DIARIO
Donne e motori
La mia vita era cambiata, avevo ormai messo la sordina alla disordinata giornata tipo della simpatica canaglia che ero stato sino ad allora, toni sommessi nei modi e look drasticamente rinnovato effetto "bravo ragazzo", volevo eliminare qualsiasi motivo di frizione con la mia nuova fiamma scrivendo con fin troppa bella calligrafia (lo so, è una ripetizione ma continua a non piacermi "bella grafia") la premessa alla mia nuova storia d'amore.
Al mattino mi incamminavo di buon mattino per andare a studiare all'ombra dei pini di Villa Paganini accanto alla scuola di Lety, e sotto le finestre dell'aula dove la poverina trascorreva le interminabili ore di studio nella struggente attesa di rivedermi ancora, almeno così speravo,preparavo gli esami aspettando il termine delle lezioni per riaccompagnarla a casa.
Nel pomeriggio tornavo a prenderla per una passeggiata o un furtivo incontro al riparo da occhi indiscreti in qualche luogo appartato.
La "Vespetta", ideale per muoversi nel caotico traffico cittadino, non dava le necessarie garanzie per meeting di quel genere,e come direbbe Guccini, il sesso,in quelle condizioni ,era questione più di clima che di voglia.
Mi vidi pertanto obbligato a studiare per conseguire la patente e cercare così di ovviare alle inevitabili difficoltà che quella imbarazzante situazione comportava.
Ne sorsero di nuove ,quali le fastidiose pugnalate della fredda leva del cambio tra le costole, quando non capitava di peggio, o i legnosi sedili scarsamente reclinabili che, costringendoci a deleteri attorcigliamenti e innaturali posture, compromisero per sempre la cervicale e il nervo sciatico,del tutto superfluo stare qui a descrivervi come fosse complesso in tali condizioni fare indossare all'impaziente fratellino l'indispensabile scafandro per le sue rapide e allettanti sortite sottomarine.
Da quel momento comunque l'angusto abitacolo del "Cinquino" rosso Ferrari targa Roma K58368, acquistata nel frattempo, e le grandi pagine del "Corriere dello Sport" debitamente sistemate sui cristalli appannati,contribuirono a garantire ai laboriosi e acrobatici amplessi dei due appassionati amanti una temperatura meno glaciale e una certa intimità perché, diciamo le cose come stanno, il sesso di coppia era diventato per me ormai un' irrinunciabile esigenza , tutti erano contenti meno io e Pippo, ero stanco di fare come lui.
Cosa fa Pippo? Non lo sai?!
Semplice: Topolino si fa le topoline ed è felice, Paperino si fa le paperine ed è felice,Pippo…... non è felice.
Il termine perentorio per il rientro a casa di Cenerentola era fissato alle 19,30, in via dei Foscari era stata reintrodotta per l'occasione la pena capitale, decisi così per il quieto vivere e soprattutto per lisciare il pelo all'orso Yoghi di non discutere i suoi ordini e aggirare abilmente l'ostacolo ,ero diventato un maestro del compromesso, bastava accettare l'immancabile invito a cena.
Il frugale pasto, una mezza dozzina di fettine panate rosolate con perizia dalla sora Livia seppellite sotto una montagna di croccanti patatine fritte, spariva in poco meno di dieci minuti nel buio del mio stomaco senza fondo poi, mentre la cuoca rassettava la cucina e il boss schiacciava un pisolino in poltrona davanti alla tivù accesa, io e la mia Lety stravaccati sul divano in fondo al salone ci facevamo le coccole spiati dall'orripilante posacenere a forma di pipa e dal bucolico arazzo alle nostre spalle dove in un paesaggio da fiaba prosperose dame e capricciosi cicisbei abbigliati con ricchi costumi del settecento imitavano le nostre gesta scambiandosi caramellose effusioni.
Ero felice ma quella relazione a mezzo servizio non mi bastava più.
A quel punto non mi restava che affacciarmi pericolosamente al di là della palizzata e cominciare a pensare ai fiori d'arancio.
Non avevo un impiego né una casa dove condurre la mia sposa e sfornare rampolli, non possedevo insomma un "beneamato",gli studi in fase di stallo cronico tendevano all'inevitabile abbandono, così stando le cose il mio restava soltanto un pio desiderio.
Nel frattempo però Paolo aveva trovato un insperato lavoro anche grazie,si fa per dire, all'invalidità derivata dalla sua malattia, lasciando vacante il "posto" nell'azienda impiantata nell'appartamento di piazza Gondar dall'instancabile genitore .
L'avvocato infatti, dopo aver gettato l'ancora sui fondali sabbiosi della pensione, in precario equilibrio di fronte a quelle sponde insicure preferì spiegare nuovamente le vele e riprendere il largo costituendo un'impresa familiare e dando una definitiva connotazione alla gloriosa agenzia di assicurazioni della premiata ditta Tiddi.
I clienti cominciarono a farsi più numerosi, la cordiale atmosfera che si respirava nei locali d'agenzia , che in fondo restava l'abitazione di una simpatica famigliola, contribuì a rendere più amichevole quel che in altre aziende era soltanto un freddo e professionale rapporto tra un consumatore preoccupato della spesa da affrontare e un imprenditore che prestava un servizio e spesso era disposto a vender fumo pur di trarre profitto dalla rapa che gli stava davanti senza pensare veramente alle sue esigenze.
Gli habitué ci presentarono i parenti, poi gli amici e questi gli amici degli amici ,in breve tempo il portafoglio d'agenzia prosperò e il tenero germoglio piantato pochi mesi prima diventò una rigogliosa pianta rampicante che aveva maggior bisogno di cure, era la mia occasione.
Si levava incerto il sole all'alba del nuovo decennio.
-53-
pagina precedente
pagina successiva