DIARIO

Clemente

Ora voglio pian piano addormentarmi e come in un sogno rivivere gli incantesimi della mia fanciullezza fermando sulla carta tutto quel che vorrà consentirmi la memoria .
Non voglio esaminare fatti,situazioni ed emozioni nel loro svolgimento temporale ,preferisco raccontarli così come si accavelleranno nel caos della mia mente.
Spero che a nessuno venga in mente di svegliarmi proprio adesso.
Quel che avvenne prima della mia nascita lo so per sentito dire, i primi evanescenti ricordi cominciano quando dovevo avere quattro o cinque anni,o forse saranno deja vu che credo di aver vissuto ma in realtà scaturiscono da racconti o foto sbiadite nascoste nei cassetti polverosi della mia memoria spesso complice della fantasia.
Un’infanzia serena,pochi oggetti e qualche giocattolo più caro di altri. Mi viene subito in mente un ciondolante cavalluccio a dondolo che trovai sotto uno dei primi alberi di Natale .
Allora i cavalli per me dovevano essere un vero e proprio chiodo fisso,d’altronde non avevo ancora scoperto l’altra metà del cielo,ne disegnavo continuamente, piccoli e scheletrici i primi sempre più paffuti e colorati i successivi. Chissà forse per questa mia antica passione il primo verso d’animale insegnato al piccolo Alessandro è stato proprio quello del simpatico quadrupede.
Quando me ne stavo al calduccio nel mio letto ,vittima di qualche malanno da bambino, ne riempivo blocchi e quaderni. Amavo molto disegnare e tutti mi prospettavano un roseo futuro da affermato pittore.
Un altro balocco che difficilmente scorderò fu uno dei rari doni di nonna Nannina regalatomi nel giorno della Befana di chissà quale anno.
Mi trovavo nella stanza di Paolo e Piero,sfogliavo uno di quei sussidiari delle scuole elementari ricco di colori vivaci e grandi caratteri che si usavano allora per approfondire i racconti dei libri di lettura. Credo di aver avuto al massimo cinque o sei anni ,succhiavo un pezzo di carbone dolce trovato nella calza appesa al camino.
Guardavo fuori dal finestrone a parete della camera,le nuvole lambivano le antenne del palazzo di fronte minacciando pioggia. Erano cariche,piene come otri spargendo anche nella stanza quell’intenso odore d’acquazzone imminente.
Il cielo era ormai color latte quando le prime lacrime cominciarono a tintinnare sul vetro della finestra,dapprima pian piano poi sempre più frenetica scendeva finalmente la pioggia.
Cominciai a fissare Piazza Gondar, quasi deserta considerando il giorno di festa.
Fissavo la pioggia che trafiggeva l’asfalto,era bello vederla precipitare a scrosci e scivolare poi lentamente raccogliendosi in docili rigagnoli che ruzzolavano sotto i bordi del marciapiede.
A volte formava pozzanghere dove andava a specchiarsi quel po’ di luce che ancora sopravviveva al grigio di quella giornata, poi riprendeva il suo lento cammino , tornava a far mulinello e con un’ultima piroetta veniva inghiottita dalle grate della strada bagnata nera e lucida.
D’un tratto il campanello della porta mi riportò alla realtà destandomi da quel piacevole torpore d’incanto. Papà e la nonna entrarono nella stanza con un enorme pacco confezionato con carta natalizia di color rosso agghindato con un nastro color argento. Era proprio per me , strappai eccitato prima il nastro poi la carta e ai miei occhi becalini ma comunque entusiasti apparve uno splendido garage con due automobiline a carica che scivolavano giù nella rimessa e rombando tornavano poco dopo in superficie.
Sicuramente però l’amico più caro fu un orsetto peloso legato al primo ostacolo che la vita mi piazzò davanti quando ancora l’esistenza era solo gioco e affetti,l’operazione per togliere le tonsille. Il giorno che precedeva il fatidico evento i miei mi portarono a spasso per comprarmi un regalo,quasi fosse un risarcimento dovutomi per l’imminente intervento.
Tra le tante vetrine decorate per le feste natalizie lo scorsi quasi per caso,era un dolcissimo orsacchiotto di peluche, lo ricordo perfettamente come l’avessi ancor oggi tra le mani. Due grandi orecchie marroni , un musetto bianco latte con al centro un nasone nero,gli occhioni grandi e tristi,il pelo morbido color terra bruciata e una grossa macchia bianca sulla pancia.
Mi sembra di ricordare che costò parecchio, tremila lire,credo, che allora, eravamo nel millenovecentosessantadue, doveva essere una cifra di tutto rispetto. Mi chiesero che nome volessi dargli,”Clemente !” esclamai. Avevo infatti saputo da pochi giorni che il mio nome completo era Marco Nicola Clemente.
Lo riposero con cura in attesa dell’operazione ,non vedevo l’ora di abbracciarlo e averlo con me , compagno prezioso, nelle notti scure popolate d’orchi e streghe cattive che allora mi facevano tanta paura.

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