DIARIO

Monte Girifalco

Chi se la scorda più quella rete! Gonfio d' orgoglio ,con la gioia che sprizzava da tutti i pori me ne restai con i miei occhialetti sulla punta del naso, legati con l'elastico, a raccogliere l'applauso degli adulti e non m'accorsi nemmeno che la partita nel frattempo era ricominciata.
Poco dopo l'incontro terminò con il risultato di 3 a 2 a nostro favore ,il rientro in paese fu trionfale.
Se in programma non c'era niente di particolarmente interessante da fare non ci si perdeva d'animo,con buona lena ci arrampicavamo sul monte Girifalco per scalare la torre ,visitare le grotte di Beatrice Cenci o semplicemente raggiungere la Cona per giocare a "Tre, tre, giù, giù".
Il panorama che si gode da lassù è sbalorditivo,spalle alla nicchia della Madonna ridotta ormai ad un cumulo di macerie, eretta lassù in tempi lontani ,lo sguardo coglie, voltandosi ad ovest,il verde intenso di un manto erboso che tra cespugli e rovi spinosi sale verso la vetta dell'Arcigalante spesso avvolta tra le nuvole montate a panna.
Ad est le rovine della torre si stagliano minacciose contro il cielo azzurro mentre verso sud scendono piccoli sentieri appena visibili e rozze mulattiere lastricate di pietre taglienti.
Tornando sui propri passi verso la stradina che riconduce in paese si scorge l'incantevole ricamo dei pascoli erbosi di Pianezze .
Volgendo lo sguardo verso il basso, serpeggia la strada del braccio,un tempo bianca ,a metà sonnecchia il camposanto e in fondo, paciosa, se ne sta sdraiata Pagliara con i suoi tetti rossi ,la chiesa , il campanile e le sue casette raccolte in uno stretto abbraccio per darsi coraggio l'un l'altra.
La minaccia,la Pietra Incatenata ,il masso gigantesco che con la sua mole imponente se ne sta aggrappato alla montagna come una spaventosa spada di Damocle, è comunque tenuta a bada da una povera croce lignea,la crocetta, posta dai paesani a salvaguardia dell'incolumità del paese.
Indirizzando lo sguardo a nord infine, si domina la vasta piana del Fucino,dove in una baraonda di colori, spiccano mucchietti di case spruzzate qua e là,intervallati da campi di grano e prati verdi intersecati da stradine di campagna che raggiungono piccoli villaggi, case isolate e paesi operosi accovacciati tra le colline, da dove, lontano ma distinto, s'ode persino il vocio dei paesani.
In fondo, all'orizzonte s'intravede, quando il cielo è terso, il Monte Velino che s'erge maestoso come lo spettacolare fondale di un'opera teatrale.
Accennavo poco prima ai nostri ,non proprio idilliaci, rapporti di vicinato con i castellicchi, spesso quelli che cominciavano come banali litigi per i più futili motivi finivano per trasformarsi in feroci zuffe.
Tutti noi a parte Sergio,Tonino e Gianni,non eravamo che ragazzini di città in trasferta a Pagliara,pertanto francamente troppo mingherlini per affrontare i ragazzotti locali di Castellafiume fortificati dal lavoro dei campi e corroborati dalla vita all'aria aperta.
Ovviamente quando volavano gli sganassoni le prendevamo di santa ragione e non era raro il caso che a sera qualcuno di noi tornasse a casa con un occhio nero,tuttavia non ci davamo mai per vinti.
Arrivammo perfino a metter su una specie di palestra in una stalla nei pressi della nuova scuola , prendendo vigorosamente a pugni grossi sacchi di sabbia appesi alle travi cercavamo di irrobustire le braccia e indurire le nocche delle mani per poter render pan per focaccia ai villici d'oltre bivio.
All'insufficiente prestanza fisica tuttavia sopperivamo con l'astuzia.
Un giorno al ritorno da un'escursione sulla Cona,scorgemmo accanto al bottino dell'acqua,sopra al cimitero,nel punto dove il monte si divide in due versanti ,uno più pietroso l'altro ricco di vegetazione,un gruppo di puledri al pascolo senza custodia .
Li avevamo già notati, nei pressi del cimitero di Castellafiume quei cavalli, condotti da alcuni ragazzini con cui avevamo avuto uno dei soliti diverbi. Come si permettevano quei bifolchi!? Portare i loro animali a pascolare sulle nostre terre?
L'incoscienza dei ragazzi prese il sopravvento,la decisione fu unanime , afferrate le redini li portammo via,conducendoli fino alla via del Braccio .
Per fortuna un barlume di giudizio ci fece rinsavire e li abbandonammo legati all'albero della "Retta",un grosso albero,che oggi non c'è più, situato in un praticello accanto alla strada dove il "braccio" piega il "gomito",ombroso ristoro per chi, stanco, si ferma un attimo a riposare prima di riprendere il cammino e dove, nelle buie e tiepide notti estive, nacquero per tanti di noi ,acerbi e cocenti, i primi amori.

-25-
pagina precedente
pagina successiva