DIARIO
La festa
Facciamo un passo indietro di qualche anno quando anche a Pagliara non uscivo ancora di casa senza essere accompagnato dai miei genitori.
Il venerdì pomeriggio sapevo che ci avrebbe raggiunto papà per il fine settimana ed insieme ad Aurora ,quando era prossima l'ora del suo arrivo,
uscivo sulla veranda dalla porta finestra della camera e mi sporgevo dalla ringhiera verde per tenere d'occhio la strada bianca che baluginava lontana trafitta dai raggi del sole.
Ero consapevole tuttavia che la mia percezione visiva avrebbe dato risultati piuttosto deludenti perciò tendevo l'orecchio a sventola attento al suono del clacson , sapevo che papà l'avrebbe suonato una volta raggiunto il bivio.
Puntuale la tromba dell'auto annunciava il sopraggiungere di papà e con lui del giornalino o del giocattolo che ero certo mi avrebbe portato.
Seguivo a fatica il puntino che percorreva la via del braccio fino a scomparire oltre la curva a gomito della retta per poi ricomparire oltre il camposanto e i miei occhi stanchi nascosti dietro le spesse lenti l'accompagnavano quasi sospingendolo fino all'ingresso del paese,
poi correvo verso il cancello per attendere l' apparizione del papone nazionale in carne,ossa e valigetta ventiquattrore, sicuro che quella sera, prima di coricarmi ,mi avrebbe letto una bella fiaba.
Sì,aspettavo emozionato quel suono di clacson come quello della "Forletta Porsinelli" o quello della banda la mattina della festa.
Già la festa…
Al mattino ,ancora sdraiato nel mio letto, captavo lontane le note del "Piave", suonate dalla banda,la musica pian piano s'avvicinava facendosi più forte,saltavo giù dal letto appena in tempo per accoccolarmi tra le gonne di mamma prima che il primo sparo annunciasse l'inizio dei festeggiamenti.
Lo sparatore ,Carlino mi pare si chiamasse, era appostato proprio sotto casa, nel campo dei Vignavi ,dopo aver acceso le micce lo vedevo scappar via verso il riparo più vicino ,un attimo dopo una fiammata saliva in alto annunciata da un prolungato e acuto sibilo,il cuore mi balzava in gola , poi,atteso ma non per questo meno temuto, il fuoco esplodeva violentissimo macchiando il cielo azzurro con una nuvoletta di fumo bianco,le pareti di casa vacillavano, il boato rintronava rimbalzando come una palla da monte a monte fino a spegnersi nell'ultima eco.
Impaurito abbracciavo le gambe di mamma accostandomi sempre di più sapevo infatti che quello non era che il primo dei tre botti che di lì a poco avrebbero turbato la tranquillità della vallata .
La piccola nube biancastra dell'ultimo sparo ancora si sfilacciava quando il silenzio appena ristabilito veniva nuovamente rotto dal ritmo incalzante delle campane che suonavano a festa,la folla che s'era avvicinata al muretto della Piazza per assistere ai fuochi,si raccoglieva davanti al portone della chiesa,all'ombra del campanile, commentando ad alta voce, per superare il suono delle campane ,l' esibizione di Carlino, prima di entrare in chiesa per la celebrazione della Messa.
I bambini eccitati correvano sulla piazza inutilmente esortati alla calma dalle mamme che temevano per il vestitino nuovo acquistato pochi giorni prima.
Anch'io il giorno della festa ero costretto a vestirmi come un manichino della Upim e a sottopormi a scrupolose abluzioni a orecchie,ginocchia e piedi, ad un meticoloso taglio delle unghie e ad un minuzioso lavaggio ai capelli, solitamente trascurati, prima di poter varcare la soglia del cancello che conduceva in piazza.
Non ero affatto contento, mi sentivo prigioniero di pantaloncini troppo aderenti che m'impedivano di fare lo scivolo lungo la croce eretta di fronte alla stele ai caduti ,di camiciole troppo eleganti che ostacolavano ogni mio gesto e di quelle maledette scarpette lucide e strette che attanagliavano in una ferrea ed implacabile morsa alluce e mignolo non consentendogli il minimo movimento.
Quei sottili cravattini che parevano strangolarmi poi!
Per fortuna dopo la Funzione e la processione che seguiva poco dopo, si tornava al caro e consueto abbigliamento, laceri calzoncini scuri,una pratica e confortevole maglietta a righe e calzettoni con elastico largo rigorosamente calati su un paio di comode scarpe da ginnastica già sufficientemente rovinate da non dover temere ulteriori danni nella probabile evenienza di incontri ravvicinati con palloni ,pietre e radici sporgenti.
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