DIARIO
Livia e Antonino
Nel frattempo la nostra giovane storia aveva assunto una sottile venatura gialla .
Tra le caratteristiche essenziali che dovevano necessariamente possedere le mie molteplici conquiste c'erano curve mozzafiato, ciglia ondulate alla Bamby, contagiosa simpatia e un'intelligenza pronta e accorta non sufficiente però ad offuscare la mia, e qui feci male i miei conti, del tutto irrilevanti erano invece le loro generalità anagrafiche.
Ad evitare perciò che, pericolosamente pungolata, mi seppellisse sotto una nuova montagna di chiacchiere, mi ero ben guardato dal chiedere il cognome alla mia ciarliera compagna, importante indizio questo che mi avrebbe certamente aiutato a dipanare l'ingarbugliata matassa.
Cominciò a fare l'indovina rivelandomi che avevo un fratello di nome Piero abitante in via Sicilia , incuriosito le chiesi di continuare, non si fece pregare, figurarsi, aggiunse che la moglie si chiamava Giuliana e da poco tempo avevano avuto una figlia cui avevano dato il nome di Valentina.
Il mio stupore, non le avevo raccontato ancora nulla della mia famiglia, aumentò quando sciorinò in preda ad un delirante raptus logorroico, senza fermarsi un momento per sputare, l'intero albero genealogico della mia nutrita casata.
A questo punto, considerando il mio sguardo perplesso e il punto interrogativo apparso accanto alla mia testa fumante, ebbe pietà di me e finì per confessare di essere la cugina di mia cognata Giuliana, quella goffa ragazzina insomma che avevo incrociato qualche anno prima al ricevimento di nozze di Palazzo Giustiniani.
Un passo indietro ora e torniamo all'epico scontro generazionale che stava per avere inizio nella rassicurante cornice dell'appartamento sito al piano quarto dell'elegante palazzina di via dei Foscari 10.
Dopo avermi fatto finalmente salire a casa sua che non era ovviamente la favolosa reggia descrittami minuziosamente nei suoi monologhi telefonici, mi presentò la madre che mi fece accomodare in salotto e solo dopo qualche minuto d'imbarazzante silenzio fece il suo ingresso Don Antonino, un omino calvo, pallido, occhi neri e vivi, sopracciglia severe e un paio di baffoni neri alla "nun saccio nènte e nun vogghio sapiri nènte ieu."
L'abbigliamento, a dir poco sconcertante ,era del tutto simile a quello del futuro consuocero , non mi meravigliai quindi più di tanto quando lo vidi avvicinarsi a me per stringermi la mano, così conciato: pantaloni del pigiama, celeste cherubino, oltremodo larghi, tenuti su da un paio di buffe bretelle azzurre che spiccavano su una comoda canotta bianca a coste strette, modello panettiere di Trastevere ,aderente tuttavia al giro pancia.
Dopo le presentazioni di rito le due donne, discrete e sollecite, s'allontanarono per andare a mettere su il caffè lasciandoci soli
a discutere di cose da "ommini".
L' inquisitore con espressione ombrosa dapprima mi scrutò da capo a piedi poi m'invitò a sedere accanto a lui e cominciò a interrogarmi, mi chiese dei miei studi ,s'informò sulla mia famiglia e si sincerò sulle mie future aspirazioni, mancò poco che mi chiedesse se avessi intenzioni serie nei confronti della figlia.
La prima impressione insomma non fu delle migliori, eravamo profondamente e drammaticamente diversi, io ultrà giallorosso , lui biancazzurro d'indomita fede, io comunista con marcate simpatie per le "brigate rosse", lui fascio perso tendente al nazi spinto.
Pian pianino comunque cominciammo a conoscerci meglio e a rispettare le nostre diversità apprezzando le doti dell'uno e dell'altro , quel suo piglio inflessibile e austero s'ammorbidì giorno dopo giorno lasciando trasparire un inatteso carattere gioviale e goliardico, atteggiamento amichevole che si trasformò ben presto in un sincero affetto.
Quando mi fermavo a cena, da quel giorno in poi gli inviti si fecero frequenti, la bistecca più grossa e appetitosa finiva inevitabilmente nel mio piatto e, a dire il vero, da quando se n'è andato un caldo pomeriggio di giugno di tredici anni fa, non è ho più mangiato di così monumentali.
La moglie Livia, al contrario, sembrava fatta di tutt'altra pasta, un donnone affabile e cordiale, alta e rocciosa sovrastava il marito di una decina di centimetri almeno, occhi ravvicinati e sorridenti, simpatico nasone alla Depardieu , sempre allegra e disponibile mi accolse in casa come un figlio e tale mi sentì da allora in quella casa come fosse per me una seconda famiglia.
Nel vedere i miei suoceri per la prima volta ebbi la netta sensazione di averli già conosciuti da qualche altra parte, non ci misi molto a ricordare dove : sulle pagine della settimana enigmistica nella rubrica dedicata alle strisce di Carlo e Alice.
-52-
pagina precedente
pagina successiva