DIARIO
Ciao papà.
Era una calda notte di fine settembre,dopo la tivù, messi a letto i bambini ,c'eravamo coricati anche noi per ricaricare le batterie, operazione fondamentale per affrontare le fatiche del giorno dopo.
Verso mezzanotte squillò il telefono, mi destai dal primo sonno, quello più profondo,cercai a tastoni gli occhiali, li inforcai e finalmente riuscii ad afferrare la cornetta: era mio padre,voce affaticata, stava male, mi pregava di raggiungerlo.
Indossati gli abiti piegati sulla sedia sopra il pigiama scesi in fretta le scale ,aprii del tutto il portone di viale Etiopia appena accostato e attraversai di corsa la strada che avevo percorso centinaia di volte per andare e tornare da casa al lavoro e viceversa.
Questa volta era tutto diverso, la luce dei lampioni appariva irreale ,la luce gialla del semaforo all'incrocio con il viadotto delle Valli lampeggiava sistematicamente come a scandire il tempo, spalancato con un calcione il primo pesante cancello aperto su piazza Gondar, con il cuore in gola mi affrettai a salire gli scalini che conducevano al secondo, lo trovai chiuso , m'attardai come al solito nel cercare di aprirlo con quella maledetta chiave deformata, schiusa la vetrata m'avvicinai ansimante all'ascensore…rotto!
Feci i gradini quattro alla volta fino a raggiungere il quarto piano arrivando finalmente alla porta di casa, papà ,pallido in volto il respiro affannoso, era lì ad aspettarmi.
Fece appena in tempo ad invitarmi a chiamare un'ambulanza, cosa che feci immediatamente, poi cominciò ad ansimare, sedette dapprima sulla sedia a dondolo collocata nel suo studio poi, rimessosi in piedi a fatica, s'avvicinò alla camera da letto e stremato si coricò sul letto, sudava, riuscì penosamente, appoggiando i palmi delle mani al materasso e sorreggendosi sugli avambracci ,a sistemare le gambe legnose sul letto fino a distenderle completamente poi si lasciò andare.
Sconvolto assistetti impotente al suo tormento e alla sua lenta agonia, madido di sudore teneva gli occhi appesi al cielo, il ventre si gonfiava e si sgonfiava mentre dalla gola usciva un rauco brontolio che accompagnava quel lento movimento . Mi attaccai di nuovo al telefono per sollecitare l'invio dei soccorsi, mi assicurarono che stavano per arrivare, avvisai i fratelli poi tornai da lui, steso sul letto la mano appoggiata sul petto l'altra pencolante dalla rete, continuava ad ansimare, sempre più forte. Intanto mamma accanto a lui s'era finalmente svegliata ma non sembrava ancora rendersi conto di quanto stesse accadendo, a riportarla alla realtà fu un'ultima accorata invocazione del marito: "Fernande' me sto a mori'!", poco dopo un tremore lo assalì e gli occhi divennero vitrei.
Gli rimasi accanto incredulo e lo vidi spegnersi poco a poco, le pupille svanirono dietro le palpebre, quando finalmente arrivarono gli infermieri non era più tra noi , anche se un flebile respiro pareva mantenerlo in vita.
"Dovevate avvertirci che era necessario un medico!"
Ebbero il coraggio di rimproverarmi.
"Non sapevo che la Croce Rossa trasportasse idraulici?"
Pensai.
Lo portarono giù per le scale avvolto in un lenzuolo come un sacco di stracci, suonai alla porta della sig.ra Sbrana perché salisse ad assistere mia madre, chiamai di nuovo Piero, era già uscito di casa, tornai sotto casa per citofonare a Lety ed avvertirla di quanto stava accadendo poi corsi a prendere l'auto per raggiungere l'autoambulanza che era partita a sirene spiegate verso il pronto soccorso dell' "Umberto I°".
Varcato il cancello dell'ospedale trovai Piero,mi vide, scosse la testa, poco dopo ci chiamarono per avvertirci che se n'era andato. Sempre di corsa porca Puttana! Anche in quel suo ultimo viaggio. Mai che fossimo riusciti a scambiare quattro chiacchiere ,giorno e notte con la neve in tasca, come soleva ripetere.
Gli avevo voluto un gran bene ma non avevo mai trovato il tempo per confidarglielo né ero riuscito a manifestargli la sconfinata ammirazione che nutrivo per lui e per quello che era riuscito a fare,
Di difetti ne aveva, eccome! Come tutti noi d'altronde.
Quando ci accompagnarono in infermeria e lo vidi immobile su quella barella con la consueta mise estiva, canotta bianca da panettiere tenuta in vita dai calzoni di un largo pigiama celeste, il volto sfigurato dagli spasimi delle ultime ore, mi mancò il respiro, un groppo mi serrò la gola.
Fu un momento difficile, il peso del lavoro che avevamo diviso in due fino quel tragico momento ricadde improvvisamente interamente sulle mie spalle, il travaso di portafoglio era in corso , ci trovavamo appena a metà della traversata, dovevo proseguire da solo con la sgradevole sensazione d'aver perso la stella polare , quel punto di riferimento dispotico e ingombrante ma sicuro e carismatico.
Avevo una gran paura di non farcela, in ogni caso non avevo altra scelta, mi rimboccai le maniche e, cercando di mettere in pratica i suoi insegnamenti e seguire i suoi preziosi consigli, riuscii a traghettare tutti incolumi sull'altra sponda.
Il capoccia lassù ,certamente fiero di quel suo ostinato figliolo che prendeva spesso di cappella, sarà felice di sapere che tutti i suoi affezionati clienti, cui tanto teneva, sono ancora all'interno di questo hard disk ,tutti quanti avvertono la sua mancanza ma nessuno si è sentito abbandonato.
Undici lunghi anni sono ormai trascorsi dalla sua morte , anni duri, difficili,spesso modulati da dubbi, ansie e preoccupazioni ma non per questo privi di soddisfazioni.
Da allora le stagioni hanno continuato a rincorrersi, ora lente ora rapide, l' interminabile calvario di mia madre, una nuova casa, un'altra creatura da crescere, un nuovo ufficio, gli inevitabili acciacchi degli anni che ti scivolano addosso .La sorte impassibile si è divertita a ritagliarmi addosso i giorni e le ore senza lasciarmi a disposizione altre opzioni, le necessità della vita hanno segnato la strada obbligata da seguire.
Fermi tutti! Mi sembra proprio il caso di tirare il freno a mano e ingranare la retromarcia,se proseguo su questa strada rischio di finire nel bel mezzo di una lacrimevole trama da telenovela.
Un passo indietro.
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