CAPITOLO SESSANTASETTE
Libera me Domine
19/05/2009 21.33.18
unto primo non ammalarsi ,
ma , se proprio non siete riusciti ad evitarlo , tenetevi , se non altro , ben lontano
dai Pronto Soccorso . Forse non lo sapete , ma a
dirigerli , novanta volte su cento , c’è un completo deficiente . Difettando di tale
requisito difficilmente si può aspirare a ricoprire incarichi di tale
importanza .
L’atmosfera di quello del
Sant’Andrea , poi , l’ultimo e certamente il peggiore che abbia mai avuto la
sciagura di visitare , non è propriamente quella che si respira nella celeberrima
serie televisiva a stelle e strisce . La frenesia dei nostri camici bianchi ricorda , smorfia più , cipiglio meno , quella del pacioso
bigliettaio , interpretato dall’inconfondibile maschera di un Aldo Fabrizi agli
esordi , alle prese con gli indisciplinati utenti di un affollato tram in “Avanti c’è posto “ .
Qui le barelle non sfrecciano ,
sostano , e la fatidica frase urlata in forma binaria dai cazzutissimi
medici dello zio Sam : “Lo stiamo perdendo ! Lo stiamo perdendo! ” , suona più o meno :” … s’è persa una nonnina , l’ultima
volta è stata vista aggirarsi , tra un codice verde ramarro ed uno giallo
conato di vomito , nei pressi del triage . Chiunque ne avesse notizie è pregato
informarne i familiari mummificati in sala d’attesa … “
In compenso , a rattoppare
l’inettitudine degli addetti al lavoro , ci pensa l’informatica , la telematica
e tutte le mirabolanti diavolerie messe a disposizione del cittadino in
transito … scusate , ho peccato di ottimismo , intendevo al bivacco .
Dovreste vedere che sfarzo !
Disseminati un po’ dovunque colossali televisori al plasma appesi alle pareti , schermo piatto , alta definizione e digitale incorporato ,
allietano l’attesa di chi sonnecchia in coda . Unica nota stonata la totale
assenza di segnale audio , completamenti muti , ma in
fondo non c’è niente di strano ,
considerato che chi li coordina è sordo e cieco .
I perché della burocrazia di un nosocomio esulano
dalla competenza della ragione per entrare in quella della psichiatria , l’apocalisse sanitaria ti stritola in un abbraccio
mortale e ti sbriciola come un vaso di terracotta sotto una pressa . Puoi
provare a tenere botta , ma è una lotta impari , in
sala visita non si entra nemmeno a martellate . I megaschermi che annunciano
sette ore di attesa dovrebbero essere un sintomo allarmante , eppure , stivati là dentro , si smette di pensare e si viaggia contromano .
Non sai dove sei , né
quello che t’è capitato , devono averti miniaturizzato il cervello e non te ne
sei nemmeno accorto . Ti senti la testa come un pallone ma quello che appare più strano è che
ti sembra di librare nel vuoto , ad un
palmo da terra , come in mancanza di forza di gravità .
La lunga attesa ottenebra i sensi
, la grande sala è intasata dalla vecchia generazione e dalla prole emergente , senza distinzioni
di sesso , razza , taglia o religione . Scoppi di aggressività si manifestano
senza preavviso e si spengono con altrettanta repentinità .
Si parla di tutto , è un coro dolente che spazia con
la massima disinvoltura dal campionato di calcio alla malasanità , sconfinando
in speciose disquisizioni sull’integrazione razziale . Messaggi di solidarietà
tra derelitti , dispersi nella vastità di
quell’immenso salone dove anche un semplice starnuto risulta amplificato ,
eppure sembra un raduno per non udenti . Per difenderti dai più ciarlieri ti
viene comunque incontro la tecnologia più avanzata ,
nascondi la micro cuffia dell’emmepitre tra i capelli
, alzi il volume a palla e assumi un’espressione buona per ogni circostanza , a
quel punto puoi lasciarlo parlare a ruota libera .
Poi , d’un tratto , tutti
si fermano , il silenzio è irreale , le carrozzine tornano in pole
position , si riforniscono le flebo , si rabboccano i cateteri , scattano i relais . Nessuno vuole farsi
sorprendere dal verde , incorrendo nelle maledizioni
delle mute pronte allo scatto . Dall’espressione di un’infermiera appena uscita
dal suo loculo su misura può dipendere una crisi stenocardica . Qualcuno prova a
leggerle le labbra cercando un rassicurante sorriso di garanzia . La lunga attesa è forse finita ?
C’è chi sorride , altri deglutiscono , si attende
trepidanti il fischio s’inizio . Ma è un falso allarme ,
ha semplicemente finito il turno e
l’inevitabile pausa che , s’intuisce , ne
deriverà , innesca di nuovo la follia .
Il mormorio comincia in sordina per proseguire in un
rabbioso crescendo , mentre la povera donna , guardinga
ed impaurita , guadagna a grandi falcate l’uscita . Sa che i tempi di Torquemada sono lontani , ma si
rende conto che avresti comunque il potere di ucciderla semplicemente
concentrandoti con il pensiero sulla sua morte . La colpa è sua , è l’archetipo della capo sala . Non sorride mai , sguardo torvo e sopracciglia prive di trattamento diserbante
, sta sempre incazzata e ti manda a fare in culo se solo le rivolgi la parola .
Eppure assolve in realtà una precisa funzione
sociale , quella di farti odiare quel posto , persuadendoti
a non tornarci mai più , ad evitare ingorghi da terza corsia . La logica è fin troppo ovvia , incanalarti verso l’uscita , prima che la nuova onda
sposi la prima .
La tattica funziona , è una
strategia ormai collaudata , la grande sala
lentamente si svuota , è ora di cena , restano gli ultimi irriducibili ,
pronti a sciropparsi commenti e proclami di chi adora ascoltare il suono della
propria voce . S’indignano , irridono, dileggiano si
scandalizzano , sono sempre gli stessi , alcuni c’ hanno preso la residenza .
La fauna è numerosa e variegata .
Accanto a nonni , nonne e nipotini pascolano coatti
tatuati , in versione querula chiedono
gli si allunghi una sigaretta . La mise è quella d’ordinanza
, jeans sdruciti , canottiera attillata
e capezza d’oro da sei etti e mezzo . Di solito però
non parlano , si limitano ad un cenno o pretendono gli
si renda il servizio sulla base di semplici indicazioni telepatiche , al più
mugugnano . Vorresti usarli come parafulmini .
Non manca poi la seducente topa da sanatorio , faccia da troia , lunghi stivali e sottana a fior di culo . Inerpicata
su scoscesi tacchi a spillo ha lo sguardo perso , la
sigaretta spenta che le penzola dalle labbra , la testa appoggiata sull’asse
gomito – polso . L’espressione è annoiata , tipica di
chi non batte un chiodo . Cos’abbia nessuno lo sa , forse
aspetta il primario , comunque è lì anche lei , ed ovviamente ha la precedenza su
chiunque altro .
Intanto dilaga lo sconforto ,
c’è chi si taglia le vene per verniciare di rosso il proprio , insignificante codice
verde , chi si rivolge al chiromante nella speranza possa rivelargli precisi
tempi d’ attesa , e chi è disposto persino ad ingoiare un intero tubetto di callifugo
pur di simulare un improvviso quanto provvidenziale arresto cardiaco .
Non reagiamo nemmeno più , ci
sentiamo smarriti , rassegnati e ci accasciamo sulle sedie di plastica come in
un greve e assonnato pomeriggio d’agosto . Nell’aria l’odore del pavimento di
piastrelle appena
lavato , avverti i primi crampi mordere il polpaccio , e intanto sogni il profumo
pulito , affettuoso del tuo letto con le ruvide lenzuola di bucato . Invece sei
lì , come in un drugstore di quelli aperti anche dopo
mezzanotte , l’occhio sghembo a fissare il televisore più vicino , seduto a
dimenarti sulla sedia come un forsennato manco fossi seduto su un termitaio . Da
anni soffri di cervicale eppure sei tanto scemo da continuare a farti del male ! Tieni il libro aperto sulle ginocchia ,
lo sguardo risale continuamente sulla pagina nello sforzo evidente di trovare
la concentrazione . Sollevi gli occhi dal libro ,
rileggi , esplori , chiudi e riapri in continuazione quelle pagine quasi
volessi trovare là dentro la soluzione alla tua demenza . Già
, sembra incredibile , ma sei davvero affetto da un raro morbo , una
crisi di fiducia demenziale , non ti dai per vinto e continui ad aspettare , come
merce accatastata in un ripostiglio , che qualcuno venga a toglierti dalla
naftalina.
Non capirò mai chi lascia la sua tenda a ossigeno
per andare a cercar rogne nelle tetre corsie di un ospedale ,
condannati che credono di finire assolti in appello , dovrebbero saperlo che
dalla paralisi sanitaria si esce solo con dispendiosi ricoveri in cliniche
private .
Comunque , dopo sette ore
di attesa , ancora non si vedeva la luce e alla fine la mia signora si è
convinta che si guarisce a casa , non certo in un pronto soccorso , dove la
tua situazione può solo peggiorare . Certo , certe
strutture sono state istituite proprio per curare , ma per quanto quegli organici disorganici
tentino disperatamente di darsi un tono , spacciando argomentazioni umanitarie
al capezzale di un moribondo , non sono assolutamente in grado di assolvere
tale funzione .
Basterebbero poche ,
semplici regole , magari un dottorino di primo pelo delegato ad un primo
sommario smistamento , e un vecchio
arnese alle soglie della pensione , per rileggere l’anamnesi , mandarti a casa con un ‘aspirina o passarti in consegna alla
bella Susy o al Dottor Greene .
Ma si tratta di considerazioni elementari che
evidentemente non valgono nella generosa elargizione di codici dai chiassosi
colori , preludio di antiche suggestioni di corsia .
La frattura tra medico e paziente è insanabile , forte dei suoi super poteri radianti nelle mani , da un
punto di vista formale sembra si dia un gran da fare per aiutarti , e tu sei solo
un pulcino implume fra le sue mani . In realtà non può curarti , perderebbe una fonte
di reddito , senza contare che diventerebbe un grande artista senza platea . Eppure
se continua a prescriverti un elettrocardiogramma all’anno per la manutenzione
dell’immancabile “lieve” soffio al cuore , o una
gastroscopia per un semplice singhiozzo , dovrebbe venirti perlomeno il
sospetto che tanta premura non sia una semplice combinazione . Per questo ,
spalleggiato da sfigati gregari in camice verde , crea ogni sorta d’impedimento
alla tua guarigione . Non puoi pretendere che i tuoi interessi coincidano con i
suoi . Un segaossa ti guarda in genere dall’alto in basso e ci trova
inevitabilmente tutti bassi , ovvio che da quella posizione
non ci guadagniamo con la prospettiva . E’
molto astuto , a volte finge di mettere in discussione
la propria leadership , facendosi suggerire proprio da te le risposte . Sa bene
che tali sfide rafforzano
l’autorità , stratagemmi che servono insomma ad affermare la professionalità e
a segnare il territorio . E poi , diciamo le cose come stanno , malgrado i commenti ironici
e le proteste , la maggior parte degli ipocondriaci ama il guinzaglio , lo guida tra le pieghe misteriose della sua
patologia e soprattutto lo protegge dai
suoi più bassi istinti .
Insomma qualche giorno di cella ,
paragonato a una sola giornata di pronto soccorso , è una vacanza , il tuo
sistema immunitario non la regge , non ha potuto sviluppare i necessari
anticorpi e , a questo punto , non ti resta
altra via che una saggia e rapida ritirata . Non c’è niente da
vergognarsi nel darsela a gambe quando l’avversario è così forte , ti lavora ai fianchi fino a sfinirti , sette ore sono il
limite invalicabile tra permanenza e fuga , oltre c’è il punto di non ritorno ,
poi dovresti vedertela direttamente col Creatore , e dalla disperazione al
misticismo il passo è breve .
La migliore difesa è l’attacco ,
lo sosteneva il generale prussiano Carl Von Clausewitz
nel suo manuale sulla guerra , uno che se ne intendeva insomma , per vincere la
paura bisogna pertanto rifiutare l’idea stessa della malattia , ignorarla , non
importa come , qualunque mezzo è lecito , tanto se è di quelle serie non ti
salva manco Kildare .
Nel frattempo ci s’incazza tutti
insieme , distribuendo equamente insulti e rabbia , contro tutto e tutti
, in fondo avere nemici comuni , se ci pensate bene , è sempre stato il cemento
delle grandi alleanze .