Capitolo 18
Quella stessa sera Gabriele
sentì bussare freneticamente alla porta della sua camera, si domandò chi
potesse essere e s’avvicinò sospettoso all’uscio.
“Chi è?”
“Sono io! Bianca!” Appariva
agitata. “Apri! Presto! Per amor di Dio!”
Spalancò la porta e se la
trovò davanti tremante , era pallida, sembrava
terrorizzata, si guardava alle spalle con gli occhi sgranati mettendosi
le mani tra i capelli arruffati. Rimase sbalordito da quella visita inattesa.
“Dio Santo! Cosa ti è
successo?” Le domandò invitandola ad entrare.
“Sono scappata ! “
“Un’altra volta?”
“Non c’è tempo da perdere! ”
Ingoiò a fatica “Mi staranno già
cercando. Dobbiamo andarcene ! Subito!”
Gabriele non perse tempo ,
afferrò la giacca buttata sul letto, si assicurò che nelle tasche ci fosse
ancora qualche banconota e , presa per mano la ragazza, uscì dalla stanza
tirandosi dietro la porta. Passò davanti alla guardiola, il portiere dormiva ,
come al solito.
“ Andiamo ! Presto! Dobbiamo
prendere il primo treno che ci porti lontano da qui!”
Bianca non rispose, si
lasciò trascinare fuori e percorse in silenzio il breve tratto che dalla
pensione attraversava viale Castro Pretorio e piazza Indipendenza per sbucare
in piazza dei Cinquecento.
Erano ormai nei pressi della
stazione quando una voce minacciosa li inchiodò.
“Fermati Bianca ! Non fare
un altro passo !”
La donna sentì gelare il
sangue nelle vene , restò impietrita , ma il compagno non si perse d’animo , la
prese per le spalle e cercò di scuoterla .
“Su !Vieni via! Muoviti!
Siamo vicini per Dio! Non devi fermarti!”
Ma quella rimase immobile ,
incapace di muoversi , gli occhi sbarrati, il viso contratto in una smorfia di
terrore.
Dal fondo del vicolo spuntò
un’ombra che si parò davanti ai due fuggiaschi, Gabriele riconobbe l’uomo che
l’aveva pestato la sera del suo arrivo.
“Dove credevi d’andare
stupida? ”
La ragazza non rispose ,
anche la paura era svanita lasciando il posto ad una muta rassegnazione.
Gabriele non osò muovere un muscolo, non sapeva cosa fare, avrebbe voluto
gettarsi contro quell’uomo ma temeva di peggiorare la situazione o ,
forse, non aveva abbastanza coraggio.
Era già buio , la luce dei
lampioni della piazza non raggiungeva quel vicolo nascosto, per strada non
c’era anima viva. All’improvviso apparve una seconda figura, la sagoma era
scura , non si vedeva la faccia ma nella penombra si distingueva nitido il
profilo dell’arma che impugnava . Senza parlare sollevò la rivoltella e la
scaricò sul corpo di Bianca. Rotolò a terra senza un gemito , il viso in una
pozza d’acqua che subito s’arrossò,
cercò lo sguardo del compagno , lo trovò . Incredulo e pietrificato dal dolore, Gabriele
s’inginocchiò le sollevò le spalle e se la vide morire tra le braccia.
Le posò delicatamente il
capo sul selciato e sollevò lo sguardo, fissò negli occhi l’assassino, digrignò
i denti fino a tremare per la rabbia poi gli si scagliò contro. Non riuscì
neanche a sfiorarlo, l’altro gli sparò a bruciapelo, cadde bocconi sull’asfalto
e li vide scappar via.
Non poteva credere di essere
sul punto di morire , solo in quel momento capì quel che stava perdendo. A pochi passi , in una pozza di sangue, il corpo inerte di Bianca . Si trascinò
verso di lei con la sola forza delle
braccia e della disperazione , la osservò un’ultima volta, le accarezzò il bel
volto irrigidito da quella morte tanto ingiusta. Il dolore che sentiva non
proveniva dalla ferita, solo guardandosi la mano lorda di sangue premuta contro
l’addome capì dov’era stato colpito, ancora
uno sguardo verso il cielo poi sentì arrivare gente e perse conoscenza.
Il pronto soccorso del Santo
Spirito era pieno , come al solito, nelle corsie il tradizionale coro
d’imprecazioni e lamentele indirizzato al personale sanitario. Quando passò la
barella nessuno badò a quell’uomo
portato di corsa in sala emergenze.
“E’ grave?”
Domandò il medico
all’infermiera di turno che si era
avvicinata alla lettiga per verificare
le condizioni del ferito.
Quando Maria riconobbe
Gabriele ebbe un sussulto.
“Dio mio!”
“Lo conosci?” Domandò il dottore preoccupato , nel constatare
quanto la sua assistente fosse rimasta sconvolta.
Ma la donna non rispose ,
con voce commossa lo chiamò.
“Gabriele! Gabriele mio! Che
ti è successo? Che ci fai qui?”
“Maria…” sospirò il ferito
sollevando a fatica le palpebre
“Maria…sei proprio tu?.”
Il chirurgo intanto aveva esaminato a fondo la ferita,la
ragazza cercò nel suo sguardo il conforto della speranza ma quello , sfilando
via i guanti macchiati di sangue , scosse il capo.
Ad un cenno del medico
portantini ed infermieri si allontanarono in silenzio per lasciarli soli .
Tutti obbedirono senza obiettare.
“Gabriele mio…che ci fai a
Roma?”
“Ero venuto a cercarti.”
“Perché?”
“Davvero non lo sai?”
Maria sorrise , gli strinse
la mano , aveva gli occhi gonfi di pianto. Stava per ribattere ma lui la fermò.
“Non chiedermi niente!
Stammi vicino. Non piangere …” la implorò quasi sussurrando “ nessuno deve più
piangere …nessuno… ti prego abbi cura di mia madre …non dirle d’avermi visto
morire….”
Non ebbe il coraggio di
confessarle che mamma Lucia lo stava già aspettando , il pugno si strinse
ancora più forte intorno alle sue dita . Qualche secondo , poi allentò la presa
, si era resa conto che in quella mano non scorreva più la vita, l’adagiò sul
lenzuolo , sfiorò quel viso spento con
una carezza e rimase a guardarlo commossa , infine gli chiuse gli occhi ,
lasciò libere le lacrime trattenute a stento fino a quel momento ed uscì da
quella sala.
Fuori, ad
aspettarla , un bel giovanotto in abito di flanella grigia , cravatta e
gilè. Aveva gli occhi vispi e un visino
pallido e pulito . Era magro come un chiodo, portava i capelli corti , pettinati all’indietro, sembrava ancora un
ragazzino. Tra le mani teneva un grosso volume di diritto privato , dietro gli
occhialini rotondi che gli conferivano un’aria da intellettuale si celava un ascetismo di maniera.
“Lo
conoscevi?” Le chiese asciugandole gli occhi umidi di pianto.
“Un
compaesano...un caro amico. Portami via.“ Aggiunse “Per oggi ne ho abbastanza.”
Uscirono insieme,
abbracciati, senza dire una parola.