Capitolo 1
Nonna Giulia
Il fuoco
scoppiettava nel camino e i ciocchi uno ad uno si rannicchiavano scoppiettando
in fondo alla brace, sul muro della cucina le ombre si delineavano per poi
scomparire repentine prima che potessi tratteggiarle con l’indice o disegnarle
con la mente , poi capricciose tornavano a saettare sulla parete opposta.
Fuori il cielo
s’era fatto scuro, stava per scatenarsi un grosso temporale e la sera di fine
estate annunciava il rigido autunno ormai alle porte .
I primi
goccioloni non tardarono a farsi vivi rigando i vetri della finestra e
scivolando lungo i cristalli fino a sparire ingoiati dalla cornice , poi la
pioggia si fece più insistente e prese a percuotere la ringhiera della veranda.
Scrosci sempre più violenti lambivano i
davanzali delle finestre trattenuti a fatica dalle imposte malferme che
sbattevano in continuazione.
Era passata da
poco l’ora di cena, nell’aria ristagnava ancora l‘odore dell’arrosto, la mamma
aveva quasi finito di rassettare la cucina e raccoglieva con la scopa le
briciole più dispettose finite chissà come sotto la credenza. Papà , sfuggito
miracolosamente alla sua arcigna sorveglianza , era sgattaiolato in camera da
letto e, sprofondato sulla sedia a dondolo, spiluccava un mandarino immerso come al solito nella
lettura di un melenso romanzo della collana Harmony.
“Che noia!”
Pensai al calduccio del caminetto, rannicchiato sulla piccola sedia impagliata
,le gambe raggomitolate tra le braccia . Pantaloncini corti e golfino sulle
spalle con le dita umettate di saliva tormentavo la sbucciatura al ginocchio
rimediata un paio d’ore prima in Piazza per correre dietro al pallone.
La mia sorellina, , seduta al tavolo di fronte, con
un gomito puntato sulla tavola e il mento nel palmo della mano ingannava il tempo scarabocchiando le pagine
di un quaderno. I fratelli invece, beati loro,
nonostante il maltempo , erano già usciti per andare in bottega . Una
partita a carte e quattro chiacchiere tra amici.
Io? Ero
“troppo piccolo” per uscire la sera. Con quel tempaccio poi!
All'improvviso
sentimmo gemere sui cardini male oliati il cancello che affacciava sulla
loggia, passi rapidi e sicuri scesero le
ripide scale di pietra scivolosa che portavano alla veranda,
l’incalzante picchiettio della pioggia che martellava nervosa sull’ombrello si
fece più vicino.
Mamma
s’affrettò a socchiudere la porta finestra della cucina e intravide nell’oscurità
un’ ombra che tentava di chiudere l’ombrello. Impaurito e al contempo curioso
ero corso ad attaccarmi al braccio di mia madre e al sicuro tra le sue gambe osservavo incuriosito la scena.
Potevo vedere e sentire il traboccante getto d’acqua scura e fangosa che usciva
dal grande condotto di cemento affacciato dalla piazza sull’orto del prete e si
riversava tra gli alberi di mele, le siepi spinose e le inestricabili barriere
di rovi trasformando il terreno in una palude.
Mamma
rimproverò l’inatteso ospite.
“Nonna Giulia!
Si ‘ scita co’ ‘sto ttièmbe? Che cerevèglie!
Entra su ! Ascìdite!”
“L’acqua
d’acoste porta larde, mele e moste.” Sentenziò l’agile vecchietta poi ,
sistemato il parapioggia bagnato accanto alla porta, entrò in casa strofinandosi le mani livide di freddo. Il corpo
esile era piegato sotto il peso degli anni , vestiva di nero come una
monaca,anche il capo era coperto da un foulard dello stesso colore..
Dopo un rapido
saluto snodò il fazzoletto umido e s’avvicinò al fuoco che cominciava a
balbettare. Impugnato un lungo bastone prese ad accostare con disinvoltura la legna alla brace soffiando, per
rinforzare la fiamma , di tanto in tanto in quel curioso lungo tubo di ghisa
vuoto sistemato accanto agli alari che mi aveva sempre intrigato ma mi era
stato ordinato di non toccare mai pena il castigo divino .
Con pochi
abili gesti fece rotolare dalla cima della catasta di legna secca il ceppo più
grande che sfrigolò, si trasformò in un
tizzone ardente e con una grande
fiammata scosse la brace che riprese vigore incendiando anche i pochi rami
secchi risparmiati fino a quel momento dal fuoco.
Ancora un’
assestata alla brace quindi si lasciò cadere sulla vecchia sedia impagliata da
zio Italino per godersi il tepore del focolare mentre il tuono brontolava sui
monti tutt’attorno per raggiungere la folgore scagliata da Domineddio tra
L’Arcigalante e la Cona.
Ci vedeva poco
nonna Giulia, d’altronde nella sua lunga
vita ne aveva già viste tante, forse troppe, ma in quel viso grinzoso
gli occhi scintillavano ancora furbi e
vivaci .
Collocò
pazientemente ancora una volta qualche rametto finito ai bordi del caminetto
sulla carbonella poi, posto tra le labbra lo spillone che le fermava i capelli,
tentò di sistemare alla meglio la lunga
treccia bianca sotto il foulard nero, infine avvicinò le mani intirizzite dal
freddo della sera al fuoco che ardeva ringalluzzito e si voltò a guardarmi con
infinita tenerezza. Il calore proveniente dal camino era intenso , avevo
preferito sfilare il golfino.
“Marco metti
giacca ! Fa fridde! Si viste che tarramùte ?L’estate va finenno!”
Risposi con
un’ espressione indecifrabile continuando a spellarmi la crosticina sul
ginocchio.
“Come te lo si
fatte quie sgraffio?” continuò “ Vai sempre currendo!”
Poi ,senza
darmi il tempo di rispondere , proseguì:
“Curri curri
per le Cesette e caschi locoaballo ruscicàte su ‘na Prèta fije benedette ! Fernande’!”chiese a mia
madre voltandosi verso di lei “Je la si vista quiia cizzica? Ce se misse
checcosa?”
Mamma annuì
con la testa mentre finiva di lustrare il lavandino con la pezzuola insaponata.
Il fuoco nel
frattempo, approfittando della momentanea distrazione dell’aguzzina, aveva
ripreso a sonnecchiare , nonna Giulia con pochi colpi di bastone e qualche
sbuffo nel tubo fatato l’aveva prontamente ridestato . La legna era tornata a
bruciare , la fiamma ad ardere e le nostre
ombre a danzare sulla parete di
fronte.
“Nonna
Giulia.” Domandai sotto voce senza staccare lo sguardo dal fuoco “me la
racconti una bella storia?”