DIARIO
In viaggio per le vacanze
Il cammino era lungo e faticoso,stipati nel sedile posteriore di una scintillante Fiat 1100 bianca con tetto verde,quattro piccoli diavoli
scatenati contavano le curve che li separavano da "Pagliarà sur la mère",come la chiamava papà riferendosi non certo al mare ma ai nauseabondi gomitoli di escrementi, prodotti dai bovini del luogo, di cui era particolarmente ricca quella terra d'Abruzzo.
La prima parte del tragitto fino a Tivoli scorreva abbastanza tranquilla,si cantava a squarciagola il repertorio anni sessanta oppure si passava il tempo con il gioco delle targhe che consisteva nello scovare tra le auto in transito quella più vecchia.
All'allegria della partenza subentravano tuttavia,man mano che il lunotto posteriore ingoiava l'asfalto, la stanchezza e la noia , puntuale ed inesorabile cominciava allora la lagna.
Trascorsa la prima ora si lasciava la Tiburtina e incominciava l'interminabile scalata dei Colli di Monte Bove ,un calvario di curve , buche e dossi che mettevano duramente alla prova i pneumatici consumati dal pietrisco di quella via polverosa e lo stomaco dei passeggeri.
Dai finestrini la strada bianca non ancora asfaltata ,si snocciolava lenta e soporifera sotto i nostri occhi rasentando il monte ,la monotonia si spezzava quando un'auto, proveniente in senso contrario, si affiancava alla nostra,in quel caso spesso papà era costretto a rallentare o addirittura a fermarsi quando la larghezza della carreggiata non consentiva il contemporaneo transito nei due sensi.
Incrociare la corriera lungo il percorso era una vera sciagura,superare su quelle strade sconsigliabile , non restava che accodarsi ed in breve un lungo serpentone di auto s' incolonnava lungo i tornanti impaziente di superare l'ostacolo non appena possibile.
Uno dopo l'altro tutti e quattro lasciavamo un po' di noi stessi , non intendo in senso figurato, ai piedi della montagna.
Anche per il conducente la stanchezza cominciava a farsi sentire , mamma tentava di tenerlo sveglio parlandogli, memore della preghiera di Nino Manfredi ai suoi compagni di viaggio ne "L'audace colpo dei soliti ignoti"," Dateme chiacchiera sinno' m'addormo!"
Nei sedili posteriori intanto c'era chi si lamentava per la sete,chi accusava mal di pancia e chi,più fortunato, era riuscito ad appisolarsi cullato dal tranquillo rollio dell'automobile.
A tarda sera finalmente,nell'oscurità s'intravedeva un fioco bagliore che ad intermittenza andava e veniva oltre le numerose curve che si susseguivano chilometro dopo chilometro,era la luce del villino della maestra alla periferia del paese.
La nausea e lo sfinimento svanivano come per incanto e tornava l'eccitazione della partenza.
La "materna genesi che lo stral d'Artemide trafisse",come la chiamava papà, ci faceva infilare i golfini ,l'aria s'era fatta più fresca,felici contavamo una ad una le ultime curve che ci separavano dall'agognata meta finché quel chiarore ,finalmente immobile, segnalava il lungo rettilineo finale che conduceva a Fonti Nova,la fida "1100" superava la fontana ,il villino di zio Italino e la villa di Lucrezia,sbirciando il buio al di sopra delle siepi alla nostra sinistra potevamo scorgere le pallide luci di Pagliara,pochi metri ancora e compariva il bivio,sotto la strada s'udiva, appena percettibile, lo scorrere dell'acqua di Fonti Canala in un silenzio rotto soltanto dall' incessante ritmo del verso delle cicale.
Era ormai buio quando la macchina affrontava ,sfinita ,l'ultimo nastro di strada bianca che dall' incrocio si srotolava lento formando una specie di braccio che all'altezza della retta piegava il proprio gomito fino a protendersi,oltre il piccolo camposanto, sino alle prime case del paese.
Papà con un ultimo sforzo parcheggiava alla "via della Madonna" il bravo "1100" che con un sordo brontolio s'addormentava stremato ma felice. Tutti a terra!
Sfregavamo le mani per il freddo fattosi pungente cercando di stappare le orecchie otturate dall'altitudine quindi iniziavamo a trasportare pacchi,valigie e borse a piedi fino a casa .
Paolo e Piero ,afferrate le sacche più pesanti, ci precedevano.
Prima di accingermi alla sfacchinata mi voltavo indietro e ,nel vedere la via del braccio avvolta nella più completa oscurità, valutavo, terrorizzato, l'agghiacciante eventualità di rimanere lì da solo,la paura dava un insospettabile vigore a quelle mie gambette storte che prendevano ad inerpicarsi con buona lena lungo la stradina fino a raggiungere quelle di papà cui m' accostavo rassicurato anche perché ero consapevole di quel che m'aspettava poco più avanti.
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