CAPITOLO 27

 

 

         Vendo casa




 

 

 

 

roprio così! Avete indovinato. L’appartamento di Piazza Gondar stava per  prendere il volo. Ci arriveremo. Non prima però di qualche ragguaglio su quanto era accaduto nel frattempo.

Rispetto al devastante terremoto verificatosi qualche tempo prima all’interno del mio conto in banca ,  il noto crack del ’29 assumeva la fisionomia  di una semplice scossa d’assestamento .

Non per questo mi ero perso d’animo e , sommando rata a rata, avevo deliberato in primavera l’improrogabile sostituzione per raggiunti limiti di età della vecchia e acciaccata Citroen AX che, ferma in via Pantelleria  dov’era stramazzata mesi prima , supplicava  la misericordia di un’eutanasia indolore rifiutando di sottoporsi ad un crudele accanimento terapeutico che avrebbe comunque comportato costose quanto inutili cure. 

Stesso infelice destino era stato decretato per il minuscolo Zip, da tempo claudicante e spompato, inadeguato insomma , considerate le incessanti vibrazioni,  a sostenere il ruolo di principale mezzo di locomozione di un serio professionista di stazza superiore alla media e sempre alle prese con fastidiosi disturbi d’origine gastrica. Già la mia signora, nell’intimità del talamo nuziale,  aveva cercato di farmi capire che non era affatto necessario agitare le lenzuola dopo aver emesso pestiferi gas intestinali .

Nel tempo la tonante flautolenza del maturo centauro aveva superato il flebile sbuffo del sommesso motorino due tempi . La faccenda , in condizioni di traffico intenso ,  cominciava a farsi imbarazzante. Inspiegabilmente,  anche quando il viadotto delle Valli era stipato come una scatola di sardine, al mio passaggio le auto si facevano da parte permettendomi di svicolare agile nel caos cittadino.

Negli ultimi mesi la centralina sistemata all’angolo tra viale Etiopia e piazza Gondar,  atta a monitorare l’inquinamento dell’ aria ,  aveva registrato livelli preoccupanti . Più di una volta il sindaco Veltroni  , sollecitando preoccupato l’intervento della protezione civile , era stato costretto a spedirmi il messo comunale a casa con l’intimazione del fermo motorino per  motivi di sanità pubblica. 

Detto. Fatto.

Una fiammante Citroen C3 “ blu Lucia”, motore 1.1 benzina, 61 cavalli,  finì parcheggiata nei dintorni di viale Libia il 28 maggio e, a distanza di poco più di un mese, esattamente il 30 giugno, il sonnacchioso Zippetto lasciò il suo posto in garage ad un più performante Aprilia SH 150 grigio metallizzato dalla linea accattivante. 

Il clima si era fatto mite e , quanto mai seducenti, stavano per arrivare le sospirate ferie estive.  Ancora un mese, il più duro considerata la necessità d’inseguire i vacanzieri d’agosto, poi sarei partito per rifugiarmi ancora una volta  tra i monti incantati della Marsica tornando ad assaporare atmosfere e consuetudini antiche.

Tutto arriva prima o poi.  Basta saper aspettare. 

Fu proprio durante quel tranquillo periodo di vacanze che Don Ezio, da sempre mio affezionato lettore , mi propose di presentare ai parrocchiani il romanzo che avevo appena finito di scrivere. L’avremmo fatto durante il tradizionale concerto di fine estate nella chiesetta del paese. Il buon parroco avrebbe recensito il libro e introdotto i temi del racconto, mio cugino Fabrizio si sarebbe occupato di leggerne alcuni passi, a me era affidato l’ingrato compito d’illustrarne a grandi linee i contenuti e chiudere l’incontro.

Nonostante l’emozione tutto andò per il meglio .
Oggi “Sotto le stelle dell’Arcigalante” è a disposizione di chi volesse leggerlo . Potrà farlo sfogliando le pagine della copia superstite annidata nella libreria del mio studio , sepolta tra circolari e tariffe ,  o,se preferisce,  navigando più agevolmente sul mio sito web.

Per dovere di cronaca riporto di seguito la benevola recensione del religioso e la mia breve presentazione.

 

Recensione del romanzo “sotto le stelle dell’Acigalante” nella chiesa parrocchiale di Pagliara dei Marsi del parroco Don Ezio dxel Grosso.

 

“Sotto le stelle dell’Arcigalante” è il titolo del romanzo scritto da Marco Tiddi . Ho letto il libro in anteprima e come tale oggi lo presentiamo a Voi. Lo scopo odierno è quello di mettere in luce la presenza di persone che si avvolgono nella loro riservatezza e semplicità pur essendo dotate di spiccata intelligenza e di capacità di scrivere con chiarezza di stile i propri sentimenti.

Nel recente passato abbiamo evidenziato le opere letterarie di Cornelio Di Marzio , di Dario Di Marzio , di Giovanni Di Michele, di Giuseppe Micheli, di Enrico Michetti, di Ornella Di Marzio, di Vittorio Lustri ed altri. Oggi è confortevole esaminare il romanzo di Marco.

Ho conosciuto le sue capacità giornalistiche quando scriveva sul giornale “Il Tempo” nella cronaca di Roma , gustando il suo stile e gli argomenti.

Questo romanzo sarà pubblicato al più presto sperando nelle sponsorizzazioni tipografiche. Analizzandolo, si è presentato un passato che porta a riflettere su situazioni piene di foschia. Tutta la narrazione è ambientata su Pagliara dai tempi passati. Attraverso  episodi e personaggi elaborati dalla fantasia dell’autore si evidenzia una società reale dai toni deprimenti.

Nei primi tre capitoli vengono tratteggiate figure di anziani rassegnati alle loro condizioni ma con serenità e saggezza . I capitoli successivi ( dal 4° all’11°) ci presentano giovani innamorati che non possono realizzare i loro sogni per la concezione etica dominante piuttosto gretta e rigida.

Nel capitolo 13° compaiono gli sfruttamenti da parte di potenti e facoltosi a scapito delle persone bisognose . (La storia si ripete sempre, nonostante i proclami verbali a non finire!)

Nel capitolo 18 e 19 riaffiorano le cattiverie e le mortificazioni verso i più deboli.

In tutto il romanzo c’è un filo conduttore sia pure con episodi apparentemente distaccati . Anche nel capitolo 16 ,che presenta un vero catalogo impeccabile inventariale della Chiesa Parrocchiale, l’atmosfera si snoda intorno a “quel sacerdote” (Don Urbano) e a quella “vecchietta” che pregano nell’ombra con raccoglimento .

 Le descrizioni sono analitiche fino ad evidenziare i minimi particolari specialmente nelle figure umane sia nell’analisi anatomica, sia nei movimenti espressivi di emozioni interiori , di convinzioni, di esperienze tradizionali , di segnali sapienzali.

Va sottolineato comunque che l’analisi sociologica appare anacronistica per i tempi moderni (anno 2004) ma è pur sempre di un grande valore didattico , la storia serve sempre a proiettare i contenuti epocali per illuminare il presente e progettare meglio il futuro.

Lo stile

A prima vista sembra ampolloso, ma ad una attenta lettura si nota un linguaggio forbito con una terminologia scoppiettante, verbi e punteggiatura inappuntabili.

Osservazioni personali.

Secondo il mio punto di vista occorre una premessa più ampia per descrivere geograficamente il luogo. Non tutti possono sapere cosa sia l’Arcigalante, come è nel titolo. Tuttavia, per chi non conosce i luoghi di riferimento e non si raffigura i personaggi , la narrazione stimola il lettore a fare un’esegesi storico-geografica nonché sociale; alle  persone autoctone del luogo o naturalizzate , è sfuggente l’individuazione analitica perché nel momento in cui credono di capire fatti e personaggi, in quanto facenti parte della storia di Pagliara, tutto scompare in un orizzonte surreale.

Credo che si aproprio qui la finezza dello scrittore che trasforma episodi e persone librandoli in un mondo fantastico, per cui non temerei di definire il libro : “ un romanzo fantastico su sfondi storici”:

Il lettore, inoltre, resta affascinato dalle narrazioni tanto da sentirsi immedesimato nelle pieghe psicologiche di base. E’ per questo che il libro si legge d’un fiato con gusto divertito ma più spesso meditabondo.

I sentimenti affettivi, infine, sono esposti con la maestria di chi forse ha provato quelle sensazioni e riesce a trasmetterle , senza brutalità, senza morbosità, ma con pura delicatezza, anzi, con sgomento di fronte a situazioni imbarazzanti che sono sfociate alla distruzione di vite umane – cap. 18 – per un amore innocente.

Ci si sente quasi protagonisti con persone che sprizzano sentimenti di alto valore, provocando un profumo di fiori olezzanti senza essere calpestati. E così ci si sente sulle ali di un veliero che scalpita ma non affonda nel fango.

Bravo Marco! Deciditi a pubblicarlo: sono certo che avrai successo.

Con questu auguri ti salutiamo.

 

Pagliara dei Marsi , lì 21 agosto 204.

 

                                                                  (Mons. Prof. Ezio Del Grosso) 

 

 

 

 

Presentazione dell’autore

 

Qualche tempo fa Don Ezio venne a sapere  che stavo scrivendo un romanzo ambientato , almeno in parte , in quest’angolino d’Abruzzo ,  e mi pregò di fargliene avere una copia non appena l’avessi completato.

A Pasqua , approfittando di qualche giorno di ferie e del desiderio di mio figlio Roberto di rivedere gli amici , mi sono rifugiato  nella cucina del villino di  piazza  S. Salvatore e sono riuscito ad ultimarlo  -  tra lavoro, figli e conti il tempo non si trova mai - e a  giugno , in occasione di una mia breve visita a Pagliata,  ho consegnato , come promesso , al nostro parroco una bozza del libro .

Quando un paio di settimane fa Don Ezio mi ha chiesto di poter recensire “Sotto le stelle dell’Arcigalante” e di presentarlo in pubblico in occasione del tradizionale concerto di fine agosto nella nostra splendida chiesa, sono rimasto lusingato dalla proposta e  ho accettato molto volentieri l’invito,  anche se non Vi nascondo di provare un certo imbarazzo considerato questo mio caratteraccio da orso morsicano.

Qualcuno di voi, se avrà la pazienza di sfogliare queste pagine, ,  troverà, mimetizzate tra i capitoli,  figure note , la maggior parte  ormai scomparse,  e in alcuni casi non concorderà con la caratterizzazione di alcuni protagonisti della recente storia del nostro paese o con certe valutazioni , che lungi dal voler giudicare chicche e sia, come direbbe quel genio di Totò,  vogliono soltanto proiettare sul lettori  le luci in chiaroscuro e i toni crepuscolari, di  quel particolare periodo storico che vede la fine  del secondo conflitto mondiale e segna il riaprirsi di ferite riportate  nel ventennio, mai completamente cicatrizzate anche in comunità isolate come la nostra.

Il racconto è un omaggio al mio paese d’adozione e una scusa per percorrerne le viuzze e le notti stellate  : sono nato a Roma per puro caso ,  ad appena due mesi  ero già qui in vacanza .

Sono grato a Voi tutti della partecipazione   ma ringrazio  in particolare Don Ezio e Dario Di Marzio . Senza i numerosi spunti trovati nei loro libri non sarei mai stato in grado di portare a compimento questo mio lavoro.     

Ho fatto qualche copia del manoscritto, roba fatta in casa , chissà, forse un giorno mi deciderò a pubblicarlo, nel frattempo se qualcuno volesse leggerlo potrà trovarlo sul mio sito xoomer.virgilio.it/tiddi.

Ancora grazie a tutti.

 

 

 

Agosto passò in fretta, salutai le stelle dell’ Orsa , caricai le valigie nel bagagliaio dell’auto  e me ne tornai malinconicamente alla vita di tutti i giorni . In fondo prima o poi doveva accadere l’importante sarebbe stato non farsi sopraffare da quel malessere dell’anima che i più chiamano nostalgia. Cazzo! Una pennellata di pathos ogni tanto non guasta. Sì , lo so, mi ripeto. E allora? Vorrei vedere voi dopo 570 pagine, 3.747 paragrafi  e 207.289 parole.

Dimenticavo di dirvi che un paio di mesi prima della partenza per le vacanze estive avevamo firmato il compromesso per la vendita dell’appartamento di piazza Gondar. L’aspirante acquirente mi aveva tampinato per mesi , l’offerta non era delle più allettanti ma non potevo decidere da solo . Quattro chiacchiere , una firma e un piccolo anticipo. Avremmo ufficializzato la questione  al ritorno delle ferie.

Purtroppo anche quel triste giorno non tardò ad arrivare. 

Quel mattino del 13 settembre nell’aria non c’era traccia di polvere fatata , né uno straccio  d’arcobaleno sullo sfondo del cielo azzurro contro cui si stagliava , come ogni giorno da più di quarant’anni , quel palazzone d’angolo . Cosa potevo aspettarmi?

Ero salito qualche giorno prima per un ultimo saluto a quelle stanze sventrate dai lavori in corso. Sembrava Beirut. Il gabinetto di servizio era sparito ingoiato dal vano cucina . In sala da pranzo solo polvere , cartaccia e sacchetti di calcinacci addossati alla parete . Chissà come l’avrebbe presa Ferndella se avesse visto quello sfacelo. Quando spiavo i miei dalla porta socchiusa capivo che , almeno lei, ci teneva tanto a quel salotto buono, sempre chiuso a chiave per proteggere mobilio, divani e ninnoli dalla furia di quei suoi piccoli vandali in calzoncini corti.

L’alba m’aveva trovato già sveglio, forse non avevo dormito affatto quella  notte. L’appuntamento per la firma del rogito davanti alla banca – piazzata per ironia della sorte proprio davanti a quelle finestre - era previsto per le undici ma alle otto ero già in giro per sbollire la rabbia. Non ricordo cosa feci , dove andai , so sono che mi rodeva il culo e mi giravano le palle ad elica refrigerando l’intero impianto di scarico.   

Quando all’ora stabilita - o giù di lì  - mi vidi porgere dal notaio la biro per apporre la firma in fondo  a quel  maledetto foglio  protocollo esitai, sentii lo stomaco contrarsi  fino a farmi male. Un nodo mi si strinse intorno alla gola , pareva volesse strangolarmi . Ingoiai amaro , scrutai il volto serio del professionista, voltai appena lo sguardo e incrociai quello del nuovo proprietario . Sorrideva alla moglie  che le era seduta accanto.  Un’ invidia feroce, degna del più profondo degli inferni! Cercai il coraggio e impugnai la penna , le dita mi tremavano , ancora un attimo d’esitazione, poi, finalmente, il pennino sfrigolò versando su quella pagina inchiostro e fiele.

Lo scooter stentava ad accendersi. E che cazzo! Era nuovo. Con un moto di stizza  lo sollevai  sul cavalletto e provai ancora una volta sfregando il tallone sulla pedalina e digrignando i denti. Una. Due. Tre volte . Finalmente  la scintilla incendiò la benzina e il crepitio del motore liberò dalla marmitta tremolante un fumo denso e bianchiccio .

Inforcai gli occhiali scuri , il sole batteva sul parabrezza sporco rendendo difficile vedere la strada di fronte . Riuscii a stento a fermare quella stramaledetta  fibbia del casco . Quando l’avevo provato mi ero subito reso conto che era difettosa, ma come al solito avevo lasciato correre. Il venditore mi aveva fatto credere che la chiusura era perfettamente funzionante ed anche in quel caso l’inconveniente era da imputare all’imperizia di quelle mie dita da arruffone . 

Nel ripartire non  feci caso alla grossa Volvo nera che ripartiva sgommando dal semaforo. Riuscii ad inchiodare  evitandola per un soffio. Il cuore mi saltò in gola , m’ era andata bene. Un secondo incontro ravvicinato con  uno di quei bestioni non credo m’avrebbe lasciato scampo.

Ispirai a fondo l’aria sudicia di benzina e motori cercando di tirarla fuori tutta prima di finire avvelenato , poi diedi  gas. Il motore era rimasto miracolosamente acceso.  Passai la mano aperta su quella plastica sagomata  cercando di ripulirla alla meglio ma così facendo peggiorai la situazione , così  , sporgendomi di lato imboccai il viale Etiopia traboccante d’auto , motociclette e gas di scarico. Stillavo bile e malinconia.

Il rientro a casa non contribuì  a rendermi meno amara la pillola.

“Domattina devo fare la spesa.” Esordì la mia signora passandomi accanto mentre correva dietro al piccolo con un cucchiaio in una mano e un piatto di pastasciutta fumante nell’altra.

“E allora?”

“I soldi sono finiti.”

“A metà  mese?”

Si fermò , mi fulminò  con un’occhiataccia . Conoscevo quello sguardo. Sapevo che aveva ragione. Qualche volta , rimuginai, anziché tornare accigliato e fumare dalle orecchie dovrei rientrare con delle rose per lei , anche se l’ho sposata più di vent’anni fa non dovrebbe trattarsi di reato .

“Non so proprio dove prenderli.” Ripresi.

Mi fissò negli occhi , alzò le spalle , poi tornò a ricorrere Gabriele.

“Ciao pa’!”

 Ancora  inebetito,  intuii che quell’anima lunga che mi era passata accanto salutandomi , per poi chiudersi in bagno senza aspettare di essere ricambiato,  doveva essere Roberto.

“Ciao…” risposi sottovoce posando le chiavi di casa sulla scrivania dello studio.

Fissai con aria preoccupata un punto indefinito oltre la finestra .

“Ale è tornato ?” Chiesi a Lety che esausta riprendeva fiato seduta sul bordo del divano buono.

“Sì ma è già riuscito. A proposito…Roberto ha portato i bollettini per l’iscrizione  al nuovo anno.”

“Ma gli altri li ho pagati meno di un mese fa.”

Ancora una volta sollevò  le sopracciglia atteggiando le labbra ad un sorriso di commiserazione. Poi sollevò la mano aperta per mostrarmi tutte e cinque le  dita e replicò:

“Ne sono passati cinque!”

“Cinque? “ Bofonchiai “ Allora doveva trattarsi di qualcos’altro.”

Posai la borsa sulla sedia , l’aprii e tirai fuori un paio di buste, poi, mostrandogliele:

“Lo sai cosa sono?”

“Cosa vuoi che siano? Le solite bollette. E’ un pezzo che non ci scrive più qualcuno che non bussi a quattrini.”

“Dove cazzo li pesco stavolta?”

Non aspettai la risposta, mi tirai giù la lampo per dirigermi verso il gabinetto.

Provai ad entrare ma era chiuso dall’interno.

“Robè!” urlai spazientito “Mi sto pisciando sotto!”

“La cuffia.” Mi suggerì la madre avvicinando le dita all’orecchio “Non ti sente. S’è portato il CD portatile.”

“Robby!” Tornai a gridare con gli occhi fuori dalle orbite. “La devo fare in un bicchiere!?”

“E’?” domandò l’anima lunga  facendo capolino dalla porta socchiusa con le cuffiette in mano e le braghe calate.

“Cazzo!” Risposi infuriato  finendo di spalancare la porta con un calcione. “Possibile che non riusciate a farvi una cacata senza musica a palla!”

In fondo era una giornata come tante. Solo che stavolta ero molto più incazzato.

Per rivivere le ore vissute in quella casa in fondo a viale Somalia non mi restava che aprire con delicatezza – pena il taglio delle mani -  la ribalta del mobile scampato alla svendita e fiutarne gli odori come un cane in cerca del padrone.
Quando passo sotto quelle finestre d’alluminio indorato che baluginano al sole non ho più la forza neppure di sollevare lo sguardo. Fa male . Dovrei  cambiare quartiere. Darci un taglio netto e vaffanculo! 

Alla mia età mio padre col suo solo stipendio, moglie e quattro figli a carico,  aveva già comprato quattro appartamenti, uno a Milano e tre a Roma, trovando anche  gli spiccioli per costruirsi un villino  nuovo di zecca nel paesello natio della consorte.

Io ancora pago l’affitto e coi quattro soldi rimediati dalla vendita della casa paterna non riesco neanche a dare un congruo anticipo per acquistare una topaia in periferia.

Lety s’illude e sogna. Quando riesce a ritagliarsi un piccolo spazio , tra panni da stendere, cene da approntare e piatti da lavare , siede sul bordo del letto mentre il piccolo gioca e consulta giornali e riviste specializzati . Segna, cerchia, telefona, fissa appuntamenti. Poi mi carica di peso in auto e mi porta a visitare agenzie e visionare appartamenti in zona e fuori mano. Non riesco a trovare il coraggio di confessarle la verità : con i prezzi che si vedono in giro possiamo forse aspirare ad un box o una cantina, al più una stamberga fuori Roma.  Sfido che è peggiorata l’ulcera e m’è tornata la colite!

Chiudiamola qui. Tanto non c’è niente da fare. Non aggiungerò più una riga sull’argomento. L’unica è continuare a tentare la fortuna dal tabaccaio sotto casa. Se vinco – giuro! - me la ricompro ! Anche se per riaverla dovessi scucire il doppio di quanto ricavato dalla vendita.   

Ed ora torniamo all’oggi, manca poco più di un mese a Natale, ancora luci e decorazioni nelle vetrine , regali più o meno graditi, la calda atmosfera delle feste in famiglia.

Intanto piove sul bagnato. I medici m’hanno tolto cacio e frittata - prove inconfutabili dell’esistenza di Dio - la Roma annaspa nei bassifondi della classifica a diciotto punti dalla vetta, Ale ha disintegrato l’Honda collezionando sette punti sul mento , e ,dulcis in fundo , la compagnia per cui lavoro sta per darmi il benservito. 

La stramaledetta globalizzazione imposta da chi gira con le tasche gonfie ha colpito ancora . L’azienda chiede fusioni e accorpamenti. O così o niente. In caso contrario minaccia un bagno di sangue.

D’altra parte me l’aspettavo da un pezzo. Non ve l’avevo forse già detto? Per costringermi a mollare  alza le tariffe e non mi consente di applicare i tradizionali sconti , tenta di svuotarmi il portafoglio. Fa il suo gioco, persegue, è ovvio  la politica del cuia sum leo.  Non so come andrà a finire questa faccenda ma posso immaginarlo,  quasi certamente prima o poi dovrò seppellire l’ascia di guerra , ma una cosa è certa : non mi arrenderò senza combattere. Se sarà necessario cambierò mestiere. Nel frattempo ho scritto al commerciale dettando le mie condizioni.  Volete sapere quali ?  Per ora non posso accontentarvi. Tranquilli. Anche se resto convinto che le decisioni importanti vadano prese d’impulso, questa volta non sono partito a testa bassa, per il momento ho preferito inserire il limitatore di velocità. A volte vorrei indossare un costume da pipistrello e librare tra i palazzi per combattere le ingiustizie . Per far questo  però dovrei prima vincere la sindrome da telecomando e perdere qualche chilo in eccesso . Preferisco scendere sulla terra,  mettermi alla tastiera e massacrarli a colpi d’ avverbi e aggettivi. Cercherò in tutti i modi di fargli sviluppare quella parte di cervello della quale ignorano l’esistenza.

Ho mosso i miei pezzi, per il momento mi sono limitato a spostare prudentemente i pedoni in avanscoperta , prima di avanzare la regina  aspetto la loro contromossa.

In compenso il piccolo , col suo profumo di biscotti e quel suo pigiamone felpato, è una gioia e il sole , malgrado l’inverno sia alle porte, continua a splendere e a scaldare la città.

Ma questa è storia recente , vecchia appena di poche ore,  vi terrò informati su come andrà a finire, nel frattempo possiamo tornare ad occuparci dei bei tempi andati . Chissà perché i giorni che ci lasciamo alle spalle ci sembrano sempre migliori di quelli a venire.
Se non sbaglio eravamo rimasti impaludati nelle acque limacciose dei primi mesi del 1996.

Al lavoro.