DIARIO
Abbandonata infatti,dopo una ventina di metri la via principale, si scendeva a sinistra in una viuzza laterale inghiottita dalle tenebre che passava accanto alle macerie di un vecchio rudere,covo di streghe e orchi nella fantasia dei bambini, proseguiva a ridosso della chiesa parrocchiale, tra sterco di vacca, erbacce e sassi ,e sbucava infine nella piazza S. Salvatore accanto al monumento ai caduti, era la "via della chiesa", meglio nota ai bimbi del paese come la terrificante "via dei morti".
Percorso l'ultimo tratto con gli occhi sbarrati ,nel timore di perdere di vista papà ,proseguivo costeggiando il campanile della chiesa e scendevo finalmente sul sagrato.
La nostra villetta affaccia proprio sulla piazza così mentre papà si affannava a cercare furiosamente tra le altre la chiave del cancello verde, io, felice dello scampato pericolo, curiosavo tra le finestre illuminate delle case per controllare che tutti i miei amici fossero già in paese,finalmente la chiave giusta saltava fuori,un rapido saluto a zia Linda e zio Pompilio che abitavano lì accanto,poi di corsa giù per le scalette che conducevano verso il portone di casa.
Qualche minuto dopo ci raggiungevano mamma ed Aurora che avevano terminato la consueta via Crucis di saluti e baci a parenti e amici che villeggiavano nelle case lungo il percorso.
I fratelloni depositati i fagotti.sparivano in cerca degli amici.
Per me invece quella prima giornata era già finita prima di cominciare,
il viaggio era stato faticoso ,solo il tempo per aiutare mamma a disfare le valigie ,un saluto a zia Maria poi tutti a nanna.
Per fortuna ,riflettevo nel mio letto, ci sarebbe stato il giorno dopo,il sole avrebbe fatto un lungo giro attorno ai monti che cingevano il paese prima di lasciare ancora una volta il posto al buio della notte.
L'indomani arrivava puntuale, non era più il suono dei clacson che assediava Piazza Gondar a svegliarmi, ma il cinguettio degli uccelli
che facevano toletta sul noce che protendeva i suoi rami fino a sporgersi sulla veranda , il mattino ammiccava, dapprima qualche timido raggio di sole tra le imposte socchiuse,poi pian piano i dardi dorati s'intrufolavano curiosi nella stanza disegnando sulla parete misteriose figure che mi sforzavo d'interpretare.
Mamma che s'era alzata presto poco dopo rientrava in camera con il latte caldo.
Era ora d'alzarsi!
Una rinfrancante pisciatina facendo bene attenzione a sistemarlo tra una sbarra e l'altra del parapetto per non bagnare la veranda e farla scorrere direttamente nel prato sottostante,(il bagno esterno c'era ,ma vuoi mettere il gusto di fare pipì all' aperto!) una veloce colazione ,un lavaggio piuttosto approssimativo a denti e viso,il tempo strettamente necessario per infilare mutande,calzoncini e maglietta ed ero pronto per uscire.
L'aria era frizzantina,il cielo terso ,cominciava la pacchia!
Al di là del cancello, in cima alla scala ,m'aspettava il paese delle meraviglie.
Lungo la via incontravo uno ad uno gli amici e insieme andavamo a svegliare i più pigri.
Quanti eravamo!
Sandro,Sergio,Gianni d'Ottorina,Tonino,Maurizio, Remo ,Paolo del Marinaro,Paoletto di Memena,Nino,Paoletto di Licia, ,Massimino,Bruno, Gianni di Giustino,Luciano, e forse qualche altro che ora non ricordo,un'allegra brigata di svitati con una gran voglia di far danni e divertirsi.
Prima tappa d'obbligo,la bottega di zio Adolfo!
Con aria burbera c'impediva d'avvicinarci, troppo piccoli per giocare a carte,diceva lui,in realtà era terrorizzato alla sola idea di quel che avremmo potuto combinare ai tralci di vite che penzolavano dal pergolato che dava ombra alla veranda del suo negozio.
Armati di mazzafionda e cerbottana eravamo infatti un'orda di barbari in cerca di prede da cacciare, lucertole,nidi di uccelli o semplici grappoli d'uva .
Non ci restava che invertire la marcia e dirigere le truppe verso l'altro spaccio del paese ,quello di Nannina,la presenza con noi del figlio Sergio favoriva il nostro accesso al campo di bocce o alla saletta riservata al gioco delle carte.
Briscola , tresette a quarantuno ed eventuale bella ancora a tresette ma a cinquantuno,in palio per la coppia vincente il più delle volte una misera gassosa, prezzo politico quaranta lire,il sabato sera ,al ritorno in paese di gran parte dei papà da Roma per il fine settimana,nelle nostre tasche approdava la paghetta e il premio per i vincitori si faceva più interessante: una fresca e dissetante aranciata dal costo esorbitante di sessanta lire.
-21-
pagina precedente
pagina successiva