DIARIO

Compagni di giochi

Il mio più caro amico abitava di fronte casa ,al civico 7 di piazza Gondar,dal balcone della camera da letto dei miei potevo vedere il suo,il telefono allora era territorio di caccia riservato ai soli genitori, per parlare tra noi non restava che l’alfabeto muto.
Non riesco ancora a capacitarmi di come riuscissi all’epoca ad interpretare i segni del mio compagno di banco a quella distanza, evidentemente la mia vista era più acuta ,oggi non sarei in grado di scorgerne la sagoma,probabilmente neppure a distinguere il balcone,forse a stento individuerei il palazzo.
Il gesto era inequivocabile ,aveva finito i compiti, mi precipitavo in camera,infilavo le scarpe ,le allacciavo alla buona (non era il mio forte allora ...nè oggi...) ,un cenno di saluto ed ero già fuori casa. Scendevo le scale a quattro per volta , in un baleno ero al primo piano,rallentavo prudentemente la corsa perchè i gradini si facevano più stretti,ma in fondo recuperavo con un balzo il tempo perduto. Come una freccia attraversavo l’androne,passando di fronte all’attonito Marino, il portiere, un attimo dopo ero sul marciapiede.
Uno sguardo a destra uno a sinistra, come m’aveva insegnato mamma, attraversavo la strada e m’infilavo nel portone di fronte.
Il gioco preferito in compagnia di Franco era quello del calcio adattato a quelle che erano le dimensioni della stanzetta che fungeva da campo di gioco , ovviamente anche le regole non erano esattamente le stesse. Piazzavamo le poltrone verde smeraldo,ai due angoli opposti della camera a guisa di porta ,ci disponevamo nel mezzo e appallottolato un giornale o più spesso un paio di calzerotti,il più delle volte lavati ma non necessariamente, cominciavamo l’incontro.
Lo scopo era quello di far rotolare quella palla sfilacciata sulla poltrona alle spalle dell’avversario colpendola con le mani,mai più di una volta.
Quando il clima lo consentiva e soprattutto quando la zia Rosa veniva a trovare Franco era per noi giorno di festa,la simpatica vecchina infatti ci portava a giocare a Villa Chigi con un pallone vero dietro al quale correvamo tutto il pomeriggio.
L’amico del cuore tuttavia aveva un rilevante difetto,era un secchione da paura, il dieci in tutte le materie era prassi consolidata e l’inevitabile confronto era sempre dietro l’angolo quando mamma controllava i miei voti ed esaminava con i miei insegnanti il mio rendimento scolastico.
Il sei stracciato,quasi un sei politico ante litteram,era il massimo che riuscissi ad ottenere fin dalle elementari dalle mie fragili meningi più indirizzate ad intrattenimenti ludici e ad esternazioni pueril-boccaccesche...insomma me piaceva da gioca’,collezziona’ figurine de’ carciatori e guarda’ le donne nude!
Un particolare articolo invidiavo però al mio amico,gli eleganti quaderni a spirale da cui si potevano agevolmente staccare i fogli da scarabocchiare.Mamma non me li volle mai comprare,forse perchè riportavo a casa da scuola solo le copertine ,falcidiate da pieghe e ghirigori, dei “normali” quaderni “Pigna”.
Durante le interminabili ore di lezione la mia mano svelta svelta tracciava sulle pagine malamente stracciate dal quaderno cruente battaglie di terra,di cielo e di mare.
Disegnavo centinaia di minuscoli soldatini che da un fronte all’altro della pagina si sparacchiavano contro schizzi d’inchiostro,le traiettorie degli “spari” tratteggiati a penna bic attraversavano il foglio colpendo a morte l’inerme fante che ,colpito a morte, veniva frettolosamente cancellato da un getto più denso d’inchiostro rosso. Dopo un’epica lotta il foglio di carta si trasformava in un immenso cimitero di scarabocchi,segnacci ,linee dritte,curve e gomitoli d’inchiostro che finivano in una spirale che svaniva in un buco nero ,un foro al centro della pagina dove tutto spariva in una baraonda infernale.
Gli incontri di calcio “virtuali” formato “pagina” seguivano più o meno le medesime direttive,una volta tratteggiato il rettangolo di gioco delimitato dalle linee bianche , definite le aree di rigore e il cerchio di centrocampo ,comparivano uno ad uno ,abbozzati con tanto di maglietta calzoncini calzerotti e numerino ,i ventidue giocatori che prendevano a calciare un puntino d’inchiostro diretti da un bacarozzetto nero e dai suoi assistenti disposti ai margini del foglio e incitati da un caloroso e rumoroso pubblico che fitto fitto era schierato sulle tribune munito di striscioni e bandierine che garrivano al vento ,non mancava nulla,persino gli sponsors e i fotografi a bordo campo trovavano posto su quel foglio di carta a quadretti.
Certamente non era difficile divertirmi con Franco,amavamo più o meno gli stessi giochi,più complicato trovare un punto d’incontro ludico con Fabrizio a cui piacevano i trenini elettrici...a me i soldatini...non restava che trasbordarli tutti sui vagoni e avviarli verso l’eroico e fatale combattimento che li aspettava lungo il cammino oltre la galleria di cartapesta.
Gioco divertente ,questo è certo,il nostro trastullo preferito era tuttavia far arrabbiare Flora,la “tata” della numerosa prole che stanziava,anzi, sciamava nell’appartamento di via Maestro Gaetano Capocci che era,nel frattempo, diventata la dimora di zio William e zia Nanda.
Quando quest’ultima, improvvida, usciva trafugavamo il pallone di cuoio dallo stanzino e cominciavamo a giocare in cucina,io dovevo centrare un’anta dell’armadio a muro dietro di lui mentre Fabrizio tentava di “segnare” colpendo la porta del bagno di servizio alle mie spalle che gemeva sui cardini percossa dalle pallonate.
Vano era il penoso tentativo della povera Flora di farci smettere minacciando il pronto resoconto dei nostri misfatti a chi di dovere, inutile il suo prodigarsi nel provare a strapparci la sfera assassina in un turbinìo di colorite imprecazioni,urla e colpi sordi contro le incaute e improvvisate porte da calcio.

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