l crepuscolo del 1995 le finestre dei palazzi sono
tutte illuminate e dai vetri appannati filtrano le lucine intermittenti degli
alberi di Natale. I tortellini galleggiano allegramente sulla superficie del
brodo di carne che fuma sulla tavola imbandita, adorna , per l’occasione, di una tovaglia rossa di bucato.
Nell’atmosfera ovattata di fine anno poche sono le auto che percorrono la
città, la serenità in famiglia regna sovrana , si prepara lo spumante , si
affettano i salumi pregustando il tradizionale cenone di fine anno . I
ragazzini sciamano per le stanze e gli uomini spettegolano di calcio e politica
gustando l’aperitivo . Le signore , stremate
dai lunghi preparativi, si
lasciano andare su una sedia e , tra uno sbadiglio e l’altro, accendono l’ultima sigaretta , poi, radunati figli, mariti e nipoti, danno
l’assalto all’antipasto . Le mandibole cominciano a scricchiolare e persino i
più ciarlieri chiudono il becco e affilano gli incisivi per azzannare la fetta
di prosciutto o assaporare il gusto della mozzarella di bufala assediata dal
fritto di carciofi e zucchine.
Tutto sembra filare liscio, ma ecco che a guastare
la festa appare sugli schermi televisivi -
come ogni anno da quando hanno inventato quell’infernale tubo catodico - la malinconica figura del
presidente della Repubblica per il consueto , e mai richiesto , messaggio di
fine anno al popolino affamato e distratto.
L’espressione subdola di Oscar Luigi Scalfaro
toglierebbe l’appetito a chiunque e pochi sono in effetti quelli che resistono
alla tentazione di cambiare canale sintonizzandosi magari sul tradizionale
varietà d’intrattenimento . Macché ! Niente da fare. E’ dappertutto ! Affolla le reti di viale Mazzini e quelle del
biscione , ed è inutile cercare scampo tra le frequenze riservate alle
emittenti locali , sì è impadronito anche di quelle . Molti spengono la tivù ,
altri, i più temerari, preferiscono rischiare di rovinarsi il pasto
. Per i pochi coraggiosi le ciance sono
le solite : auguri di rito, pennellate di patriottismo a buon mercato e
l’immancabile appello ai partiti perché s’impegnino a proseguire nel dialogo
avviato per arrivare alle ormai improrogabili riforme istituzionali.
Tra le perle appena sfornate dal governo Dini entra in vigore ad inizio anno la riforma del sistema pensionistico che richiede a chi è stanco di faticare e vorrebbe godersi la vecchiaia almeno 35 anni di contributi e 52 d’ età. Commercianti ed artigiani secondo il ributtante rospo di palazzo Chigi lavorano meno , non possono quindi chiudere bottega prima d’aver raggiunto le 56 primavere. Sarà l’inizio di una corsa al rialzo che mira a far tirare le cuoia al lavoratore prima che il povero diavolo possa raggiungere la quiescenza . E’ in tal modo che si tenta di trarre in salvo il traballante carrozzone dell’Inps destinato altrimenti a perire sotto i colpi di chi l’ha foraggiato per anni . Da quel momento in poi , per i pochi fortunati che riescono a trovare un posticino all’ombra di ministeri , enti locali o imprese private, anche il pagamento dei contributi, o marchette che dir si voglia, diventa così l’ennesima tassa a fondo perduto da versare periodicamente all’ erario . Gli autonomi dal canto loro, consci di buttare i pochi quattrini scampati a tasse , bollette ed affitto in un barile senza fondo, tentano di sottrarsi all’ennesimo balzello. Invano. Sulle loro tracce vengono sguinzagliate orde inferocite d’ ispettori e fiamme gialle. La lotta è impari , la resa incondizionata. I più fortunati prima di ritirarsi al paesello vendono il negozio o l’attività all’istituto di credito che già da tempo volteggiava come un avvoltoio pronto ad impadronirsi del vecchio esercizio d’angolo per trasformarlo in una filiale dotata delle più sofisticate lavatrici . Gli altri finiscono in mano agli strozzini o chiudono definitivamente bottega. Sempre più numerose , specialmente nelle vie meno frequentate e tra i vicoli nascosti , le saracinesche abbassate imbrattate da scritte antisemita o motti di tifosi sfigati. Ogni tanto qualcuno prova a sollevarle ma dura lo spazio di una stagione.
L’ex agente dei servizi segreti Roberto Napoli
intanto rivela che il Sisde aveva cominciato a fare le pulci al pool di mani
pulite e al suo più scomodo rappresentante
fin dal 1992. Tonino a bordo
della sua Mercedes, indeciso se voltare a destra o sinistra sbanda paurosamente e finisce fatalmente
fuori strada. Nel frattempo l’ennesima secchiata di merda che si vede piovere addosso Silvio faccia di
gomma non scuote più di tanto il futuro uomo della provvidenza. Uno dei
suoi bravacci più in vista , Marcello dell’Utri , ex presidente di Publitalia,
viene accusato di brigare con Cosa Nostra
- bagattelle e loschi affarucci
tra uomini d’onore - ma è la solita bolla di sapone che svanisce
come d’incanto nell’aria nebbiosa della seconda Repubblica. C’è chi comincia a provare una curiosa
nostalgia per gobbi, nani e perfino corpulenti mariuoli in vacanza premio in
Tunisia. Gli ominidi di piazza del Gesù e via del Corso rialzano la testa e affilano le armi
preparandosi a volteggiare sui cadaveri dei nuovi arrivati: dilettanti già
decotti e pronti a beccarsi come i capponi di Renzo Tramaglino.
Stop and go! Torniamo a puntare i
riflettori sul presente . Abbiate pazienza un istante : in città sta accadendo
qualcosa di veramente insolito.
Cacchio come nevica!
E’ il 23 gennaio , mancano venti minuti alle due, ho
appena finto di spazzare via dalla scodella un piatto di pasta e patate da
urlo, preparato con la consueta
maestria dalla mia signora ancora alle prese con i postumi di una brutta
influenza . Veramente qui i malati sono tre .
Il mezzobusto del Tiggi ci ha appena rivelato che , mentre il nostro
presidente del consiglio è tornato come nuovo dopo un miracoloso lifting – roba
da non credere - tre italiani su cinque
sono a letto con l’epidemia di stagione. Almeno all’interno 8 di viale Libia
189 il conto torna: casa mia sembra una
corsia del Policlinico . Io? Speriamo che
me la cavo.
Viene giù che è un piacere , fiocchi grossi come
noci che danzano disordinati davanti alla finestra del mio studio. Chissà se
attacca?
Ho cominciato a vedere i primi batuffoli scendere fitti verso la mezza , non credevo
potesse durare tanto a lungo .
I miei occhi a mezzo servizio hanno preso a
curiosare dalla grande finestra del salone
dell’appartamento ormai deserto , all’interno 10 di piazza Gondar 14 ,
disegnando con la mente le nuvole bianche che assediavano quel mattino il ponte
delle valli.
Mi trovavo lì per il tradizionale appuntamento delle
12,30 con il perditempo di turno per il solito giro di ricognizione lungo i
corridoi silenziosi dell’appartamento in vendita .
In attesa del suo arrivo ho visitato ancora una
volta quelle stanze in disarmo e fiutato quegli odori cari come un tossico in
crisi d’astinenza che tenta inutilmente di segnare il territorio per far capire
agli intrusi che quella è zona sua.
Sono entrato nello studio ormai vuoto , ho
attraversato il corridoio , sbirciato oltre la porta del bagno quindi mi sono
avvicinato al finestrone della mia stanza,
un tempo scintillante di poster e vinile ed oggi adibita ad anonimo
magazzino , per spiare le strade e i
palazzi di viale Libia.
L’importuno seccatore tardava . Sono tornato
indietro , entrato nel ripostiglio per controllare se ci fosse ancora qualcosa
da portare via . Un’occhiata alla stanzetta di fronte poi sono sgattaiolato
nella camera di mamma e papà. Nell’aria ancora il loro odore. Ancora uno
sguardo verso i vetri rigati dalla
pioggia mista a neve poi sono uscito da
quella stanza dove tutto è rimasto fermo da quel triste mattino di maggio .
Dal grande ingresso , ormai muto e solitario , ho
guardato verso sinistra e ho rivisto me stesso bambino seduto sulla sedia di
cucina . Il palmo delle mani sollevava appena le cosce in miniatura fasciate
dagli scomodi pantaloncini all’inglese. I piedini ancora non toccavano terra e
ciondolavano pigri con i calzini a mezz’asta
. Osservavo mia madre preparare la cena , rigovernare la cucina e
ripetere a memoria i gesti d’allora. Un
tuffo al cuore, le farfalline nella pancia . Ho attraversato l’ultimo corridoio
, un rapido sguardo al tinello sepolto da decine di scatoloni , dove un tempo
si svolgevano le allegre schermaglie di quattro pesti col tovagliolo al collo.
Ancora un passo , un’istantanea alla vaschetta del bagno di servizio dove venivo
scartavetrato da piccolo al ritorno dal parco nel vano tentativo di farmi tornare presentabile , infine ho varcato
la soglia di cucina .
Mi sono avvicinato alla finestra , fuori, in cortile , un freddo pungente , la neve
che spruzzava le ringhiere e l’odore di cavolo fritto che saliva dalla
chiostrina . La signora Caroli si è affrettata a ritirare i panni stesi, poi
rabbrividendo per il freddo ha richiuso di corsa la porta finestra prima di
finire congelata.
A svegliarmi il trillo irritante del citofono .
Ma dove cazzo li trovano i quattrini per comprarsi
casa mia?
Oggi è venerdì, c’è ancora il tempo per un ultimo ,
disperato tentativo di centrare quel benedetto
sei al Super Enalotto.
Non si sa mai.
Ha già smesso di nevicare , sull’asfalto solo
l’umido della pioggia e i segni dei pneumatici lasciati dalle poche auto in
circolazione , i fiocchi non sono riusciti ad imbiancare nemmeno il terriccio
sotto gli alberi . Il sogno è durato poco, chiudiamo anche questa melensa parentesi
e riprendiamo il cammino intrapreso lungo la ripida salita dei primi mesi del
1996.
Anzi no. Non è il caso. Potrei non averne più il tempo , da un momento all’altro anche
quel poco di luce che mi resta potrebbe spegnersi e prima che Santa Lucia smonti
definitivamente dal servizio , sarà bene rincorrere gli avvenimenti dell’anno
in corso . Ad aiutarmi a rimestare nei giorni che mi sono appena lasciato alle
spalle i mitici Pink Floyd . Sul piatto gira un vecchio ellepi del lontano 1971
, Atom hearth mother . Non so se mi
spiego? Stiamo parlando di una delle pietre miliari del rock progressivo. Roba
forte. Ma con chi sto a parla’?
Immagino che vorrete sapere a cosa mi riferivo
quando , qualche riga più su , accennavo all’ eventuale black out del mio senso
preferito . Da sempre il meno sviluppato. Che dirvi? Me ne sono improvvisamente
reso conto mentre girovagavo a bordo del vecchio zip nero coatto , finito in
quiescenza qualche mese fa .
Ero appena uscito dal portone del civico 45 di via
Scarpanto per il periodico incasso della polizza del buon De Angelis e, balzato
in sella al cinquantino me ne tornavo tranquillamente verso casa. Via di Valle
Melaina era trafficata come al solito. Forse anche di più.
All’improvviso per qualche ragione , forse un pizzicore
, forse una folata di vento – non ricordo -
ho chiuso l’occhio sinistro e
fissando con l’altro la targa dell’auto che mi precedeva mi sono reso conto che
le cifre di quella placca bianca e nera
fluttuavano curiosamente . Lì
per lì ho pensato che mi si fosse spostata la lente e ho stropicciato la
palpebra. Macché! La visione non cambiava di una virgola : un buco nero al
centro e immagini distorte in periferia. Cazzo! Oltre alla gastrite, alla
colite e all’artrosi al braccio era arrivata – prevista ma non per questo meno
sgradita – la degenerazione della retina. I sintomi erano evidenti : comparsa
di distorsioni e ondulazione nella visione centrale . Chi ne soffre nota queste
disfunzioni quando fissa oggetti dai
bordi dritti come palazzi o scalini.
Era il mio caso. Da manuale ! La successiva visita oculistica , effettuata solo qualche ora dopo dal mio
amico Giorgio Gueli – la paura fa novanta - non fece che confermare i miei più
foschi presagi .
D’altronde il Dottor Cristofari , un menagramo
dall’aria pacata e gli occhi piccoli e torvi scovato da papà perché verificasse
la possibilità di farmi assegnare una pensione d’invalidità , me l’aveva già
tirata vent’anni prima durante un’accurata visita di controllo effettuata
nell’oscurità del suo studiolo appollaiato in un palazzone del quartiere
Trionfale A dire dell’insigne specialista il distacco della retina sembrava
imminente , questione di mesi, invece cornea , cristallino , vitreo , fovea ,
coni e bastoncelli avevano continuato per anni , sia pure a fatica , a fare il
loro dovere permettendo alla retina d’invecchiare serenamente senza darmi
troppi grattacapi. Ora anche per lei era arrivata l’età della pensione.
Da quel maledetto giorno la minuziosa osservazione
dell’insegna del garage sotto casa diventò
un’autentica fissazione . La verifica diventò routine : ogni benedetta
mattina , che uscissi o rincasassi, alzavo lo sguardo, tappavo l’occhio buono e
i caratteri deformati di quel cartellone giallo e blu cominciavano immancabilmente a danzare . Neanche ai tempi delle
canne! Questo fino a qualche tempo fa.
Poi la situazione è peggiorata , ora
non riesco più nemmeno a distinguerli e il caos è completo. Meglio così : l’occhio
malato , confondendo ulteriormente
luci, immagini e sensazioni, non rompe troppo
i coglioni a quello in servizio che, sia pure obbligato al doppio lavoro, pare
continui a cavarsela piuttosto bene.
Nella speranza che si prenda cura
del superstite e continui a
preservare quel poco di vista che mi resta , Santa Lucia - è naturale - è entrata nelle hit delle mie
preghiere . A tarda sera , prima di accendere la radio e chiudere gli occhi ,
dopo le preci per i miei cari e i doverosi ringraziamenti a Mamma e Figlio, il
mio pensiero corre a lei e a quella piccola statua di gesso conservata nella
nicchia della chiesetta di San Salvatore.
Mi tornano alla mente le parole scritte da nonna
Nannina preoccupata per la salute del marito. Ricordate? “...prima di tutto per un esaurimento nervoso,
dovuto alla caduta della sua banca, poi non aveva la tessera fascista, ed
infine gli principiavano a scendere le cateratte, lo adoravo tanto che il mio
più grande dolore era quello di vedere lui con la sua bella intelligenza
ridotto su una poltrona e qualche volta vederlo pure a piangere.”.
Spero di non seguire quelle orme. L’esaurimento oggi
si chiama “depressione” e la rabbia che ho in corpo mi auguro contribuisca ad
allontanarla e a salvaguardare le mie coronarie. La tessera fascista ha nome
“conformismo” ed anche se ogni mattina mi sveglio con la pretesa di un ruolo da
protagonista non mi pare di soffrirne
più di tanto. La “caduta della banca” somiglia in modo inquietante al calcio in
culo che sta per mollarmi l’azienda per la quale lavoro , anche se non ho
ancora compreso se sarà un bene o un male.
In quanto alla crescita anormale dei
vasi sanguigni sotto la retina e alle cicatrici comparse nel bulbo oculare
, ho paura siano la naturale evoluzione
della degenerazione maculare legata all’età
, quella che nel ‘trentacinque era stata diagnosticata a mio nonno come
semplice cataratta. Mi auguro solo non
debba acquistare un pastore tedesco. Non saprei proprio dove metterlo.
Ma molto altro stava per accadere. Ne parleremo nel
prossimo capitolo, vi basti sapere per ora che, purtroppo, quel sospirato sei
non sono riuscito a centrarlo . Potete facilmente immaginare con quali
conseguenze.