DIARIO

Compagni di scuola

La scuola comunque non era solo l' apprensione per gli scappellotti del maestro Favara e l'incubo delle quattro operazioni,era anche l'occasione per uscire più spesso di casa e di conoscere nuovi amici,Ruggeri e Ravaioli ,caratteristici esemplari di "homo secchione", in grado di allungare la lingua dal primo banco fino a sfiorare la cattedra,il commovente Coco che prima di entrare in aula doveva aiutare il padre nel lavoro e finiva per addormentarsi in classe,Filosa prepotente e ripetente ,il primo con cui venni alle mani e mi gonfiò come una zampogna ,e ancora Piccioni,Cacchio,Coscarella , tanti altri di cui non ricordo che il nome e naturalmente Franco Giuffrida ,l'amico del cuore.
Il primo giorno di scuola venne accompagnato dal papà che gli chiese dove volesse sedersi,si guardò un istante intorno poi indicò il posto vuoto accanto al mio.
Il primo banco lo si predilige solitamente per due ragioni ben precise, o perché si è particolarmente bravi quindi desiderosi di farsi notare dal maestro che ci osserva dal suo piedistallo, per mostrare quel che si vale,ed era il motivo della scelta mio compagno,o perché si è ciechi come una talpa e da quella distanza si intuiscono perlomeno i contorni della lavagna e questo era il mio caso.
In quella panca di legno nera come la pece,con quel buco al centro che mi divertivo ad imbottire di cartacce,sede storica del superato calamaio da poco rimpiazzato dalla più pratica penna biro,nacque giorno dopo giorno una sincera e solida amicizia che solo vent'anni dopo cominciò a scricchiolare stritolata dalle imprevedibili combinazioni della vita.
Insieme vivemmo le più importanti esperienze di bambini prima e di ragazzi poi,amici inseparabili superammo i primi ostacoli della adolescenza, uniti trascorremmo gli anni migliori a scherzare,ridere e giocare.
Quanti calci al pallone, quante gioie e delusioni d'amore confidate l'uno all'altro, quanti magici momenti condivisi.
Frequentavamo gli stessi amici,le medesime comitive , sognavamo amori eterni, finché trovammo la ragazza giusta e le nostre strade ,fino a quel momento perfettamente parallele, inevitabilmente si separarono.
Un capitolo a parte merita l'amore sconfinato che ho sempre nutrito per Pagliara , paese d'origine di mia madre.
Lo ricordo da sempre,nel mio cassetto conservo ancora la cartolina che zia Maria mi scrisse indirizzandola "al piccolo Marco Tiddi, Pagliara dei Marsi L'Aquila" nel giugno 1957,la mia nascita risaliva all'aprile di quell' anno, avevo quindi circa due mesi quando, con il mio bagaglio di pannolini , bavaglini e biberon ,percorsi per la prima volta la sinuosa via della Madonna per approdare presso le amate sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque.
Pagliara significava prima di tutto libertà, a Roma non potevo ancora uscire da solo, tutt'al più mi permettevano di scendere al negozio di vini e oli sotto casa o dal panettiere di fronte , in paese al contrario potevo muovermi liberamente., al sicuro dai pericoli della città, che mamma identificava principalmente nel fiume di automobili che transitava tra piazza Gondar e viale Somalia e nell'eventualità di cattivi incontri.
In verità rischi ce n'erano eccome,la montagna da scalare ,gli alti muretti situati nei caratteristici viottoli del paese dai quali ciondolare, le immense grotte da esplorare con i compagni di gioco,il tutto riccamente insaporito dall'incoscienza dell'età.
Chissà perché tutto questo faceva meno paura?
A Pagliara tutti si conoscevano , se non si era parenti si era perlomeno compari e le auto non potevano attraversare il paese,chi tentava l' ardua impresa di percorrere la stretta viuzza principale che saliva verso la Costarella, slittando su quelle pietre lisce e scivolose , il più delle volte ci rimetteva le fiancate dell'adorata Fiat 600.
Quando s'avvicinavano le sospirate vacanze estive e il caldo si faceva insopportabile non volevo sentir parlare di mare, per me esisteva soltanto quel paesino incastonato tra i monti della Marsica.
Mentre mamma preparava lo spuntino e il termos pieno d'acqua necessari al lungo viaggio, papà sudava nel laborioso tentativo di ammassare nell'angusto bagagliaio valigie,pentole e tegami ansimando e brontolando sotto il sole rovente che picchiava implacabile su Piazza Gondar.

-19-
pagina precedente
pagina successiva