CAPITOLO 32
Gli occhi dell’anima
a
nostra vita è un tumulto di voci, usiamo le parole senza conoscere bene i
sentimenti che agitano e le reazioni che provocano, c’è chi le confida ad un
amico, chi è disposto a pagare perchè qualcuno le ascolti , chi, come me, preferisce fermarle sulla carta. Non ho mai
avuto la presunzione di scrivere qualcosa di nuovo, considerato il mio
caratteraccio così solitario, ruvido e chiuso , scelgo
più semplicemente di spostare i miei pensieri, per quanto ovvi e comuni , sui bit
di un computer, se poi qualcuno volesse leggerli non sarò certo io ad
impedirglielo.
Come mai sono tornato ? Suvvia , lo sapevate che non sarei riuscito a stare troppo a lungo lontano da una tastiera. Dovevo solo raccogliere le idee ma adesso sono di nuovo pronto , inconcludente e parolaio come non mai, a grondare l'usuale quantità industriale di quel drappello d' aggettivi che esauriscono l' effetto nella loro sonorità. Visto? Non mi smentisco mai. Sarà la voglia di ricomparire in scena di quando in quando da protagonista, la smania di perfezionare il mio personaggio, l’ansia di bruciare i giorni e di essere qualcuno fuori dal gregge. Il sangue martella nelle vene , le inquietudini tradiscono la noia , si avanza nella vita con una spavalderia che sfiora l’incoscienza , si diventa cinici , incitati da una volontà riparatrice d’ipotetici torti patiti e s’impara a sorridere senza sospiri , è allora che il silenzio ci sembra un buon compagno. Poi , quando il capolinea sembra vicino, il treno imbocca un binario che credevi abbandonato per sempre e prende a macinare chilometri su chilometri seguendo un percorso parallelo . Supera le montagne che non hai mai osato sfidare , guada i fiumi dove credevi di annegare , attraversa le gallerie segrete immaginate nei tuoi sogni. Incontri che sono crisi e guarigioni . Al di là del finestrino vedi scorrere nuovamente la vita e rapito da quell'inatteso show ti fermi ad osservare con nuovi occhi, quelli dell’anima.
Troppe canne? No amici miei, di fronte ad un vicolo senza uscita non ci resta che confidare nel tempo , svuotare la mente e deporre le armi. Prima o poi arriva il punto di rottura, quello del non ritorno, occorre prendere quel briciolo di coraggio che ci è rimasto e gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Due righe di commiato, la firma in fondo al foglio e ti cambia la vita. Proprio così , ce l’ho fatta , adesso non resta che rimboccarsi le maniche e cominciare tutto da capo, la data è emblematica , 30 settembre, molti di voi immaginano a cosa mi riferisco , i meno attenti , se interessati, potranno scoprirlo svolgendo la pellicola a ritroso.
Molto più lungo è stato il periodo di gestazione di questo nuovo capitolo, durante le consuete ferie estive i neuroni hanno fatto gli straordinari portando a termine un faticoso lavoro di taglio e cucito. Nel cestino sono finiti malumori e rimpianti , sulla scrivania il presente e i progetti per l’avvenire, al ritorno è bastato prendere carta e penna e fare un salto all’ufficio postale.
Cambia la routine e , in parte , il lavoro, non cambia la sostanza, non era poi così difficile . Ho sbagliato ? Era meglio prima ? Non conosco il futuro e comunque non è più questa la domanda da porsi . Ho picchiato troppo a lungo i pugni sul tavolo abbandonandomi alle più fosche previsioni e assumendo inutili pose demiurgiche , adesso occorrono nervi saldi, il tempo stringe e i traguardi da raggiungere sono ancora lontani.
Finalmente è tornato il mio angelo custode, credevo m’avesse dimenticato, s’era soltanto preso un lungo periodo d’aspettativa , adesso siamo inseparabili , è con me quando siedo alla scrivania , mi abbraccia quando taglio la città in sella alla moto, mi tiene la mano prima di chiudere gli occhi la sera, mi augura il buongiorno appena sveglio al mattino.
E’ un freddo pomeriggio di febbraio ma il sole regala al quartiere sventrato dai lavori in corso toni e colori che preludono alla primavera ormai vicina .
Ho perso l’equilibrio ma ho ritrovato i sapori perduti, niente di meglio di una rovinosa caduta che ti costringa a sollevarti da terra quando credi di non averne più la forza.
Ma andiamo per ordine.
Esauriti i giorni di ferie ero tornato al chiodo senza la forza necessaria ad affrontare un nuovo anno di lavoro e , francamente, non sapevo nemmeno se valesse ancora la pena darsi tanto da fare . Anche se un salto nel buio con tanta prole a carico mi spaventava alquanto dovevo trovare il coraggio di dare una decisa sterzata alla mia vita professionale. Intorno a me nel frattempo cambiava anche il resto del mondo , tutti più incazzati, più spaventati e insoddisfatti, mentre l’entusiasmo lasciava il posto allo scoramento e la speranza alla rassegnazione.
Fu allora che l’angelo custode si presentò al mio capezzale , “Cerca d’essere più sereno” mi suggerì “ è la più forte delle virtù.” “La cadenza della vita “ continuò ” può, se si vuole, rallentare e prendere una dimensione a misura d’uomo , non più dettata da orari, impegni e tutto quanto tende a sconvolgere le nostre giornate.”
Belle parole pensai poco convinto ma intanto , come ogni mattina, mi toccava fare il giro delle sette chiese con il culo a forma di sellino e i capelli sagomati a casco , da viale Libia al Tuscolano , dal Tuscolano a Centocelle, da Centocelle al Prenestino , dal Prenestino al Salario , dal Salario a Prati , da Prati a Montesacro. E non era finita occorreva sbrigare la posta, recarsi in banca, al mercato , a prendere il piccolo a scuola per poi dedicarsi a pentole e fornelli e preparare il pranzo all’intera prole , e, a questo punto , era trascorsa soltanto metà della giornata, c’era tutto il tempo nel pomeriggio per spicciare il lavoro d’ordinaria amministrazione , ricevere il pubblico, litigare con moglie e figliolanza per poi finire sul parquet della camera da letto a giocare un po’ con il marmocchio .
Inevitabile la tensione che la nuova situazione generava , le farfalline nella pancia erano tornate come da studente durante la lezione di matematica. La vita ti mette davanti una strada segnata e difficilmente prendi un sentiero impervio abbandonando un viale alberato per vedere cosa c’è oltre, eppure stavolta avevo trovato il coraggio di farlo, mettendo prudentemente un piede dietro l’altro , attento a non cadere in avanti.
Il
legame tra ormoni e neuro trasmettitori che regolano umore e desiderio è
piuttosto fragile e per me era un momento topico,
dovevo decidermi a comprare casa, avevo
la consorte che mi tampinava ma nessuna
voglia d’indebitarmi per il resto dei miei giorni.
Purtroppo , come
ricorderete, più o meno un anno
prima avevo fatto la più grossa cazzata
della mia vita - e dire che non avevo lesinato
al riguardo - preferendo
svendere ad un estraneo l’appartamento dei miei sogni piuttosto che liquidare i fratelli e tenerlo per me e la
mia famiglia.
Anche nel lavoro era un momentaccio , lo
sterminio della clientela da parte della Mandante si era fatto sistematico ed
ogni mio sforzo per cercare di fidelizzarla era reso vano da tariffe degne
della Banda Bassotti applicate senza alcun riguardo anche ai migliori clienti ,
non mi restava che mollare la presa , turarmi il naso e cercare nuovi alleati.
L’accorpamento era inevitabile, la scelta di un vecchio collega di lungo corso e dalle spalle larghe altrettanto
ovvia , si trattava soltanto di stabilire una data e concordare i
dettagli dell’operazione.
L’ultima convention in azienda , quella
del 23 settembre , una mattina insolitamente
fredda considerata la stagione , un
cielo slavato dopo una lunga nottata di pioggia . Smessi per un giorno gli
abituali panni dimessi del nostalgico compagnuccio di sezione indossai ancora
una volta quelli , più consoni all’occasione , del perfetto damerino. Dopo
l’ultima infuocata lettera spedita pochi giorni prima in direzione ero
consapevole che nei corridoi di lungotevere Arnaldo Da Brescia avrei incontrato
i boss del dipartimento per l’ indispensabile chiarimento e l’ improrogabile resa dei conti . Avrei rimandato ancora una
volta ogni decisione ? In cuor mio mi auguravo fossero gli altri a prenderla
per me. Ero tuttavia piuttosto risoluto,
indiscutibile l’odio per la livrea, unica variabile la perplessità circa
l’opportunità di mantenere aperto un varco all’ennesimo armistizio. Stavolta
però i miei timori erano infondati , la valanga di bestialità che l’oratore, un demagogo dall’eloquio
indubbiamente forbito , fu capace di
far precipitare sugli astanti,
assumendo cadenze da proclami e impartendo consigli in tono di ordine
sotto gli occhi compiacenti dei suoi scodinzolanti sostenitori, mi persuasero senza tema di sbagliare che
fosse arrivato il momento di levare le tende e , più orso e schivo che mai ,
lasciai ai presenti la standing ovation
per togliere definitivamente l’incomodo.
Avevo ormai preso la mia decisione ma prima di confidarlo a moglie e figli avevo bisogno di metabolizzarla per poterla smaltire con calma , d’altra parte erano ormai quattordici anni che cantavo e suonavo senza bisogno d’accompagnamento . Il tempo non era male, ottobre mi avrebbe certamente riservato le proverbiali belle giornate d’inizio autunno, quarantotto non erano poi molti , c’era ancora il tempo per reinventarsi una vita.
Venerdì
30 settembre 2005 , giornata memorabile, ore 11,45 , nell’ ufficio postale di
piazza Silvestro faceva un gran caldo o forse ero io il solo ad
avvertirlo , arrivò il mio
turno , mi avvicinai esitante allo sportello delle raccomandate, presi fiato ,
i battiti sempre più accelerati, prelevai dal portamonete la somma necessaria
all’affrancatura, l’una e l’altra, e
porsi la lettera di dimissioni all’impiegato in giacca e cravatta. Era fatta ,
vaffanculo, ancora un mese , quello del preavviso, poi avrei fatto parte di un team. Per un
accentratore come me non sarebbe stato facile ma col tempo avrei
imparato. Attraversato il Rubicone sfilai
la corona di sovrano assoluto del mio lavoro per diventare un semplice
vassallo, sia pure con procura alla
firma, e me ne tornai a casa, sabato e domenica alle porte mi avrebbero aiutato
a digerire il rospo prima di ricominciare a bussare a quattrini e vendere
polizze.
Il mattino del lunedì mi alzai alla solita ora , sembrava un giorno come gli altri, ma stavolta ottobre cominciava male, il cielo era imbronciato , la pioggia rigava i vetri e i preparativi per la nuova linea della metropolitana rendevano ancor più malinconico il paesaggio fuori dalla finestra del mio studio. I lavori in corso avevano ingoiato i pini di viale Libia e i pochi parcheggi scampati all’allestimento della zona verde di qualche anno prima in un quartiere dove il problema della sosta era già piuttosto pesante. Ovunque sventramenti , polvere e rumore assordante, e tutto questo mentre il mio intestino aveva ricominciato a fare i capricci dopo quel sofferto colpo di testa.
Tirai
fuori dal cassetto una consunta camicia a quadri bianca e rossa miracolosamente
scampata alla periodica epurazione di vecchi capi da parte del sergente maggiore Letizia Maria Liotta, indossai un
maglioncino azzurro e un paio di jeans , avvolsi l’intera confezione in un
comodo giaccone beige e scesi in garage per infilare il casco, saltare in
groppa all’Aprilia e dedicarmi alla clientela dislocata in Prati . A farmi
tornare il malumore l’inevitabile sosta
al semaforo rosso di viale Etiopia , sollevai incautamente lo sguardo verso il
balcone del salone di piazza Gondar e scorsi il nuovo proprietario che si
godeva il panorama, avrei voluto gonfiarlo di botte quello stronzo. Chissà se
Domineddio mi avrà mai perdonato ?
Proprio
in quei giorni arrivò la periodica convocazione per la partitella di calcio del parentado , era il 9 ottobre . Ogni anno che passa il fiato è
più corto e gli infortuni più frequenti eppure ancora una volta i convocati ,
giovani e meno giovani, onorano l’impegno mettendo insieme il consueto
assortimento d’escoriazioni e contusioni più o meno preoccupanti per poi
rivolgere l’attenzione al pantagruelico banchetto predisposto nell’attiguo locale . Ai più fortunati cibi gustosi e salse piccanti innaffiate da copiose
libagioni , ai sofferenti di stomaco e agli affetti da costipazione o intestino
irritabile acqua non gassata e insipide pietanze .
Ancora un pareggio,
tanto per la cronaca, d’altra parte l’età media dei giocatori in campo concede
poco allo spettacolo privilegiando difese robuste adatte ad interrompere il
gioco più che a costruirlo.
Il gioco è lezioso
, il ritmo soporifero, unica eccezione alla mediocrità collettiva la sapiente
regia del vostro autore preferito , autentico fuoriclasse dallo scatto
bruciante , a conferma di un eccezionale periodo di forma anche quando la mette
sul fisico tiene botta senza alcuna
difficoltà, per lui una partita d’ordinaria amministrazione , tiene la
posizione a centrocampo, parte da sinistra e si accentra spesso , tecnica e
dinamismo non gli fanno difetto.
Nonostante i dubbi
e le preoccupazione della mia consorte tutto si era risolto per il meglio
, niente ossa rotte, anche se il mattino dopo avrei dovuto
certamente far ricorso a massicce dosi di Lasonil per ammorbidire muscoli e
cartilagini ancora una volta ero uscito più o meno indenne dal campetto di via
del Boiardo.
Le novità mi fanno
sempre un certo effetto, questa volta avvertivo un irrefrenabile bisogno di
coccole , curiosa esigenza per chi non ne aveva mai sentito l’urgenza . Ovviai
allo spiacevole contrattempo mettendomi a succhiare avidamente cioccolata
davanti alla tivù durante i programmi di prima serata. Considerata la mia ulcera quel surrogato di
carezze era puro veleno, eppure non riuscivo più a farne a meno e quando il
piccolo veniva a reclamarne un boccone mi sentivo come Paperino quando svuota
il salvadanaio ai nipotini . Dopo aver percorso di gran carriera l’esofago e
dilaniato il mio stomaco quel che ne restava era infatti ormai pronto ad
imboccare l’ultimo tratto dell’intestino prima del consueto inglorioso epilogo.
Ero incazzato .
Sì è vero, lo confesso, ma in un
momento tanto difficile era indispensabile che lo fossi. Senza tanta rabbia in
corpo avrei fatto la fine di tanti miei coetanei finiti in analisi. Non ho
niente contro gli strizza cervelli , per carità, ma non credo che sdraiarsi su un lettino per
vuotare il sacco a tariffa oraria possa aiutarti più di tanto . Meglio un
amico. Ad averlo. Già, dove trovarne uno proprio adesso ?
“Che stupido”
mi dissi “ come ho fatto a non
pensarci prima? “ Era solo frutto della mia immaginazione
? Forse , ma sembrava talmente reale ... e poi non chiedeva niente in
cambio .
Spesso si tace perché si avrebbe troppo da dire e se
qualcuno ti scruta ti chiudi a riccio per non lasciar scorgere il riflesso
dell’ anima , talvolta i tuoi occhi seguono le allucinazioni , è allora che la
tua voce cambia ritmo e colore. Ero sempre stato troppo amico delle solitudini
, solo quello che va nel profondo
germoglia avevo sempre pensato, ma
stavolta era diverso, sembrava davvero avessi trovato qualcuno disposto ad
ascoltarmi. Fu così che cominciai a confidare
ansie , speranze e segreti a quell’angelo custode appena rientrato in
servizio , dovevo mettere a profitto il tempo che m’avrebbe concesso prima di
perderlo nuovamente di vista, non mi facevo illusioni, sapevo che prima o poi sarebbe sparito di
nuovo .
Poi la notte tra Natale e Santo Stefano ti riporta
sulla terra, le 2,48 , fa freddo, come
al solito si chiama perché i figli non tornano a casa, stavolta si
tratta di Roberto. Queste le note di una notte interminabile. “ Noi genitori rompiamo troppo i coglioni ,
concordo, ma prima o poi doveva
succedere, non ha neanche telefonato per avvertirci, ha avuto un
incidente, è andato fuori strada. Sta
bene per fortuna, almeno a quanto dice, la macchina nuova è ridotta ad un
canestro, devo ancora pagare due anni
di rate , ma chi se ne frega. Il mio
ragazzone lo stanno portando al pronto soccorso per accertamenti. La talpa vorrebbe fare qualcosa ma non può, guidare
di notte non gli è consentito. Si è
dovuta vestire la madre per andare a vedere cosa succede. Adesso sono in
pensiero per tutti e due, lei tremava per la paura ma è stata costretta a montare in macchina al posto mio , speriamo
vada tutto bene. Bel Natale vero? Avevo appena fantasticato sulla
particolare serenità di queste feste.
Le ultime parole famose. Purché vada tutto bene. Ora sono solo, in attesa che qualcuno mi dia notizie , mi sento impotente. Il piccolo dorme ,
almeno lui può contare sul suo papà, l'altro è rimasto a dormire dalla ragazza,
è senza auto , inutile chiamarlo. Ore 3, 10 , mi ha chiamato proprio adesso Luana,
Roby stava tornando a casa dopo essere stato da lei , è arrivata a Villa S. Pietro , sulla Cassia, lo stesso ospedale
dove avevano trasportato Alessandro dopo l’incidente con la moto poco più di un
anno fa. Non l'ha ancora visto, è in
visita , ma l'hanno tranquillizzata, le ho chiesto di avvertirmi appena
arrivava Lety, per fortuna è
sopraggiunta proprio mentre eravamo al
telefono. Devo aspettare , ancora, non si finisce mai , d’altra parte la vita è solo una lunga, snervante attesa, si pensa al passato, si spera nel
futuro e si trascura il presente…e il cellulare non squilla. Ore 3, 25 , ho appena telefonato alla madre, è da
lui, ha parlato con il dottore , ha delle vertigini, questa notte lo
trattengono per cautela. Ancora il cellulare. Di nuovo Luana, mi riferisce che Lety è entrata … lo sapevo già. Le ho chiesto se l’ha visto, sì, ma solo per
un momento passare davanti al vetro per andare in bagno, visivamente solo un
ematoma sul naso, sembra per l’apertura dell’air bag, ha parlato con
l’infermiera , è sceso dall’ambulanza con le sue gambe , non dovrebbe essere
niente di grave. Ore 3,45 telefona Lety, lo ricoverano per un trauma cranico, dalla lastra sembra non ci sia niente , ha i
capelli pieni di vetri e pare abbia dei vuoti di memoria. Il medico di guardia l’ha comunque rassicurata , si tratta di semplice cautela. La madre
ovviamente resta con lui. Vado a farmi un caffé. Ore 4,20. Ancora un paio d’ore all’alba, poi
finalmente arriverà un po’ di luce anche per me , potrò così montare in moto e
andare a vedere di persona come stanno le cose. Dovrò chiamare Alessandro,
farlo accompagnare da qualcuno perché stia con il bambino, ma sono dettagli…non
proprio visto che proprio ieri avevamo avuto un furioso alterco perché “la
macchina nuova la prende sempre Roberto” . Gli avevo dato ragione, ma solo
davanti alla madre e al fratello , con
lui ero stato irremovibile: Roberto, dovendo andare più lontano , era giusto
che guidasse , un’auto più sicura.
Ironia della sorte. Ore 4,45, ho
sentito Lety, l’hanno appena portato in camera , non può parlare altrimenti la
cacciano, chiamerà quando potrà, sarò costretto ad aspettare ancora. Sono abbastanza tranquillo, è il mio secondo nome ,
temo però che il resto dell’organismo non la pensi come me e i succhi gastrici,
lo sento, torneranno ad infiammare ed erodere la parete gastrica. Speriamo
tenga duro. Ho già dei dolori al petto , uno dei sintomi più classici. Sto
imparando a conviverci, un lungo sospiro e passa tutto. Non posso dormire, vado a vedere un po’ di tivù per
cercare di pensare ad altro. Ore 5,00, squilla il cellulare, è Luana, sta andando via, le ho chiesto di avvertirmi
quando arriva a casa, Roberto riposa , dovranno trattenerlo in osservazione un
paio di giorni, Lety verrà più tardi per prendere un pigiama e qualche altro
indumento, poi tornerà in ospedale. Spero di poter andare con lei ma non so se
vorrà che lasci il piccolo con qualcun altro. Le chiederò se potrò
sostituirla…conosco già la sua risposta. Dovrò di nuovo aspettare . Non c’è
altro da fare, ha da passa’ ‘a nuttata, come diceva Eduardo. Unica nota positiva in tutto questo, domani
è ancora festa, non ci sarà traffico e sarà più agevole muoversi, speriamo lo
rimandino a casa al più presto. Ore 5,30, è ancora buio, sulla strada bagnata illuminata dalle
decorazioni natalizie, non passa ancora nessuno , nel palazzo di fronte già un paio di luci
accese. Chissà cosa succede in quelle case per tener svegli i suoi abitanti alle cinque di mattina
? Gabriele ancora dorme, almeno lui non può darmi
ancora questi pensieri, domattina, guardandomi allo specchio, troverò qualche
altro capello bianco, una nuova ruga , segni del tempo e della vita. Cazzo! Senza rendermene conto stavo
mordicchiandomi le unghie! Non l’avevo
mai fatto. Sarà lo stress. Per
distrarmi vado a ritirare i panni dallo stendino, dovrebbero essere ormai
asciutti. Macchè, ancora umidi. Sono ormai le sei, comincia a fare giorno, la luna è
velata da nuvole basse, ho paura pioverà ancora, vado a stendermi un po’,
inutile restare in piedi."
Tutto si risolse nel migliore dei modi, si fa per dire, il secondogenito tornò a casa dopo una settimana più vispo e arzillo che mai , l'auto nuova finì nella pressa dell'autodemolitore di via Braccianese rimpiazzata poco dopo da una vecchia Alfa Romeo
145 1.4I 16V Twin spark
del '97 , mi rimasero le rate da pagare in banca mentre un altro po' di cacio si fece largo tra il pepe dei capelli.
Nel frattempo è arrivato il momento di far visita al
notaio , sì , avete capito benissimo
, tutto arriva per chi sa
aspettare , in questi giorni l’ angelo custode me l’ avrà
ripetuto almeno cento volte e aveva ragione ,
anche il sogno di una casa di proprietà si sta per realizzare , mi sono indebitato per i prossimi
trent’anni, finiranno di pagarla i figli, ma il trasloco, l’ultimo mi
auguro, è ormai alle porte . Nonostante il lungo periodo di vacche magre confesso che
non avevo perso il vizio di sognare, così , di tanto in tanto sbirciavo i
cartelli appesi alle vetrine delle agenzie immobiliari , che emergono , fateci
caso, come per magia ad ogni angolo di strada non appena chiude una vecchia
attività commerciale. L'anziano bottegaio non fa in tempo a spegnere le luci e
abbassare definitivamente la saracinesca del negozio che ha sfamato per tanti
anni lui e la sua famigliola , che spunta dal nulla un omino in abito blu,
giacca e cravatta , armato di chiodi e
martello per appendere i suoi manifestini colorati . Passando davanti alle mostre di queste filiali delle
allucinazioni di massa e leggendo il delirio dei prezzi delle case pensavo alla
follia collettiva di venditori e addetti ai lavori , ad una prima reazione di
rabbia subentra un senso di pace e rassegnazione , mentre sul viso
l'espressione d'incredulità muta in sorriso. Si è perso ogni senso delle
proporzioni Roma è ormai per pochi eletti , meglio consegnare le chiavi di questa città alla nuova razza
mattona e togliere , in silenzio, il disturbo . Poi finalmente si trova il coraggio , chi ci ha messo al
mondo ci da una mano congedandosi per sempre e si raccoglie quanto necessario
perlomeno alla caparra, per il resto si vedrà , d’altra parte in un mondo dove
la nuova generazione sopravvive solo grazie alle pensioni della vecchia
cos’altro dovremmo aspettarci? Come avevo previsto lascerò il quartiere , era
inevitabile, e di quest’esilio forzato non posso che ringraziare quella
ristretta categoria di notabili di sinistra , strettissimi parenti di quelli di
destra , che frequenta un’Europa
accademica nata nei Palazzi , dalle cui mura non è mai uscita, che ha saccheggiato sogni e speranze di
tanta brava gente. Proprio così, ancora qualche mese e lascerò viale Libia, ma questa è un’altra
storia, se Nostro Signore mi darà grazia e salute vedrò di raccontarvela nel
prossimo capitolo. Sogno così spesso di volare che a volte , al risveglio, ho
tutte e due le braccia indolenzite, ma questo non vuol dire che debba veramente
mettermi ad agitare le ali, la vita pretende che i sogni restino tali perciò
meglio non pensarci più di tanto, sono pronto a ricominciare , ripongo ansie e
preoccupazioni al sicuro nel mio mondo segreto facendo attenzione a non
lasciare in giro le chiavi dello scrigno e torno a cavalcare la tigre.