DIARIO
Il paese della cuccagna
Prima del pranzo mamma riempiva una grande tinozza d'acqua perché provvedessimo ad un sommario bagno che potesse renderci perlomeno riconoscibili, dopo una mattinata trascorsa a rotolare nell'erba dei campi attorno al paese o a giocare a nascondino in piazza.
Era più o meno quella l'ora in cui sopraggiungeva Maria d'Aldo con la conca traboccante dell'acqua gelata di Fonti vecchia in precario equilibrio sulla testa. L'acqua corrente all'epoca era ancora una chimera nelle case di Pagliara e per dissetarsi occorreva ricorrere alle varie fonti e polle d'acqua che sgorgavano nei dintorni del paese.
Bere direttamente dalla conca con il grande mestolo di rame dava tutto un altro gusto a quell' acqua fresca che in parte colava lungo il mento non trovando il giusto approdo alle labbra,un passo indietro per non farla gocciolare sulla maglietta,un respiro profondo per riprender fiato,poi ancora un lungo sorso per togliere la sete dopo una partita a pallone sotto un sole cocente o una dura scarpinata sui monti.
Riaccomodiamoci intorno alla tavola apparecchiata per il pranzo.
L'appetito non mancava mai in casa Tiddi,l'aria di montagna l'aumentava.
Piatti di pastasciutta,melanzane alla parmigiana e gustose polpette sepolte da una montagna di croccanti patatine fritte sparivano fagocitate dalla voracità di quattro cavallette fameliche, mamma nauseata dall'odore del parmigiano allontanava la formaggiera e spiluccava la frutta ,papà tentava improbabili diete lette sulle riviste estive e,tormentato dai morsi della fame, annusava l'odore di soffritto fissando inebetito la patata lessa con contorno di fagiolini sconditi adagiata malinconica nel suo piatto.
Disgraziatamente dopo il "frugale" pasto arrivava l'ora più detestata, quella del riposino pomeridiano.
Ahimè ! Paolo e Piero filavano subito via in cerca degli amici,i gemellini invece,restavano confinati in casa ,costretti ad un forzato sonnellino in attesa che il sole a picco si decidesse a dare corpo alle ombre.
Come animali in gabbia ce ne restavamo annoiati nei nostri giacigli in attesa che la corriera delle 15,30,la "Forletta-Porsinelli", raggiungesse Fonti nova e suonando il clacson segnalasse l'ora della nostra liberazione.
L'agognato suono echeggiava ancora nella valle ma noi eravamo già sgattaiolati via oltre il cancello inseguiti dalle raccomandazioni di mamma e papà.
Il pomeriggio era appena iniziato c'era tempo perché venisse a dargli il cambio l'ombra della sera.
Il manipolo di discoli in un batter d'occhio si riuniva di nuovo ,pronta a nuovi spassi.
Poco oltre la cabina della luce ,in via della Madonna, c'è un ampio strato di roccia liscia, è lì che convogliavamo quando si decideva di andare a fare lo scivolo.Una vera strage di pantaloni, quelli corti che si indossavano in quegli anni,in un solo giorno ne massacrai tre paia,mamma con pazienza tentava di ricucirli salvando il salvabile ma il compito era laborioso e l'esito incerto,d'altronde anche calzini,magliette e pullover, sterminati da arbusti,sterpi e rami spinosi non avevano vita facile.
Un giorno accadde l'irreparabile.
Correvo ,come al solito, a perdifiato dietro un pallone ,all'improvviso inciampai in una radice che spuntava dal terreno e stramazzai rovinosamente, per tutta la mia allora scarsa lunghezza, dentro un nauseabondo mucchio di letame di vacca.
Sì! Proprio così! Ero finito nella merda.
Altre volte mi capiterà in futuro ma mai in senso tanto letterale.
Non sto qui a descrivervi la faccia di mamma quando mi vide tornare a casa coperto di cacca,la guardai negli occhi poi, con la tipica espressione da cane bastonato, le dissi:
"Le scarpe però non me le sono sporcate."
Una puntualizzazione importante in fondo, considerando il massacro di calzature di cui ero capace all'epoca.
Non di rado c'incamminavamo verso i paesi limitrofi percorrendo decine di chilometri solo per andare a comprare il gelato a Petrella o per assistere alla festa patronale a Corcumello,non era certo l'energia che ci mancava.
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