DIARIO
Aurass s.n.c.
Il tentativo di gestire da solo una filiale dell'agenzia a Fidene ,dove trasmigrai per qualche tempo mentre papà continuava ad amministrare l' ufficio principale ,ebbe scarso successo, non mi restò quindi che rientrare precipitosamente in sede.
Tornare a lavorare a piazza Gondar ,proseguendo sine die la mia permanenza in quella stanza, appena modificata nell'arredamento, significava per di più continuare a vivere sotto lo stesso tetto con i miei,i loro bisogni e le loro insopportabili pretese, soprattutto quelle di mia madre, con i prevedibili inconvenienti e le conseguenti pressioni che tale situazione avrebbe comportato, ma non avevo scelta.
Trascorrevo per forza di cose più tempo con la mia famiglia d'origine che con la nuova e tutto ciò non poteva andare certamente a genio a mia moglie, oltre a ciò particolarmente stressata per la perdita del lavoro e affaticata per la cura della casa e la crescita di un ragazzino piuttosto vivace ed esigente.
Il nuovo appartamento intanto cominciava ad andar stretto anche a noi, di lì a poco infatti la cicogna avrebbe portato Roberto.
Due stanze, bagno e cucina non sembravano più sufficienti ad ospitare tanta gente.
Letizia cominciò a frantumarmi le palle per trovare una nuova più consona dimora, ma tra il dire e il fare c'erano di mezzo una marea di milioni che non possedevo e non avrei mai potuto guadagnare onestamente, e poi m'ero affezionato a quelle quattro mura al quinto piano di quel palazzo sommerso dallo smog e assediato dal traffico di viale Etiopia, le sentivo mie, anche se sapevo bene che mie non erano e prima o poi avrei dovuto sgombrare.
Messo alle strette tentai di convincere la mia famiglia d'origine a vendere l'appartamento dove abitavo per acquistarne uno più grande adocchiato in zona Serpentara, via Maria Melato per la precisione. Ovviamente avrei rinunciato a parte dell'eredità quando sarebbe arrivato il momento.
Ebbi il beneplacito di mamma e papà ma incontrai un muro di gomma quando si trattò di piegare i miei comprensivi fratelli.
Non se ne fece nulla.
Nove anni più tardi necessità fece virtù e la petulante femmina fu accontentata,ma affronteremo l'argomento quando verrà il suo turno.
L'instancabile Ford Fiesta nel frattempo era stata trasformata in un ammasso informe di ferraglia da qualche sconsiderato che alla guida di un autotreno o di un caterpillar l'aveva massacrata durante la notte mentre sonnecchiava in strada. Fummo pertanto costretti ad acquistare una nuova auto da affiancare alla "Puffa",la Fiat 127 azzurra che papà aveva donato a Lety per acquistare quella d'Aurora.
Girammo per giorni e giorni visitando diversi concessionari per cercare l'utilitaria più economica che esistesse poi ci rivolgemmo a Sario che, com'era ovvio ci condusse alla Citroen del Collatino.
Blu metallizzato, bordature lucenti, linee essenziali, le lamiere di una seducente Talbot "Solara", degna del più affollato insediamento rom, mi lusingarono scintillando al sole nel mezzo di un drappello di auto usate, fu un colpo di fulmine, mio cognato si voltò fingendo di non conoscermi, mia moglie si mise le mani tra i capelli , io non ebbi dubbi me la feci incartare e la portai a casa.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo a quanto accennato qualche periodo più indietro.
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