Capitolo 10

 

La fuga

 

 

 

 

 

Era notte fonda quando Barbara, terminata quella commovente lettura,  avvertì  un  sordo rumore di passi   provenire dall’esterno. Distolse lo sguardo da quelle pagine ingiallite , tese l’orecchio ed udì chiaramente il crocchiare dei ciottoli sotto le scarpe di qualcuno che si muoveva cauto per raggiungere il giardino . Posò sulla cassettiera i consunti fogli protocollo e schiuse le imposte badando a non farle stridere  , si sporse appena dalla finestra arrampicata sotto al soffitto a volta della sua camera e adocchiò Luca che ,addossato al muro, le faceva segno di scendere.

Riaccostate le persiane con estrema cautela afferrò la bisaccia , aprì la porta facendo attenzione a non far cigolare i perni arrugginiti e sgattaiolò dalla stanza. Discese in fretta la scala che portava in basso,  aprì solo in parte , con la stessa accortezza, l’uscio del villino e sfilò dalla stretta fessura .

Il complice spazientito scorse finalmente l' ombra che sgusciata dal portone  gli si faceva incontro.

"Barbara! Sono qui!"

"Oh Luca, stiamo commettendo una pazzia!"

"Non facciamo inutili commedie!"

Replicò il ragazzo, poi proseguì.

"Andiamo! Domattina dovremo già essere lontani da qui!"

La trasse a sé , le afferrò la mano sudata  e la trascinò via  sparendo in fretta nelle tenebre .

Avevano paura, tutti e due, ma ormai il danno era fatto.

Continuarono la loro marcia in silenzio, il sangue gli accendeva le orecchie infuocate come la brace ardente mentre i loro occhi , nel tentativo di affettare l’oscurità  , bruciavano come al contatto col sapone  .

La minacciosa sagoma scura del Gerifalco  incombeva sui due fuggiaschi che, imboccata la mulattiera,  s'arrampicarono svelti sul monte. All'altezza della biforcazione del sentiero, che piegava a destra per scendere verso il bottino dell'acqua e a sinistra per salire verso la vetta, scelsero questa seconda via. Rasentarono la cava di rena  e finalmente , dopo una decina d’interminabili minuti, sbucarono ansimanti di nuovo, ma stavolta con animo diverso, alla Cona, la terrazza erbosa a forma di conca che fungeva da crinale tra i due versanti della montagna .

I loro occhi spaventati frugarono il buio intorno , in alto ,sulla cima  di destra  la Luna li spiava affacciata tra i seni  dell'Arcigalante, il mastio della vecchia Torre in rovina , un tempo rifugio di briganti, presidiava l'altura di sinistra .

Si fermarono nella radura per riprendere fiato, la paura e la fatica facevano battere forte il loro cuore. Sorvegliati dalle vette circostanti si accostarono al folto cespuglio accanto al tabernacolo di S. Liberato  quasi a pararsi le spalle, le gambe rannicchiate tra le braccia per proteggersi dal freddo pungente e dall' angoscia. I rami contorti degli alberi , spaventosi simulacri di morte e desolazione agli occhi atterriti dei due, stagliandosi contro il cielo  arabescavano l'orizzonte carico di sinistri presagi.

La tetra atmosfera che li circondava risvegliò le antiche paure di quando bimbi, nel buio della stanza, terrorizzati da streghe e orchi cattivi cercavano i capelli rassicuranti della mamma per afferrarli e non lasciarli  più finché ,liberatore ,il sonno , desiderato e sospirato più dalle mamme che dai figli stessi , non finiva per acquietarli.

Le tenebre calavano il sipario, inchiostravano il cielo di nero  rendendo sempre più irreale il paesaggio intorno, anche la Luna aveva rinunciato a rischiarare il monte lasciando tela e pennelli a miliardi di stelle libere di  disegnare nel firmamento il profilo dell'orsa maggiore e i bordi tremolanti del piccolo carro. Abili pennellate  schizzavano di vernice bianca la volta celeste e tracciavano l'incerta linea della via lattea.

"Dobbiamo riprendere il cammino!"

Ammonì Luca rialzandosi e tendendo le braccia verso la ragazza che , a malincuore , si vide costretta ad alzarsi in piedi.

Volsero lo sguardo ancora una volta verso la vallata, al paesino ridotto ad una macchia scura indefinita , da dove proveniva soltanto il lamentoso  latrare dei cani lasciati fuori dalle case addormentate.

Ai margini dell'abitato, in fondo al nastro bianco della via del Braccio  annaspavano   pallidi i lumini del cimitero.

Ripresero il viaggio.

Barbara  sempre più impaurita, continuò a seguire  passo dopo passo il battistrada, gli occhi sgranati cercavano la luce volgendosi verso l'orizzonte laddove avevano visto tante volte sorgere il sole.

"Sei stanca?"

Le chiese il compagno di fuga sentendo il fiato grosso alle sue spalle.

"No…no…"

Balbettò la ragazzina con un sospiro.

"Cosa c'è? Hai paura?"

"Certo che ho paura…tanta."Rispose stizzita.

Lasciata la radura  imboccarono il ripido sentiero che scendeva verso Corcumello, Il silenzio della notte era assoluto, non si udiva che il respiro affannoso dei due fuggitivi e il rotolare dei sassi a valle.

D'un tratto Luca aggrottò le ciglia e si fermò di colpo,  con un braccio arrestò anche Barbara  e, portato il dito alle labbra , le intimò di fare silenzio. Tese l'orecchio   per ascoltare con maggiore attenzione. Un vocio concitato saliva dal bosco di querce che sovrastava la mulattiera. Il brusio si faceva sempre più distinto, capì che li stavano cercando.

Tornò rapidamente indietro seguito dallo sguardo disorientato della compagna e , attraversato lo spiazzo,  raggiunse la curva che inquadrava il  versante di Pagliara.  S'affacciò oltre il costone e scorse il tracciato tremulo delle fiaccole che saliva lungo il sentiero.

Corse da Barbara che,  smarrita,  l'aspettava dove la loro fuga s'era interrotta e , ancor prima di raggiungerla, tentando di strozzare l'urlo in gola, le gridò:

"Presto! Dobbiamo andar via! Ci stanno cercando! Presto!"

Ma quella , lo sguardo assente, rimase come inebetita.

"Che diavolo fai? Dobbiamo battercela prima che ci capitino addosso!"Incalzò il giovane.

"Li senti questi passi? Queste voci?"

Barbara sentì gelare il sangue.

"Allora?!"La implorò ancora una volta  prendendola per le braccia e cercando di scuoterla.

"Non…non vengo…."

Sospirò quella alzando finalmente gli occhi da terra per cercare quelli del ragazzo.

"Non posso…non…non ce la faccio…."

Poi fuggì al suo sguardo e tornò a fissare l'oscurità della notte.

Luca comprese, non chiese più nulla, le raccomandò di tranquillizzare Linda, un rapido abbraccio e sparì nel buio correndo a perdifiato lungo la pista che precipitava verso le luci lontane di Corcumello  ben presto inghiottito dalla fitta vegetazione che ricopriva quel pendio.

La ragazza,  silenziosa,  lo vide andar via , sentì mancarle il respiro, s'inginocchiò su quel terriccio umido , appoggiò la schiena contro un blocco di roccia, distese le gambe e si sdraiò . Respirò profondamente poi tornò a sedere ,pose la testa fra le ginocchia e restò in attesa dell'arrivo dei soccorritori.

Quando i paesani , raggiunta la forca,  distinsero quella sagoma immobile delineata sotto la balza, l'inquietudine e l'angoscia presero il sopravvento. Lo zio , in testa al gruppo, corse verso la nipote che con la lingua cercava di raccogliere le lacrime traboccati senza riuscire a fermarle., Si chinò , le sollevò il mento e , solo dopo aver visto il suo bel viso rigato dai lucciconi e quei grandi occhi che imploravano il  perdono, riuscì a tranquillizzarsi.

Zi' maestro comprese, non osò rimproverarla , tentò soltanto di consolarla, le accarezzò il volto, le allontanò i capelli dagli occhi gonfi, l'aiutò a rialzarsi , l'abbracciò per sostenerla e la ricondusse verso casa.  I contadini si disposero ai lati del sentiero facendo strada ai due quindi , in silenzio, s'accodarono. Giobbe s'era fermato in prossimità della curva che divideva i due versanti, si lasciò raggiungere dalla silenziosa processione poi, illuminando la marcia con la luce saettante della fiamma che consumava la torcia sollevata ben alta sopra il suo capo per illuminare il cammino, guidò il drappello sulla via del ritorno.

Ormai albeggiava quando giunsero in vista del villino, Linda li aspettava da ore addossata al paracarro che costeggiava la strada sovrastante.  Focalizzò il gruppetto che sbucava dalla curva del bivio e gli si fece incontro, cercò disperatamente  tra quella folla d'individuare il figlio,  ma invano.

Barbara la vide e le andò incontrò.

"Dov'è? Dov'è?"Chiese preoccupata la donna .

"Stai tranquilla. Sta bene. E' tutto a posto."Rispose la ragazzina poi la prese sotto braccio e continuò sottovoce:"E' andato a Corcumello…tornerà quando le acque si saranno calmate…."

"Perché? Cosa ha fatto?"

"Niente…niente…ma sai come vanno le cose…è meglio per tutti che se ne stia lontano per un po'…mi ha detto di salutarti. Tranquilla, è tutto a posto."

La signora, ritta in piedi sulla soglia del villino, osservò sospettosa la scena poi,  quando le due donne la raggiunsero , tirò da parte Linda e si scaglio furiosa contro la ragazza agitando le mani come un prete a cui avevano rubato l'ostia consacrata. Minacciava ire divine, deprecava il comportamento della nipote e tra un imprecazione e l'altra volgeva lo sguardo impietosito verso la mamma della ragazzina che , affranta,  assisteva muta alla chiassosa piazzata inscenata dalla cognata.

Zi' maestro non intervenne, non osava interrompere la sorella ,tentò di rincuorare Barbara minimizzando l'accaduto con la madre , poi preferì farsi da parte. La zia continuò a lungo a sciorinare rimproveri e minacciare punizioni,  ma la ragazza non l'ascoltava più , era lontana mille miglia col pensiero da quel frastuono di grida e chiacchiere.

Solo a quel punto  s'avvicinò con aria pacata l’omino e , senza proferir parola, prese la figlia per un braccio , l'accompagnò in camera, sfilò la chiave dalla serratura e uscì  chiudendo la porta dietro di sé lasciandola così sola a vagolare tra i suoi pensieri .

Era tutto veramente finito? Lacrime non ne aveva più ,gli occhi erano rossi di pianto, sentiva la testa pesante, il cuore pareva scoppiarle, brividi freddi le percorrevano la schiena, finì per addormentarsi ma non fu un sonno tranquillo.

Quelle stesse prime luci dell'alba sorpresero Luca alle pendici del monte ormai prossimo alla periferia di Corcumello. Il mattino appariva ancora una volta in tutto il suo splendore al mondo che stropicciava gli occhi dopo il lungo sonno.

In una fatata armonia di colori il cielo si tingeva di un delicato rosa sfumato, le tinte sommesse vibravano sotto la calda luce del sole che folgorava la valle ,i primi raggi definivano il rilievo delle montagne e forgiavano ombre ancora vaghe nella pianura sottostante.

Il calore appena tiepido sgelava i tenui germogli, la luce  incerta del nuovo giorno scopriva i filari di alberelli e i sentieri rupestri che conducevano ai villaggi arroccati sulle colline fino ad allora nascosti dalla notte sotto il suo nero mantello.

Lo spettatore rimase immobile ad osservare quel meraviglioso spettacolo, ad ammirare quel rito sacro che si ripeteva come ogni giorno sulle cime dei suoi monti.

La vecchia torre , ormai lontana, si stagliava contro un cielo freddo color cobalto. I vecchi raccontavano che tra quelle antiche rovine inespugnabili aveva regnato un tempo il valoroso e temerario re Girifalco. Tornò col pensiero alla sua infanzia, ripensò a quelle belle favole, infiocchettate di fate ed eroi, confezionate dai vecchi  ai ragazzini raccolti attorno al fuoco del camino, quando a sera, dopo aver apparecchiato la tavola e approntato la cena, attendevano il ritorno dei genitori dal lavoro dei campi per consumare insieme  un pasto frugale.

Ripensò alla felice stagione della trebbiatura, ai braccianti, uomini e donne, con quei buffi cappelli in testa indispensabili per ripararsi dal sole a picco.  Al sudore, a quella grata fatica, ai lunghi telai della trebbiatrice che ballavano ed eruttavano fiotti di paglia. Vedeva se stesso bambino nascondersi  sotto l’alto pagliaio elevato dalle  forche e dalle lunghe canne dei chiassosi compaesani mentre nell’aria saettavano i  raggi dorati del grano.

Si sentiva solo, terribilmente solo, si voltò a cercare il suo paesello ma l'imponenza della montagna l'aveva ormai nascosto al suo sguardo.

Aveva camminato tutta la notte, le gambe s'erano fatte pesanti, il respiro affannoso. Era stanco, si lasciò cadere su quel molle giaciglio di foglie secche ed erba madida di rugiada. Era tempo di riprendere fiato, osservò ancora un po' il cielo sopra di sé  e il volo stentato degli uccelli ancora intirizziti dal gelo notturno poi , sfinito, chiuse gli occhi e s'addormentò.