DIARIO

Università degli Studi "La Sapienza"

Ogni membro dell'allegra brigata aveva perso, chi prima chi dopo, il primo grande amore, tornava così a vagabondare senza una precisa meta per le vie del quartiere, terminato il ciclo scolastico con il faticoso conseguimento del diploma avevamo raggiunto la strada senza uscita che conduceva al parcheggio universitario in attesa di tempi migliori, che tra l'altro non sarebbero mai arrivati, lavoro non ce n'era e l'iscrizione a giurisprudenza per la maggior parte di noi, plasmati da una cultura umanistica era il logico nastro di partenza per una disoccupazione d'elìte, noblesse oblige.
M'avvicinai all'ateneo senza eccessivo trasporto, ciò nonostante sostenni, superandoli brillantemente, cinque esami tra il maggio e l'ottobre del 1977, lo studio di codici e libercoli traboccanti di articoli, leggi e leggine tuttavia non suscitava in me grande interesse.
Trascorsi l'intero 1978 meditando sull'opportunità o meno di lasciare gli studi poi disceso lo scalone di Legge voltai a destra dirigendomi verso l'edificio che si ergeva pochi metri più avanti e ospitava la facoltà di Lettere.
Scelsi ovviamente un piano di studi costruito attorno a "Storia della Musica", feci fronte con successo ad altri quattro esami tra il giugno e l'ottobre del 1979 poi mollai tutto come un coglione con la media del ventisette, l'infausto esito degli ultimi due esami, il primo di storia delle religioni classiche dove ottenni uno stentato ventidue e il successivo in storia del Risorgimento per il quale conseguì un ancor più tribolato diciotto, indebolì ancor di più la mia già scarsa volontà di proseguire smorzando in modo definitivo gli ultimi entusiasmi.
L'eccitante incontro con una graziosa matricola ,una stangona sarda tutta tette e culo con la quale "preparai" un paio d'esami ,non ne ricordo più neanche il nome, non mi fece cambiare idea e, con grande disappunto di papà, chiusi definitivamente la mia deludente esperienza di studente universitario.
Tiziana e Patrizia sfrecciarono al solito come procaci meteore nella mia ormai vacua vita sentimentale senza lasciare tracce di polvere da sparo, a casa del paffuto Fabrizio in compagnia degli amici ritrovati facevo le ore piccole con cenette a base di uova strapazzate e spaghetti aglio e olio il tutto spruzzato da copiose libagioni di vino bianco.
Cavalcando la moda del momento nel quale l'ovvio era il fondamento dei giorni a venire ,consumavo le ore e i minuti senza verve, affiorava di rado un sorriso stentato in un guazzabuglio di pruderie sessuali senza capo né coda, ero stufo, quei rari sprazzi di allegria che mitigavano la trama esile e fracassona di quella mia vita non mi bastavano più, cercavo nuove emozioni, scrissi di getto un romanzo , quel che è venuto fuori lo potrete leggere prendendo il libro dallo scaffale della libreria o navigando nel mio sito, tuttavia neanche questo sarebbe stato sufficiente, era arrivata l'ora di spalancare le persiane per aprire le finestre e tornare a respirare aria pulita.
Pensai di vincere la routine lasciando per qualche giorno Roma, montai così sulla potente moto di Carlo Piccioni, un vecchio compagno di scuola nel quale m'ero imbattuto per caso nel mio bighellonare per le strade della zona, imboccata l'autostrada ci dirigemmo verso Pagliara, erano prossime le festività di fine anno.
Freddo pungente, noia mortale e il deserto intorno a noi, questo il desolante scenario che apparve agli occhi increduli del mio ritrovato amico, smontammo dalla moto, di tope in giro nemmeno l'ombra, neanche a stanarle col formaggio, nella fitta nebbia che era scesa sul paese scorgemmo Peppe ,lo invitammo a dividere un frugale pasto, la compagnia lasciava innegabilmente a desiderare, Carlo si scosse dal suo torpore e prima che facesse troppo scuro inforcò di nuovo la fiammante motocicletta e se ne tornò di gran carriera in città, io invece restai. Solo.
La nuova situazione creatasi mi diede modo di pensare, la settimana solitaria senza amici, senza Tv, senza un libro da sfogliare ,trascorsa nel cupo e grandioso affresco dipinto da un pennello di indubbio talento mi permise di fare un lungo giro intorno a quella che era stata la mia vita fino ad allora, stesi bilanci, tracciai rudimentali progetti, vagheggiai l'ennesimo ambizioso sequel di una pellicola già vista passeggiando per ore lungo i sentieri e le mulattiere che circondano quel villaggio silenzioso alle pendici del monte, poi, conclusa quella parentesi da vecchio eremita, con l'autostop me ne tornai nella capitale giusto in tempo per trascorrere le feste di Natale con la mia famiglia.
Ero approdato al giro di boa, i primi vent'anni se n'erano andati in fretta, mi fermai, svuotai le tasche trovando tra mucchi polverosi di rimpianto qualche briciola di vita. TidDIO! Mi vien da piangere!
Sigh! Sniff! Gasp! Arisigh! Arisniff! Arigasp!






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