DIARIO
Viale Libia 189
Il 1994 segnò indelebilmente il definitivo tramonto della stella di mia madre. Il suo incontrovertibile declino trascinò inevitabilmente chi le stava vicino nella spirale dei suoi bisogni e delle sue,spesso umorali, esigenze,quel suo perenne atteggiarsi a vittima completò il disastro.
L'estate era torrida , una volta tanto ero riuscito a risparmiare quanto necessario per pagare una vacanza alternativa ed un principesco soggiorno in albergo a me e alla mia famiglia . Mi godevo il meritato riposo in Basilicata al Parco dei Principi, lussuoso hotel di Scalea , un tiro di schioppo dalle coste calabresi, quando fui raggiunto dalla ferale notizia che mamma era stata ricoverata al Forlanini per una frattura al femore riportata in seguito ad una sfortunata caduta tra le mura domestiche.
Come sempre più spesso accade nei nostri nosocomi , grazie alla simultanea incapacità di medici e paramedici e alla criminale gestione di direttori sanitari dall'inconfondibile stile sparagnino, quel che poteva apparire come un trascurabile infortunio, facilmente risanabile, finì per trasformarsi in un' irreparabile sciagura.
Preferisco non dilungarmi sugli effetti di tale criminale conduzione ,vi basti sapere che al primo raffazzonato intervento effettuato a distanza di circa due mesi dal rovinoso capitombolo - pare non ci fossero gli spiccioli necessari all'acquisto di comuni ferri chirurgici - seguirono, nell'arco dei successivi otto anni, altre tre operazioni di reinserimento della protesi oltre ad altrettante manovre di semplice riposizionamento in loco della stessa.
L'inutilità di questi tentativi condannò nel tempo mia madre alla quasi completa immobilità, una mezza dozzina di altri guai e malanni assortiti ne minarono definitivamente l' autosufficienza.
Convocata urgentemente una riunione di famiglia venne stabilita una priorità tassativa : vendere al più presto l'immobile dove abitavo per realizzare un capitale da destinare a fondo di garanzia per i futuri costi che fatalmente la progressiva malattia di lì a poco di mia madre avrebbe comportato.
Era arrivato - atteso e temuto - il tempo di lasciare le dilette stanze di viale Etiopia al nuovo spietato proprietario , occorrevano i quattrini per stipendiare una docile badante , la pensione del povero papà non poteva più bastare a coprire le spese che la nuova situazione esigeva, unica scappatoia l'immediata vendita di quel prezioso appartamento.
Nella stanzetta di Aurora soggiornarono alternativamente una decina di pretendenti all'ingrato compito di assistente a quell'esigente e recalcitrante inferma che, prima di scegliere la sua inconsapevole vittima ,ne soppesava meticolosamente le qualità ,sempre esigue a suo insindacabile giudizio, e i numerosi difetti.
Dalla mansueta filippina alla giunonica capoverdiana, dalla slavata ucraina all'insofferente polacca, tutte si sfiancarono nel vano tentativo di ammansire a turno l'indomabile vecchietta, riluttante ad ogni compromesso, solo l'aggravarsi dell' infermità ed il pernicioso sopraggiungere di nuovi disturbi ammorbidirono il suo temperamento vincendone alfine la strenua resistenza.
Ne siamo proprio sicuri?
Non lasciai scadere l'ultimatum per mollare le chiavi dell'appartamento messo in vendita ,mi diedi immediatamente da fare per sloggiare quanto prima. Per quanto temessi il devastante impatto che un costoso affitto avrebbe avuto sul budget familiare , si trattava in fondo anche dell'occasione tanto attesa da moglie e figli per traslocare in una casa più grande.
Era finita per la mia famiglia la stagione delle vacche grasse, prima di chiudere la porta dietro di me m'avvicinai al contatore e staccai la luce,l'ingresso piombò in un malinconico chiaroscuro mi voltai ad osservare un'ultima volta il chiarore che tentava di filtrare dalle persiane socchiuse per rischiarare quelle stanze ormai vuote, avvertii un morso allo stomaco ,sostai ancora un momento sul pianerottolo poi chiamai l'ascensore, lo stipai con gli ultimi fagotti e lasciai per sempre quella piccola casa.
Sistemate in spalla le bisacce,raccolte le vettovaglie e afferrate le valigie - tentammo di dimenticare le due bestiole ma fummo prontamente richiamati dal portiere - caricammo per la quarta volta il mobilio su un camion e ci dirigemmo poco lontano.
Il nuovo alloggio appena restaurato, preso in locazione per l'irragionevole canone mensile di unmilioneseicentomila lire, posto al quarto piano di un elegante palazzo di viale Libia con servizio di portierato, al civico 189, era composto da un piccolo ingresso, un ripostiglio,un ampio salone, una spaziosa camera da letto,una seconda cameretta ,bagno ,cucina e due balconi,uno esposto su viale Libia l'altro sul cortile, in totale centocinque mq. di superficie calpestabile.
Dopo tanto tempo i ragazzi avevano finalmente una cameretta tutta loro da mettere sottosopra ,io e mia moglie, ci auguravamo, un po' d'intimità.
La pacchia sarebbe durata poco.
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