DIARIO

Borgata Fidene


La buona stagione anche quell'anno arrivò puntuale come sempre perciò, raccattati biberon,pannolini e tettarelle , preparammo i bagagli infagottammo il pupo e riprendemmo la via Aurelia per raggiungere la nostra accogliente dimora e ricominciare la vita di sempre.
O quasi, l'avevamo infatti lasciata in due, stavamo per tornarci in tre.
Trovare casa a Roma e rientrare nella capitale rimaneva comunque il nostro sogno, o meglio quello di Letizia , a me la vita di provincia non dispiaceva affatto, considerati però i tempi che correvano e i soldi in tasca al sottoscritto ,tale desiderio sarebbe rimasto a lungo una chimera se il buon Dio e soprattutto l'affezionata collaboratrice domestica di casa Tiddi senior, non ci avessero teso provvidenzialmente la mano, per il resto ci affidammo al cuore di mamma Nanda e mamma Livia.
Quando Giovanna infatti ,a conoscenza della nostra precaria situazione, confidò a mia madre che un suo vicino intendeva affittare un piccolo appartamento attiguo al suo in quel di Fidene le due nonne, presi a martellate i rispettivi porcellini di terracotta, organizzarono una cordata e decisero di accollarsi il costo dell'affitto di via Incisa in Val d'Arno 13,duecentocinquantamila lire al mese.
Attendemmo la fine dell'estate poi filammo di nuovo via dallo stabile di via Spoleto portando con noi questa volta oltre al rimpianto,almeno per quanto mi riguardava,anche quel poco mobilio che eravamo riusciti ad acquistare fino ad allora ,indispensabile per arredare il nuovo alloggio di Borgata Fidene.
A parte la temperatura glaciale si trattava di un appartamentino niente male situato al primo piano di una tipica palazzina di povera gente piombata nella capitale in cerca di fortuna nei favolosi anni sessanta, costruita e successivamente condonata in una zona periferica a ridosso della via Salaria venuta su in fretta e furia prima che qualche inopportuno piano regolatore fosse varato e costringesse quegli improvvisati palazzinari ad interrompere i lavori.
Del tutto privo di corridoi l'appartamento era un quadrato di circa settanta metri quadrati,attraversando l'ampio ingresso si accedeva sulla destra ad una grande cucina mentre di fronte si apriva la sala da pranzo, l'ambiente proseguiva con la camera da letto ,una piccola stanza ed un bagno di servizio. Dove fosse quello principale devo ancora scoprirlo. Un lunghissimo balcone circondava per intero il perimetro dei due lati del fabbricato dove erano collocate cucina e soggiorno.
Il sor Giuseppe, rustico locatore dell'immobile, doveva certamente avere avi d'origine eschimese se è vero come è vero che non accendeva l'impianto di riscaldamento se non di fronte a calamità naturali quali inondazioni ,nubifragi o bufere di neve.
Sordo alle toccanti preghiere dei suoi surgelati affittuari lo zotico non sembrava avere pietà neppure per il piccolo "Findus" cosicché fummo costretti per alleviare le pene dell'infante e dei suoi irrigiditi genitori a munire i telai delle finestre di salami , nastro isolante e simili diavolerie non disdegnando, quando la gelida tramontana sembrava voler spazzar via l'intera borgata, di assicurare piumoni e plaid alle cornici di porte e finestre esposte drammaticamente a nord.
Anche la neve che raramente sporcava i tetti della capitale quell'anno cadde copiosa imbiancando il paesaggio e abbassando ulteriormente la temperatura del freezer di via Incisa in Val d'Arno. Nonostante il clima tuttavia il tempo sembrava volgere al bello, Lety era stata chiamata dal collocamento a ricoprire il ruolo di assistente di asilo nido ed il rosso del conto corrente tendeva finalmente a scolorire, l'incertezza del domani permaneva visto che il suo era comunque un lavoro a tempo determinato ma qualche notte, Alessandro permettendo, si riusciva a chiudere occhio senza l'incubo di come mettere insieme i quattrini necessari al pranzo del giorno dopo. Il frugoletto aveva appena sei mesi quando fummo costretti a portarlo all'asilo, il nuovo impiego non concedeva pause alla madre né erano previsti dal contratto di lavoro assenze per malattia o permessi per occuparsi del piccolo in caso di malanni, quando la gola s'infiammava per il freddo o la febbre e il raffreddore di stagione lo costringevano a letto non mi restava che occuparmene personalmente, guadagnavo meno della metà di mia moglie e non potevamo certo rinunciare alla sua di paga.
Mi sentivo un verme quando al mattino, dopo aver tagliato a fette la nebbia della Salaria con la mia auto, l'accompagnavo all'asilo di via Piccinni e lo depositavo sul tappetone del reparto lattanti ,era talmente piccolo da non riuscire neppure a rimanere seduto senza il sostegno della mia mano,con aria interrogativa mi fissava impaurito con i suoi occhioni sgranati e il ciuccio pendulo al lato della bocca poi cominciava lentamente a scivolare da un lato fino a rotolare sul soffice materassone.
Nascosto da un pilastro assistevo al vano tentativo di quella tartarughina di alzarsi o di sollevare almeno il visino per cercare allarmato il suo papà poi scappavo via come un ladro ,nodo alla gola,cuore a pezzi , lacrima in tasca.
Intanto cresceva e, a differenza di quanto avrebbe fatto qualche anno più tardi Roberto, cresceva anche insieme e grazie a me.
Se mi era impossibile portarlo all'asilo o impegni inderogabili mi costringevano alla scrivania era mia suocera che veniva da noi per occuparsene . Fu proprio in una di quelle occasioni, al mio ritorno verso l'ora di pranzo, che me lo vidi caracollare incontro, inciampò, si rialzò appoggiando le manine sul tappeto dell'ingresso poi continuò a mettere uno davanti all'altro i suoi piedini fino a raggiungermi, aveva undici mesi , cominciava a fare i primi incerti passi in casa e nella vita.
Il sabato, libero da impegni ,restavo in casa ad accudire il piccolo mentre Lety si recava al lavoro,equipaggiato di tutto punto con grembiulino e crestina provvedevo a cambiarlo, addormentarlo e a dargli da mangiare, insomma me lo godevo un mondo.
Un mattino, dopo le consuete coccole nel lettone, s'era riaddormentato ed io m' ero alzato lasciandolo solo ,raggomitolato tra due cuscini che credevo fossero sufficienti ad impedirgli di cadere ,per sbrigare le faccende domestiche. Ero occupato in cucina a lavare tazze e cucchiaini della colazione quando d'improvviso udii un tonfo provenire dalla camera da letto. Mollati pezzuola, sapone e stoviglie corsi a vedere cosa fosse successo e lo trovai a terra che piangeva disperato, lo raccolsi e tentai di consolarlo stringendolo al petto e carezzandogli la testina, finalmente il pianto si fece meno violento e i singhiozzi più sporadici ,rassicurato lo posai sul pavimento per farlo camminare, aveva cominciato da pochi giorni, ma il lupetto non ne voleva più sapere rifiutandosi perfino di poggiare i piedini a terra e ricominciando a piagnucolare quando provavo a forzarlo.
Terrorizzato lo vestii di corsa e lo accompagnai all'asilo di piazza Crati dove lavorava Letizia per farlo visitare dal pediatra del nido senza tuttavia avere il coraggio di confessare l'accaduto né al medico né alla madre e limitandomi a riferire del suo rifiuto a camminare. Non riscontrando traumi o lesioni di particolare rilevanza il dottore ci rassicurò sostenendo che probabilmente il bambino aveva battuto la caviglia e avvertiva dolore nel poggiare il piedino a terra ma avrebbe ricominciato a camminare non appena l' indolenzimento si fosse attenuato, quella sera stessa infatti tornò a trotterellare teneramente per casa restituendoci il sorriso e la tranquillità.
Così, tra pappine di pollo al retrogusto di inchiostro di pennarello sputate in faccia ai malcapitati genitori o alla paziente nonnina durante la trasmissione"Il pranzo è servito" e minestrine di formaggino spalmate uniformemente su occhietti e orecchie o ingoiate stile pellicano al ritmo delle musichette del quiz serale di Vianello "Zig Zag", il mostriciattolo si faceva grande e noi con lui.
I telefilm della serie "Quincy" e "Magnum P.I."cadenzavano quei giorni all'inizio degli anni ottanta mentre io tentavo d' imparare il mestiere di agente d'assicurazione scarsamente assistito dal mio insofferente insegnante e mia moglie si occupava di poppanti pestiferi che si rifiutavano di mangiare ma in compenso cacavano come cammelli.
La vita scorreva piuttosto tranquilla, lo stipendio di Lety contribuiva a rasserenare gli animi.
Ancora per poco però, minacciosi i nuvoloni della precarietà stavano per far tornare a piovere sul bagnato,il temuto suffisso "a termine"che già allora si era soliti aggiungere al sostantivo "lavoro" stava per mostrare il suo spietato volto, il volto dello sconforto che ancora oggi costringe migliaia di famiglie a maledire i lerci plutocrati che l' hanno coniato credendo così di sanare baratri di bilancio che loro stessi hanno determinato.



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