DIARIO
Fiori d'arancio
Ma mettiamo le lancette indietro di qualche ora .
Quel mattino m'alzai di buon'ora ,purtroppo non avevo a disposizione un chirurgo plastico che conferisse alla mia faccia un'espressione meno atterrita così tentai da solo, una sistemata alla barba, una rapida doccia e verso le sette ero già pronto ad indossare l'abito nuziale, m'avvicinai all'armadio per tirarlo fuori (cosa avete capito? Quello l'avrei tirato fuori più tardi,parlo del vestito!) ma un occhiata all'orologio mi suggerì che non era il caso di addobbarsi quattro ore prima dell'inizio della cerimonia, tornai così a sedere sul letto disfatto.
Oltre la finestra della mia camera il sole d'aprile sonnecchiava ancora tentando invano di dissipare la nebbiolina stillata dall'Aniene che scorreva sotto il ponte delle Valli. La forma psicofisica sembrava perfetta eppure notai delle strane distorsioni percettive dovute probabilmente al fetore proveniente dalle ascelle e una salivazione praticamente azzerata. Forse l'ansia? Chissà?
Tornai ad osservare i poster stropicciati attaccati alle pareti, la mia nutrita collezione di dischi, l'ingombrante organo a doppia tastiera, l'ormai devastata Eko 12 corde e la raccolta completa di Tex .Per il momento avrei dovuto lasciare tutto lì, non c'era posto per gli oggetti cari nella nuova casa ,avrei avuto tempo in seguito per portarli con me, o almeno così credevo, in realtà ancora oggi le pagine di cinquecento albi del valoroso ranger del Texas sono lì ad ingiallire .Aquila della notte e i suoi fedeli pard sono rimasti a far compagnia alle pareti spoglie e alle finestre chiuse,la libreria dove sistemare quelle palpitanti avventure non l' ho mai più acquistata,parafrasando un vecchio gingle pubblicitario potrei intonare "i buffi sono ta-a-nti milioni di milio-o-ni…" macché manco posso canta' più 'sta canzone co' 'sto cazzo d'euro.
Stavo per lasciare per sempre quella stanza dove le ombre della notte rincorrendosi lungo le pareti m'avevano spaventato da bambino, mi lasciai cadere sulla sedia ormai traballante dove da ragazzo avevo strimpellato le prime note di chitarra mettendo a dura prova la pazienza di chi mi viveva accanto e ascoltato quella musica emozionante che scivolando lungo la schiena m'aveva fatto rabbrividire e aiutato a crescere.
M'accostai al tavolo ovale ,segnato da lunghe cicatrici, profondi solchi e macchie di tempera ormai essiccata, dove avevo appoggiato i deprimenti libri di testo e i consunti quaderni sui quali avevo annotato per anni spunti e appunti su civiltà antiche, lingue incomprensibili e poeti sfigati.
A dire il vero in quella stanza ci sono rimasto fino a un paio d'anni fa ma questa è un'altra storia.
Il suono irritante del citofono mi liberò da quei piacevoli pensieri dal retrogusto amaro, era Paolo, sarebbe stato lui ad accompagnarmi sul luogo dell'esecuzione.
Non trovammo traffico e una ventina di minuti più tardi eravamo già in via dei Fori imperiali circondati dalle vestigia di civiltà millenarie ,di fronte a noi il carcere mamertino al di sopra del quale si ergeva il sottile chiaroscuro della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami.
I primi invitati non tardarono a farsi vivi, sempre più numerosi cominciarono a sciamare sul sagrato ronzando e salutandosi l'un l'altro, il brusio cessò di colpo quando arrivò l'auto della sposa.
Era fantastica. Non l'automobile! Parlo della sposa. Cacchio vi si deve puntualizzare tutto!
Raggiante (lo credo bene considerato l'ormai prossimo ingaggio) scese dalla Rolls d'epoca sollevando lo strascico, un sorriso le illuminò il volto quando con il capo urtò contro il profilo del finestrino,in verità stentò a trattenere un'imprecazione ,poi ,sistemata la semplice acconciatura e riassettato il vestito ,si concesse al pubblico in tutto il suo splendore.
L'abito realizzato con fantasie di pizzi su tulle con linee intriganti e aderenti esaltava la snella figura di quella ragazzina che aveva da poco compiuto vent'anni, una mise disinvolta e allo stesso tempo classica. Una vera strafica insomma.
In attesa del suo arrivo ,in piedi di fronte all'altare accanto a mia madre, seguii incantato,la faccia inebetita, il suo lento incedere lungo la guida azzurra disposta sul pavimento della navata centrale, sottobraccio a Don Ninozzo intenerito fino alle lacrime, nella mano sinistra teneva stretto il bouquet,certamente lieto dell'abbondante sudorazione che gli infondeva nuova vita, gli invitati disposti ai lati si voltarono per osservare la commovente scena mentre dall'alto il suono dell'organo intonava la marcia nuziale.
Ta-ta-ta.ta….ta-ta-ta-ta---tatatatatata- tatatatatata- tatatatatata tatatata tata- tatatta-tatata ta ta ta ta!
Niente di nuovo osserverete?
Forse, per voi! Per me era la prima volta.
Quando mi fu finalmente accanto le sollevai la mano e la baciai poi volgemmo lo sguardo al sacerdote.
Ai nostri lati muti ed immobili i testimoni o meglio, considerate le fattezze ,le nostre guardie del corpo.
Baffuti come brigadieri della Benemerita i compari della sposa, l'amabile don Mico, doppiopetto grigio topo, camicia bianca, cravatta a righe sale e pepe , e il corpulento don Saro, completo bianco modello gelataio, cravatta blu, camicia azzurra.
Copia carbone dei primi due quelli dello sposo, il tenero Zonfrillo, abito nocciola, cravatta amaranto, camicia verdolina, e il vecchio amico Franco, coordinato blu scuro ,cravatta azzurra, camicia bianca,
La cerimonia proseguì senza intoppi fino al fatidico "Sì", interpretata senza troppa emozione la mia parte passai il foglio con la formula magica alla mia partner che al contrario si fece prendere dalla commozione mescolando languidi singulti e toccanti interruzioni ai noti passi della rituale frase di adesione al matrimonio.
Le sorrisi poi le infilai l'anello al dito, poco dopo giunse il mio turno di porgere l'anulare ed ovviamente presentai quello sbagliato, un attimo d'imbarazzo, un nuovo sorriso di circostanza, e finalmente tesi la mano giusta, era la misura quella sbagliata, la fede faticava ad entrare e solo dopo diversi tentativi riuscii nell'ardua impresa.
La celebrazione ebbe termine, le ultime raccomandazioni di Don Ronzani , una firma in fondo al registro poi le foto di rito con genitori, testimoni e parenti, ancora qualche scatto tra le aiuole attorno alla chiesa poi montammo in macchina per raggiungere al km. 14 della S.S. Flaminia il ristorante "La fattoria" dove era fissato il banchetto .
Gli ospiti mangiarono, e bene! Noi no, tanto che quella stessa notte tornati a Ladispoli, consumammo oltre al matrimonio un'intera scatola di oro saiwa.
Il mattino dopo ( non pretenderete mica che vi racconti come andò la prima notte di nozze? ) salimmo sulla scattante Ford Fiesta e partimmo per la favolosa luna di miele, una piccola tappa nella capitale per assistere all'uscita di una nuova sposa dal portone di via dei Foscari, Stefania l'amica del cuore di Lety si sarebbe sposata quello stesso giorno, e via verso esotiche località e focose notti d'amore.
Lo confesso, non andò esattamente così, ne parleremo tra breve.
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