DIARIO
Natale in casa Tiddi
I primi anni giocavo soprattutto con le bambole di Aurora,
fenomeno curioso indubbiamente,ma altrettanto singolare era la
circostanza che contemporaneamente la mia sorellina se la spassasse
con le mie pistole! (?) E’ probabile che mentre si ciondolava nel
ventre materno le idee si erano confuse e i ruoli invertiti .
Col tempo tuttavia l’aspetto virile di cotanto maschio ebbe il
sopravvento e le bambole da coccolare furono altre in carne e ossa
(particolarmente apprezzata la carne),ma non è il caso di parlarne ora,
la stagione degli amori ,dei foruncoli e degli ormoni in fermento è
ancora lontana.
Passiamo di palo in frasca (che cazzo vorrà dire ancora me lo
devo spiegare) e torniamo alle festività di Natale.
Che meraviglia quando arrivavano le “feste” ,quelle vere!
Quando la scuola chiudeva per quindici giorni,il freddo fuori si
faceva pungente e ogni tanto villa Chigi si tingeva di bianco!
Le strade intorno a Piazza Gondar erano tutte illuminate con
ghirlande di stelle comete abbracciate ai lampioni, riflettevano
sull’asfalto il loro scintillìo o si specchiavano nelle vetrine decorate
dei negozi. Abeti impreziositi da palle luccicanti ornati con fili oro e
argento,colori chiassosi e tanta gente che sciamava per viale Libia.
Non si badava a spese e l’aria di festa aleggiava intorno a tutte quelle
figure intirizzite raggomitolate nei cappotti e nelle sciarpe di lana.
Marco bambino non vedeva tra di loro volti stanchi nè poteva
scorgere indizi di vite disperate o immaginare storie tristi,Natale era
solo,gioia, allegria, doni da scartare e dolci da divorare.
In casa Tiddi torroni,panettoni e pandori non mancavano mai e
ancora oggi che papà non c’è più ,ricordo con nostalgia i pacchi dono
pieni di leccornìe,come le chiamava lui,che fino a che ci è rimasto
accanto ha continuato a regalarci insieme alla tanto ambita “busta” di
Natale.
La sera della vigilia senza di lui non è più la stessa, ascolti
ancora la sua voce divertita che t’implora di non mangiarti tutti i
torroni che hai scovato come sempre ,nonostante il vano tentativo di
nasconderli nei posti più impensati , osservi la sedia vuota attorno al
tavolo apparecchiato,avverti ancora la sua presenza sulla poltrona
rosa, , sua cabina di regia durante lo scambio dei doni, ti si chiude lo
stomaco mentre un nodo alla gola sembra volerti soffocare.
All’epoca in cui papà lavorava all’Intercontinentale in
occasione della Befana la Compagnia distribuiva ai figli dei
dipendenti i giocattoli .
Ricordo in particolare “il piccolo chimico”.
Un infausto giorno mentre approntavo chissà quale esperimento
sdraiato sul parquet della camera di Aurora,mi versai l’alcool sulla
mano che avvicinatasi incautamente al becco di Bunsen acceso ,prese
fuoco. Terrorizzato cominciai ad scuotere la mano che bruciava come
una torcia...un attimo dopo con vivo stupore mi resi conto che la
fiamma s’era spenta senza lasciare traccia di ustioni.
Compresi immediatamente che quello non era pane per i miei
denti e se è vero che una carriera di scienziato fu stroncata sul
nascere è pur certo che probabilmente salvai la pellaccia mia e di chi
mi stava vicino evitando pericolosi, ulteriori “ritorni di fiamma”.
Abbandonate bambole,spazzole e pettinitini cominciai a
trastullarmi con giochi da maschio ,prediligevo i minuscoli soldatini
dell’Atlantic e le costruzioni “Lego” ,gli amici con i quali dividere le
ore di svago erano Franco Giuffrida, mio compagno di banco alla
"Contardo Ferrini,dove frequentavo la scuola elementare e mio cugino Fabrizio.
Esisteva però un ostacolo di non poco conto:i due non potevano
vedersi,si odiavano cordialmente,così non potevo frequentarli
simultaneamente. Il primo all’epoca dei fatti era un bambinone
timido e grassottello ,“Scachetta”,soprannome conferito qualche anno
più tardi a Fabrizio,di contro,era indisponente e strafottente,si
divertiva un mondo a prendere in giro Franco e i litigi, quando si
stava insieme, erano inevitabili.
Che fare? Schiacciato tra l’incudine e il martello non potevo
andare a giocare a casa dell’uno senza che l’altro si offendesse.
Cercavo di smorzare i toni e di calmare gli animi ma era tutto inutile.
Fu così che inaugurai quella filosofia di vita che ancor oggi mi
sembra la migliore per evitare di massacrarsi le palle a forza di
smussare gli angoli ,il più delle volte quelli degli altri,”vivi e lascia
vivere.”
Resta tuttavia l’incognita che tu potrai pur far vivere gli altri come gli
pare ma non è detto che loro siano disposti a lasciarti campare in pace
e grazia di Dio.
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