CAPITOLO 12

 

 

Primi passi nel mondo del lavoro

il principale e...il galoppino

 

 

 

 

 

ppena sveglio mi incamminavo di buon mattino per andare a studiare all’ombra dei pini di Villa Paganini accanto alla scuola di Lety, e sotto le finestre dell’aula dove la poverina trascorreva le interminabili ore di studio nella struggente attesa di rivedermi ancora – almeno così speravo - preparavo gli esami  in attesa del termine delle lezioni per poterla riaccompagnare a casa.

Il tempo necessario per  mangiare una sola sparuta  fettina senza una briciola di pane – ci credereste oggi? - poi Lety si trasferiva in camera da pranzo per seguire Dancing Days , la prima telenovela trasmessa da Retequattro importata disgraziatamente dal Brasile.  Una cazzata di proporzioni gigantesche!  Eppure io la seguivo come un cagnolino e non solo mi sorbivo quell’insulso polpettone ma arrivavo persino a commentarne la trama . Per fortuna al termine di quella boiate mi tornava il buon umore grazie a divertenti sit comedy come I Jefferson, Mi benedica Padre e Arnold . Tutto qui? Direte voi. Che volete?  Non era proprio il caso di abbandonarsi a tenere effusioni, Carlo e Alice riposavano in camera da letto ma avevano il sonno dannatamente leggero.

Nel pomeriggio tornavo a prenderla per una passeggiata o un furtivo incontro al riparo da occhi indiscreti in qualche luogo appartato. La “Vespetta”, ideale per muoversi nel caotico traffico cittadino, non dava le necessarie garanzie per meeting di quel genere,e come direbbe  Guccini,  il sesso, in quelle condizioni ,era questione più di clima che di voglia.

 Mi vidi pertanto obbligato a studiare per conseguire la patente e cercare così di ovviare alle inevitabili difficoltà che quella imbarazzante situazione comportava.

Ne sorsero di nuove , quali le fastidiose pugnalate della gelida leva del cambio tra le costole - quando non capitava di peggio -  o i legnosi sedili, scarsamente reclinabili, che, costringendoci a  deleteri attorcigliamenti e innaturali posture, avrebbero finito per compromettere per sempre la cervicale e il nervo sciatico dei due avviticchiati amanti . Del tutto superfluo stare qui a descrivervi come fosse complesso in tali condizioni fare indossare all’impaziente fratellino l’indispensabile scafandro per le sue rapide e allettanti sortite sottomarine.

Da quel momento comunque l’angusto abitacolo del Cinquino rosso Ferrari targato Roma K58368  acquistata nel frattempo  e le grandi pagine del Corriere dello Sport , debitamente sistemate sui cristalli appannati ,contribuirono a garantire ai nostri laboriosi e acrobatici amplessi una temperatura meno glaciale  e una certa intimità  perché, diciamo le cose come stanno, il sesso di coppia ormai era diventato per me un’ irrinunciabile esigenza , tutti erano contenti meno io e Pippo, ero stanco di fare come lui.

Cosa fa Pippo? Come! Non lo sai?!

Semplice: Topolino si fa le topoline ed è felice, Paperino si fa le paperine ed è felice, Pippo… non è felice.

Il termine perentorio per il rientro a casa di Cenerentola era fissato alle 19,30, in via dei Foscari era stata reintrodotta per l’occasione la pena capitale, decisi così per il quieto vivere e soprattutto per lisciare il pelo all’orso Yoghi di non discutere i suoi ordini e aggirare abilmente l’ostacolo ,ero diventato un maestro del compromesso, bastava accettare l’immancabile invito a cena.

Il frugale pasto, una mezza dozzina di fettine panate  rosolate con perizia dalla sora Livia seppellite sotto una montagna di croccanti patatine fritte,  spariva in poco meno di dieci minuti nel buio del mio stomaco senza fondo poi, mentre la cuoca rassettava la cucina e il boss schiacciava un pisolino in poltrona davanti alla tivù accesa, io e la mia Lety spaparanzati sul divano in fondo al salone ci facevamo le coccole spiati dall’orripilante posacenere a forma di pipa e dal bucolico arazzo alle nostre spalle dove, in un paesaggio da fiaba, prosperose dame e capricciosi cicisbei abbigliati con ricchi costumi del settecento imitavano le nostre gesta scambiandosi caramellose effusioni.

Ero felice ma quella relazione a mezzo servizio non mi bastava più, né potevo accontentarmi di una rapida ciulata in macchina  dopo una pizza da Enrico e Bruno,  con l’incubo di doverla riaccompagnare a casa prima di Carosello  , volevo dedicare il mio tempo soltanto a lei, mettermi a sua completa disposizione - come direbbe il principe De Curtis -  corpo, anima e frattaglie.

Inutile dire che finirò fatalmente per esagerare.

A quel punto non mi restava che affacciarmi pericolosamente al di là della palizzata e cominciare a pensare ai fiori d’arancio.

Non avevo un impiego né una casa dove condurre la mia sposa per metterla sotto – anche sopra non che mi dispiacesse - e fargli sfornare rampolli a raffica , non possedevo insomma un beneamato, oltretutto gli studi , in fase di stallo cronico,  tendevano all’inevitabile abbandono .

Così stando le cose il mio restava soltanto un pio desiderio.

Nel frattempo però Paolo aveva trovato un insperato lavoro anche grazie, si fa per dire , all’invalidità derivatagli dalla recente malattia, lasciando così vacante il posto nell’azienda di famiglia impiantata dall’instancabile genitore nell’appartamento di piazza Gondar.

L’avvocato infatti, dopo aver gettato l’ancora sui fondali sabbiosi della pensione, in precario equilibrio di fronte a quelle sponde insicure preferì spiegare nuovamente le vele e riprendere il largo costituendo un’impresa familiare e dando una definitiva connotazione alla gloriosa agenzia di assicurazioni della premiata ditta Tiddi.

I clienti cominciarono a farsi più numerosi, la cordiale atmosfera che si respirava nei locali d’agenzia , che in  fondo restava l’abitazione di una simpatica famigliola, contribuì a rendere più amichevole quel che in altre aziende  è soltanto un freddo e professionale rapporto tra un consumatore preoccupato della spesa da affrontare e un imprenditore che presta un servizio e , spesso , è disposto a vender fumo pur di trarre profitto dalla rapa che gli sta davanti senza tener conto delle sue reali esigenze. Tranquilli, il pistolotto è terminato.

Gli habitué ci presentarono i parenti, poi gli amici e questi gli amici degli amici ,in breve tempo il portafoglio d’agenzia prosperò e il tenero germoglio piantato pochi mesi prima diventò una rigogliosa pianta rampicante che aveva maggior bisogno di cure, era la mia occasione. Si levava incerto il sole all’alba del nuovo decennio.

Era arrivato il momento di chiudere il cassetto dei sogni e affrontare la realtà della vita che il più delle volte ti impone le sue scelte scordandosi di offrirti occasioni più ghiotte, avrei desiderato esercitare qualsiasi professione  tranne quella d’assicuratore, ma, si sa, siamo tutti un po’ servi della gleba e il più delle volte siamo costretti ad abbozzare e rassegnarci a seguire la pista tracciata dai padri, c’è poco da scegliere, oggi come allora.

La voglia di studiare scemava in modo preoccupante, la capacità di applicarmi con costanza pure, d’altronde  i risultati conseguiti fino a quel momento erano stati tutt’altro che entusiasmanti , questo  proprio mentre cresceva in me il desiderio  di farmi una famiglia, non mi restò che rimettere la penna nell’astuccio, sistemare i libri nello scaffale e chiudere la chitarra nel fodero insieme agli spartiti.

Appesi i comodi Jeans sdruciti nell’armadio della mia stanza , riposi le vecchie adidas consumate in punta nella scarpiera dello sgabuzzino ,e dopo un definitivo  taglio alla zazzera anni settanta e una rapida sfoltita alla barbetta ispida e trascurata tirai fuori dalla naftalina  l’abito buono della festa calzai i maledettissimi mocassini tranciaditone e rimossa la maschera da compagno indossai quella da giovane rampante anni ottanta.

Lavorare con papà non era certo facile, avrei avuto molto da imparare da uno come lui considerata la competenza e l’esperienza maturata in tanti anni di lavoro ,anni in cui aveva capito come  muoversi senza cadere vittima delle trappole tese dai lupi e dagli sciacalli che albergavano in quell’intricata boscaglia. Purtroppo quel che gli difettava completamente era la pazienza, neanche un briciolo, dimenticò così di insegnarmi il mestiere certo che sarei stato in grado di cavarmela da solo  come aveva fatto lui prima di me.

Le mansioni da me svolte in un primo tempo non furono delle più edificanti, trascorrevo intere mattinate di fronte alle porte chiuse di arroganti liquidatori del cazzo - in cima alla lista quelli di Generali e Tirrena - che anziché dedicarsi alla definizione dei sinistri come da contratto ricevendo legali e galoppini come il sottoscritto, conversavano per ore con periti e avvocati di dubbia fama, traffichini  con i quali spartivano la torta scavando spesso la fossa alle Compagnie per le quali lavoravano.

La sfrontata strafottenza di quella gentaglia che, incurante della tua insofferenza dopo lunghe ore d’attesa , non di rado ti passava  accanto per andare a prendere il caffè dimenticandoti in corridoio per un’altra mezzora, fece montare in me la rabbia che da allora avrei nutrito per quell’altezzosa etnia di fannulloni che indossa  la divisa da generale ma è composta soltanto da mediocri caporali, mafia di baroni che infetta purtroppo ancora oggi il mondo delle assicurazioni..

Mi occupavo insomma dell’aspetto più rognoso dell’attività, quello legale, cercando di risolvere le pendenze dei nostri assicurati con la nostra o le assicurazioni concorrenti, questo permetteva all’insofferente principale ,non certo tagliato per fare anticamera, di dedicarsi alla componente più propriamente commerciale dell’ azienda per la quale, al contrario, era particolarmente portato.

Anche oggi abbiamo fatto una polittezzaia!” era solito ripetere quando riusciva a portare a termine il perfezionamento di un nuovo contratto, “come piangeva!!” aggiungeva,  riferendosi al momento straziante nel quale il poveretto metteva mano al portafoglio per sborsare il sudato “denarozzuzzet” , termine ridondante da lui appositamente coniato per definire il contante.

A dare una mano in agenzia nel pomeriggio mio fratello Paolo  nelle  vesti di un  silenzioso topo da biblioteca  sempre indaffarato a tenere in ordine l’archivio, presto arriverà in ufficio il primo modello di computer della Disitaco, da allora il malinconico mezzemaniche avrà un compagno con il quale scambiare quattro chiacchiere ,il macchinoso sistema Lotus, i due  diventeranno inseparabili.

Cominciai a far conoscenza con la perfida razza degli assicuratori , stirpe dannata, di lì a poco sarei entrato a farne parte mio malgrado, nei confronti della quale il volgo spietato ha da tempo emesso la definitiva e dura sentenza: “Il più pulito tra di loro c’ha la rogna”.  Prima di questi, in vetta alla  poco apprezzata classifica dei più odiati dagli italiani, solo gli esattori delle tasse, gli amministratori di condominio e i dentisti.

Categoria quella nella quale ero stato accolto dove per sopravvivere era necessario stare con gli occhi aperti e appoggiare la schiena alla parete per mettere al sicuro le spalle, non tardai a rendermene conto.

Nel frattempo la meta delle mie vacanze estive , trascorse sino ad allora, se escludiamo un paio di fallimentari esperienze di campeggio in Trentino e Puglia all’epoca del flirt con Marina, all’ombra del monte Girifalco ad oziare sui prati erbosi attorno al paese e a camminare per i contorti sentieri dei dintorni , stava per cambiare rotta lasciandosi alle spalle i brulli monti della Marsica per dirigersi verso le sponde azzurrine del Tirreno