero in ostaggio cento giovani scelti dalle loro più illustri famiglie.

Scipione, soprannominato da allora l’Africano, ebbe l’onore del trionfo e la sua immagine fu posta in Campidoglio per ricordo ai posteri.

Ma non durò , i Romani erano invidiosi e malfidati, così venne accusato d’essersi impadronito di una parte del bottino di guerra , ed egli, che era innocente – o almeno così si professò – sdegnò di difendersi e preferì morire in volontario esilio.  Gli si attribuirono le celebri parole : “Ingrata Patria, non avrai le mie ossa.” Bella frase , certo, ma ai Romani interessava altro , se ne accorgeranno in seguito altri grandi condottieri che finiranno dagli altari nella polvere e , nei casi più disgraziati, nella fossa, solo perché la loro ombra rischiava di offuscare , a torto o a ragione, quella della libertà.

Ma non è finita qua , i romani non si fidavano e la terza punica fu da loro provocata col pretesto che Cartagine non aveva rispettato i patti di pace. Veramente si era semplicemente limitata a reagire alle provocazioni di Massinissa , re della Numidia , che scorazzava per il territorio cartaginese saccheggiando e devastando , ma i Romani non aspettavano altro . Un forte esercito , comandato da due consoli, partì così di nuovo alla volta dell’Africa.

I Cartaginesi , per evitare il peggio , consegnarono le armi affidandosi alla generosità del nemico. Ma il Senato di Roma aveva decretato la distruzione completa della città, promettendo solo salva la vita a coloro che l’avessero abbandonata. Cartagine a questo punto si difese disperatamente per tre anni; i suoi cittadini fusero i metalli per farne armi, le donne fecero con il loro capelli corde per le navi e per gli archi, ma tutto l’eroismo di quel popolo non valse a niente. Il console Scipione Emiliano espugnò la città , la ridusse in cenere e poi fece passare l’aratro sulle sue rovine.

Colui che più aveva influito a mettere in atto il piano della distruzione di Cartagine era stato Marco Porzio Catone, un uomo di severi costumi che non rideva mai e si prendeva sempre troppo maledettamente sul serio. Frenò infatti il lusso dei Romani , perseguitò gli usurai , impose gravi tasse sui beni dei ricchi , sugli schiavi di pregio, sulle vesti e sulle gioie delle matrone. Una sorta di Visco dell’antichità insomma. Fu detto il censore dal nome dell’ufficio che esercitava , cioè di magistrato che vigila sui costumi dei cittadini. Un rompiballe.

Egli per tutta la vita predicò :Delenda Carthago!” Vale a dire :” Bisogna distruggere Cartagine” , i Romani, alla fine lo accontentarono. E’ il 146 a.c. , Cartagine non esiste più e il suo territorio diventa provincia romana col nome di Africa.

Nel frattempo i Romani avevano trovato anche il tempo di castigare gli illiri , occupare Medioanum annettendo la Gallia Cisalpina , conquistare la Dalmazia, costringere alla resa a Cinocefale, in Tessaglia, Filippo V e  dare una sistemata di massima alle province spagnole. 

 

indice