DIARIO

Gabriele


Solo pochi mesi prima la vita m'aveva messo alla prova sferrandomi un colpo durissimo, un' esperienza dolorosa e imprevedibile che preferisco non rivelare a nessuno e cercare di rimuovere del tutto dalla memoria.
Nonostante la fondamentale svolta verificatasi nel mio cammino professionale che, trasformatosi in una sorta di telelavoro svolto tra le pareti domestiche , mi dispensava da eccessivi passivi, continuavo in ogni caso a trovarmi periodicamente in bolletta, così quando la mia fedele compagna mi confidò il suo desiderio di una nuova maternità rimasi da principio fortemente perplesso.
Crescere un figlio ad un età matura piuttosto per diventare nonno,non mi pareva uno scherzo, ciò nonostante un'ulteriore vigorosa sterzata al consueto tran tran di ogni giorno non posso negare mi stuzzicasse alquanto.
Il mio ubbidiente sottoposto non si fece pregare e in men che non si dica irrorò, al momento giusto, l'ancor feconda e navigata ovaia gonfiando nel giro di un paio di mesi la fiorente gestante come un palloncino.
Nove mesi più tardi, superati indenne frequenti episodi di nausea e vomito,la signora Liotta in Tiddi entrò in sala travaglio, questa volta al Policlinico Umberto I°, per dare alla luce il suo terzo gioiello.
Le regole bacchettone dell' ospedale selezionato per la nascita dei due precedenti eredi non mi avevano consentito l'ingresso in sala parto, ma stavolta era diverso non potevo assolutamente mancare, avevo prenotato un posto in prima fila.
Nel primo pomeriggio di quel 20 luglio di fine millennio raggiunsi la mia signora già ricoverata da qualche giorno per motivi di carattere prudenziale - il cordone ombelicale si era stretto attorno al tenero collo dell'irrequieto pargolo - nella seconda clinica ostetrica del nosocomio di viale Regina Margherita.
Indossati camice e mascherina verde accostai una sedia al lettino collocato in sala travaglio e attendemmo insieme senza particolari patemi l'arrivo della cicogna certi che ormai conoscesse la strada.
La lancetta più lunga del mio orologio da polso non aveva ancora effettuato un giro completo attorno al quadrante quando le contrazioni si fecero più ravvicinate e dolorose, capimmo che era arrivato il momento.
Traslocammo in sala parto dove in un primo tempo seguii alla lettera le inflessibili disposizioni del personale medico, sedendomi accanto alla protagonista femminile dello show per tenerle amorevolmente la mano e assisterla nella respirazione.
In seguito, nell'attesa, trovai anche il modo per proporre ad un'attenta e interessata infermiera ,incuriosita dalla mia professione, un conveniente piano di previdenza integrativa ma ,aspramente interrotto e redarguito dall'ostetrica di turno, dovetti desistere.
Improvvisa sopraggiunse l' inquietante metamorfosi della mia adorata panzona ,corrugò la fronte , contrasse quel suo visetto fino a quel momento tanto dolce e delicato in una smorfia di dolore poi ,stringendo i denti e prendendomi a parolacce, mi conficcò le unghie nel palmo delle mani , mi parve di assistere ad una sequenza dell'"Esorcista".
Il piccolo era sulla rampa di lancio, mi consigliarono di alzarmi in piedi per non perdermi lo spettacolo senza però smettere d' incitare Linda Blair con un tifo da stadio.
D'un tratto mi parve di veder spuntare dal buio della tana - taglio modello taxi driver - una sottile peluria, un attimo dopo la testolina fece capolino ma venne subito risucchiata nel buio della caverna ,ripreso fiato riaffiorò,e sottraendosi finalmente a quella implacabile morsa, sgusciò fuori, gelatinosa come un' anguilla, seguita da tutto il resto.
Le esperte mani della levatrice a quel punto lo agguantarono per le caviglie e le spalle e ,con un agile piroetta, lo liberarono da quel pericoloso nodo scorsoio prontamente reciso e riannodato.
Un attimo dopo Gabriele, livido e tremante , teneramente adagiato sul ventre della rinsavita mamma, gli occhietti socchiusi i pugni stretti, osservava smarrito quello strano mondo esterno di cui aveva tanto sentito parlare, chiuso nel suo rassicurante guscio, durante i mesi di gestazione.
L'annoiato ginecologo parve finalmente scuotersi e ,alzatosi dalla sedia in fondo alla sala dove aveva assistito al parto, s'avvicinò per visitare il cucciolo.
Lo sottrasse allo sguardo fiero e intenerito della madre e, seguito passo passo dal padre commosso e ansioso, lo pose sulla bilancia , ascoltò il suo cuoricino e, rifilate un paio di schicchere sotto la pianta di quei morbidi piedini,sollevò lo sguardo e lo riconsegnò con un sorriso rassicurante alla sua assistente.
Ebbi appena il tempo di carezzargli la manina poi tornai dalla mia afflosciata palletta ,le trasmisi il conforto di quel sorriso e la ringraziai con un tenero bacio.
Ancora il 20 luglio, una data ricorrente : trentun 'anni dopo ero tornato, stavolta in sede di regia, a provare le emozioni del primo affascinante spettacolo cui avevo assistito da bambino quando nel mio paesello, incollato al piccolo televisore sistemato accanto al tavolo di cucina, avevo assistito alle mirabolanti imprese di Aquila e del suo equipaggio.
Pochi giorni dopo rientrammo a casa e tenendolo accostato al petto,una mano a proteggere la testina ,l'altra a cucchiaio sul culetto,tornai, dopo tanti anni ,ad avvertire la tenerezza di un batuffolo di ciccia calda che mi si accoccolava addosso come un gomitolo credendo di ritornare nella pancia della sua mamma. Rapito ascoltavo quei vagiti da micio che ancora non sapevano ridere ma avrebbero tanto voluto farlo.
Carezzai la sua pelle delicata e profumata,percepii il suo respiro mentre i suoi occhioni si sollevavano e mi guardavano fisso ,poi, inebriato da quella sua fragranza di latte e biscotti lo riposi con cura in carrozzina sfiorando quelle manine che si agitavano come se volessero afferrarmi e abbracciarmi forte forte .
Padre di nuovo alla bella età di quarantatre anni,due figli ormai grandi e la carretta da tirare avanti,tanti problemi,tante pene ma l'infinita gioia,la commozione indicibile di un bimbo da crescere insieme a mamma e ai fratelloni.




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