Lety
ra un piovoso mattino
di aprile , il 25 S. Marco , giorno di festa come saprete , orribilmente
barboso come tanti altri prima stancamente inanellati alle mie spalle, non
avevo nulla da fare, ciondolavo pigramente con il gomito appoggiato alla
mascella e le gambe acciambellate, appollaiato sul tavolo ovale della mia
stanza, lo sguardo annoiato teneva d'occhio il mondo immobile al di là della
finestra che affacciava su piazza Gondar volgendosi di tanto in tanto verso le
sfere dell’orologio , al solito la musica dei Genesis, stuprata dalla consunta
puntina del vecchio giradischi ,era lì a farmi compagnia.
D'un tratto squillò il telefono, scesi lentamente dal trespolo per andare a rispondere certo che fosse qualche cliente di papà che, nonostante la festività, avesse urgente bisogno dei suoi preziosi consigli, il suono era insistente, ricordava il trillo dell'apparecchio di Paperino quando zio Paperone chiama lo scapestrato nipote per affidargli qualche ingrato compito, afferrai la cornetta e risposi. Papà ovviamente mi aveva seguito, con un cenno della mano lo rassicurai sul destinatario della telefonata , era Fabrizio, un amico dimenticato ricomparso da qualche tempo, mi chiedeva se avessi voglia di uscire con lui, la sua ragazza e una sua amica.
Non me lo feci ripetere, avevo bisogno di distrarmi, avevo trascorso troppo tempo con me stesso e cominciavo ad averne abbastanza di quella monocorde compagnia, fissammo l'appuntamento a casa sua per le prime ore del pomeriggio.
Recuperate un paio di mutande tra le tante gettate alla rinfusa sulla sedia le annusai – non si sa mai – e le infilai insieme ad un paio di calzini con data di scadenza superata da appena un paio di giorni , controllai per l’occasione che non ci fossero le canoniche mele d’ordinanza , indossai i mordibi jeans logori del campeggio del ‘75 , tirai fuori dal cassetto la camicia della festa - quale? Quella della prima comunione...mi pare - ci piazzai sopra un maglioncino a V di un colore che ovviamente faceva a cazzotti con quello dei pantaloni e, dopo una rapida pettinata che lasciò sul lavandino del bagno numerosi caduti , completai la confezione con la mitica giacca di renna a frange appena acquistata sulla bancarella di via Sagno ed uscì di casa.
Com'era mia consolidata consuetudine arrivai con largo anticipo al rendez-vous nell'appartamento di via Tripoli dove , in compagnia degli amici di un tempo ,avevo consumato qualche anno prima le deliziose cenette a base di monumentali frittate di cipolla spruzzate dal sincero vinello bianco prodotto nelle vigne di Franco.
M'accomodai in salotto dove Fabrizio mi presentò Marilena, la sua compagna, conversammo amabilmente, in attesa dell'arrivo della misteriosa amica per una buona mezzora poi suonò il campanello.
Era lei, la mia Lety, attraente, fine, voce flautata, un viso grazioso incorniciato da lunghi capelli castani raccolti dietro a coda di cavallo. I lineamenti erano delicati, gli occhi scuri e pericolosamente furbi, appena velati da un paio di occhiali tondi, su una carrozzeria di prim’ordine indossava un elegante completo azzurro, nel complesso una bellezza non certo appariscente ma certamente accattivante.
Nulla di più, d'altronde era un pezzo che sfarfallavo tranquillo e le ragazze non mi facevano più l'effetto d'un tempo, la sintomatologia da salivazione zero e mani gelate con preoccupante accelerazione cardiaca era una malattia appartenente a tempi lontani che credevo ormai d'aver superato. Sbagliavo.
Dopo le doverose presentazioni ci recammo in autobus al Bi- Bo- Bar di piazza SS. Apostoli, la città era tranquilla, i romani si godevano il sole primaverile sorbendo bibite , leggendo i giornali o gustando una grattachecca . Sedemmo al tavolo , ordinammo e , in attesa del sorbetto o del gelato , cominciammo a conversare.
Capii subito di non andargli troppo a genio, il modo di pensare, di vestire, insomma il suo humus culturale era lontano anni luce dal mio , aveva un atteggiamento arrogante, un'aria sprezzante che non incontrava certo le mie simpatie, era decisamente antipatica e alla sua irritante compagnia preferii quella più immediata e solare dell'amica con la quale passai l'intero pomeriggio a chiacchierare sotto lo sguardo perplesso del suo ragazzo che tentava senza successo d'interrompere i nostri discorsi o di scambiare quattro chiacchiere con il commensale superstite.
Anche quella serata ebbe termine , me ne tornai a casa deluso, avevo trascorso la giornata con nuovi amici ma il sapore che mi era rimasto in bocca era insipido, niente di nuovo, le ore continuavano a scivolarmi addosso senza scuotermi dal mio solito torpore, insomma due palle così. Così come? Così:00!
Sfogliavo svogliatamente le pagine dei libri di testo tentando di superare gli esami di lettere , Aurora da parte sua scorreva i codici per preparare quelli di legge, mamma sbrigava le faccende domestiche e Paolo e Cinzia aiutavano papà nel lavoro d'agenzia .
Lo sconforto stava per sopraffarmi, la vita scorreva monotona senza prendere un qualsiasi sentiero che portasse da qualche parte.
Fu qualche giorno dopo quel primo deprimente incontro che le cose cambiarono improvvisamente.
Ancora una ricorrenza segnata in rosso sul calendario, quella del 1° maggio, telefonò nuovamente Fabrizio chiedendo un nuovo meeting a quattro, non ne ero entusiasta, ma si sa, i giorni di festa sono i più lunghi da passare per chi non ha niente da fare, finii per acconsentire purché questa volta ci si vedesse da me.
Quando andai ad aprire la porta insieme al mio amico e alla sua morosa c'era un'altra ragazzina, simpatica , brillante, capelli sciolti, maglioncino aderente a vu rosso vivo senza camicetta sotto che lasciava immaginare due tette da urlo , un paio di jeans chiari e un incantevole sorriso da lasciare senza fiato.
Cazzo com'era graziosa ! Disorientato stentai a riconoscere sotto quel visetto tenero la scontrosa e altezzosa ragazza conosciuta qualche giorno prima, era diversa, terribilmente, meravigliosamente e pericolosamente diversa! Cominciai a credere che per osservare le stelle non fosse più necessario usare un telescopio.
Questa volta, trascorsi tutto il pomeriggio ad ascoltare rapito le suadenti lusinghe di quella seducente sirena e a sniffare come un tossico il suo eccitante profumo, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.
La frittata era fatta! M'ero innamorato! Di nuovo! Come un tempo! Forse peggio! Non avevo scampo! Non potevo crederci: fottuto come un pivello al primo appuntamento.
Quando a sera il vocio degli amici s'affievolì fino a scomparire, stavolta nell'aria qualcosa era rimasto insieme al suo profumo e agli asfissianti effluvi di quattro adolescenti in credito d'ormoni, il desiderio irrefrenabile di rivederla presto. Turbato m'accorsi di provare di nuovo quelle particolari emozioni di cui avevo perso persino il ricordo, avevo paura, ma la consapevolezza di poterla incontrare di nuovo mi tranquillizzò, tuttavia quella notte non riuscii a chiudere occhio, pensavo a lei, a come conquistarla e, con animo diverso, per la prima volta dopo tanto tempo, al sorgere del sole il giorno dopo.
Cacchio! Pennellata di pathos degna di un melò di fine secolo, non c'è che dire.
La tattica adottata per soggiogarla e piegarla ai miei voleri e piaceri - sozzo! - fu la solita: sguardo ispirato, atteggiamento anticonformista, aspetto trasandato quanto basta , interesse verso la vittima predestinata andante ma non troppo. Aveva sempre funzionato, non vedevo perché avrei dovuto cambiare sistema proprio adesso.
Eppure questa volta la scaltra e rodata strategia ,confortata da decine di precedenti peccaminosi successi, non dava i risultati sperati, qualcosa non andava, avevo perso io lo smalto del seduttore impenitente o era la donzella un osso troppo duro per i denti ormai spuntati di un rubacuori ormai disavvezzo all'antica e nobile arte della caccia alla topa?
L'affascinante roditrice in questione tardava ad arrendersi prolungando la sua lenta agonia e posticipando la sua inevitabile capitolazione ,non mi restava che affidarmi all'astuto e disdicevole espediente dell' arruffianamento per interposta persona. Il corteggiamento sarebbe stato lungo ,le energie impiegate molte, ma rinfrancato dalla certezza dell'immancabile vittoria mossi infine i miei pezzi per l' inesorabile scacco alla regina.
Quando le telefonavo per tastare il terreno, con la segreta speranza di tastare il resto più tardi, mi rendevo conto che l'appetitosa fanciulla non pendeva certamente dalle mie labbra, cominciai così a lavorarmi l'amica per giungere a lei aggirando l'ostacolo di quella sua imprevista ritrosia a concedersi a cotanto maschiaccio.
Con Marilena parlavo volentieri e le sue confidenze mi permisero di scoprire uno ad uno i punti deboli dell'ambito bocconcino , allorché iniziai ad avvertire i preoccupanti sintomi dell'innamoramento , incessanti bruciori che ti mordicchiano lo stomaco , fiato corto e persistente gnocco in gola , capii che le crisi d'astinenza potevano essere eliminate e quella sensazione di vuoto colmata solo dall' espugnazione del cuore di quel magnifico esemplare di femmina; cominciai perciò a forzare il gioco per vedere le sue carte e, mi auguravo molto presto, anche il resto.
Ancora una volta il Luneur mi sembrò il terreno ideale per catturare la ritrosa puledra , domarla una volta per tutte e poterla poi montare senza rischi. Il piccolo – bhè, per lo meno medio - annusata la preda mordeva il freno ed io stentavo a trattenerlo. Capperi! Immagine piuttosto forte vero? A volte rasento il porno.
Dopo qualche tour sulle attrazioni del luna park la mia astuta complice, opportunamente addestrata, s'appartò con il suo partner, il momento era propizio, sdraiato sul prato al tepore di un tiepido sole accanto all'oggetto del sordido desiderio non rinviai oltre l'esecuzione e, risoluto, andai subito al sodo.
No! Non nel senso che le toccai le poppe! Che avete capito?
Le chiesi semplicemente se avesse voluto dividere con me il tempo che ci restava da vivere su questa terra…bhè, a dire il vero non furono proprio queste le parole esatte.
L'agghiacciante risposta fu una delle più tragiche che una donna possa dare al suo allupato spasimante: "Ci devo pensare."
Cosa avesse da riflettere sulla fortuna che le era capitata è ancora un mistero, traccheggiava la civettuola, era lampante la sua intenzione di farmela sospirare più del dovuto lasciandomi in pratica tra color che son sospesi, condizione assolutamente invisa a chi , come me, non sopportava l’idea di rosolare nell’attesa preferendo a questo punto un secco e brutale rifiuto di passera. Non ero certo abituato a fare la questua di favori femminili io! Di solito mi limitavo ad inginocchiarmi ed implorare.
Anche quella giornata comunque tirò le cuoia , la notte stava per dare il cambio al giorno …no…che cacchio dico…era il giorno che stava per smontare e passare le consegne alla notte…màh – si scrive così? - deve trattarsi dell’effetto degli allucinogeni o di pane e Nutella.
Rientrai a casa piuttosto avvilito, consumai controvoglia una frugale cena - roba da far piangere un vitello - poi mi ritirai in camera mia che all’epoca era lo studio di papà, infine , assicuratomi che quest'ultimo, canotta bianca plissettata modello bagnino e pantalone celeste del pigiama giro collo, fosse già sprofondato in poltrona a sorbirsi il programma scelto da mamma, presi possesso del telefono per il resto della serata pronto se fosse stato necessario a mantenerne il dominio fino al mattino successivo.
Rimosse a fatica le scarpe da tennis le piazzai sotto la poltroncina accanto alla scrivania riservata ai clienti, sfilai i nauseabondi calzettoni e li appallottolai , mi liberai dei non meno puzzolenti jeans e della camicia ,implacabile arma letale in modo particolare laddove la manica lambiva le ascelle, e sprofondai nella mia cuccia.
L'abbondante sudorazione frutto del primo caldo primaverile e del particolare momento emozionale non consentiva la sopravvivenza di qualsivoglia forma di vita nel raggio di un centinaio di metri ed anche l'affettuosa gattina che m'aveva seguito , stordita dalle sulfuree esalazioni .se la diede a gambe lasciandomi solo a meditare sul da farsi.
Accartocciai il pestilenziale involucro e lo sistemai con cura su quella stessa sedia dove il giorno dopo l'avv. Tiddi avrebbe fatto accomodare gli assicurati, a questo punto ebbi la decenza e la magnanimità di tenere perlomeno le mutande evitando così a quegli sventurati più gravi conseguenze quali vertigini, mancamenti o irrimediabili lesioni alle mucose nasali.
Non avevo intenzione di perdere altro tempo, composi in fretta il suo numero di telefono ottenuto a fatica quello stesso pomeriggio e restai in attesa, rispose dopo un paio di minuti - sono certo che fosse già lì da un pezzo , la mano sulla cornetta, pronta a rispondere alla telefonata - le chiesi quale fosse la sua decisione , ci girò un po' intorno, cincischiò, cambiò discorso più di una volta poi, messa alle strette, l’astuta buongustaia emise la sentenza. Inutile dirvi quale fu se è vero come è vero che siamo sposati da più di vent'anni e abbiamo messo al mondo tre tiddini nuovi di zecca.
All’una di notte posai la cornetta , sistemai nell’orecchio l’auricolare della radiolina e ,cullato dal bollettino del mare rivolto ai naviganti , m’addormentai felice come un bambino che pregusta il piacere di scartare al risveglio il giocattolo nuovo acquistato la sera prima , la mia vita , ero certo, si sarebbe trasformata in un sogno in technicolor. Che volete? Ero innamorato.
Da allora Letizia diventò la mia stella polare, tutto girava attorno a lei, le mie giornate, i miei pensieri, il mio domani, era una situazione inedita , in amore non avevo mai messo radici e la perseveranza non era stata mai il mio forte , da allora tutto cambiò e alle mie caviglie spuntarono come d’incanto quelle robuste catene che avevo visto tante volte ai piedi degli amici perduti.
Meta dei nostri primi incontri i giardinetti di via Mascagni, io zazzera riordinata , barba folta ma ben curata, morbida t–shirt bianca o blu della Lacoste , jeans d’ordinanza blu scuro e scarpe da tennis color cobalto , lei capelli sciolti sulle spalle , vestitino azzurro con cinta chiara - in alternativa abito fiorato bianco con venature gialle - scarpette bianche primaverili con un filino di tacco per ridurre le distanze.
Le case signorili di quella tranquilla via a due passi da viale Somalia diventarono il nostro sogno proibito, in particolare quelle più eleganti con gli ampi balconi tondeggianti , tali resteranno, almeno fino ad oggi . Al tempietto di Villa Borghese , appena qualche giorno dopo, le prove tecniche di nozze , a prestarsi come cerimoniere l’amico Sarti Magi , ad occuparsi del servizio fotografico la sua simpatica compagna Marilena.
La piccola frequentava ancora le superiori , l'istituto tecnico femminile “Angelo Celli” di Villa Paganini, io temporeggiavo nelle aule dell' ateneo di viale Regina Margherita proseguendo con scarso costrutto la mia esperienza universitaria. Al termine delle lezioni andavo a prenderla a scuola e l'accompagnavo con la Vespetta 50 grigio metallizzato , che aveva nel frattempo sostituito il vecchio "Ben", a casa, o meglio nelle vicinanze, smontava infatti di fronte all'ufficio postale di piazza Bologna e proseguiva a piedi. Preferii infatti , in un primo tempo, nascondermi dove abitasse e, nonostante le mie ovvie insistenze, per diverso tempo non intese appagare la mia ragionevole curiosità.
Solo più tardi compresi il perché .
A sera, con grande gioia di papà , ma soprattutto dell’allora Sip , ci incollavamo con la Vinavil al telefono e in un paio d'ore di dialogo,anzi di monologo, la menzognera mi raccontava una marea di cazzate : viveva in un gigantesco e signorile appartamento e a lei era riservata un'intera ala della lussuosa abitazione.
Io, frastornato ,sorseggiavo ingenuamente tutte le fregnacce che mi propinava senza minimamente dubitare sulla veridicità di quelle favole, rimanevo incantato ad ascoltare quella voce persuasiva che mi rovesciava addosso centinaia di parole al minuto con la brillantezza di una conduttrice televisiva, la disinvoltura di una soubrette e la velocità di una mitragliatrice.
L'appartamento di via Tripoli, teatro del fortunato incontro ,fu anche l'alcova del primo appuntamento biblico , mentre Marilena e il suo partner fornicavano furiosamente nella camera dei genitori del mio amico, provvidenzialmente fuori città, io e la mia nuova ragazza ci appartammo nella stanza di Silvia, una delle sorelle gemelle di Fabrizio, e nonostante la costante e inopportuna presenza di un'ombra curva e minuta che s'aggirava irrequieta lungo i corridoi transitando più volte di fronte alla porta a vetri - l’anziana nonna mezza rincoglionita - placammo finalmente la nostra sete d'amore consumando avidamente il travolgente fuoco del desiderio.
Fresca che abile letterato !
Non sto qui a descrivervi la piacevole sorpresa provata dalla mia focosa amante di fronte a tanta esuberanza , non sarebbe né fine né elegante.
Non mi bastava più il poco tempo che trascorrevo con lei.
Non ne potevo più fare a meno, quando non c'era mi mancava il respiro, avevo capito che i suoi genitori non le avrebbero lasciato molta autonomia finché non avessimo formalizzato il nostro legame. La libertà non si dà , si prende ! Io ero stanco di quella relazione a metà, la volevo tutta per me , desideravo un focolare domestico che mi desse al mattino la prospettiva delle gioie serali e per ottenere questo non mi restava che saltare il fosso e chiederle di farmi conoscere il resto della truppa.
Inizialmente esitò poi finì per accontentarmi.
Nel frattempo la nostra giovane storia aveva assunto una sottile venatura gialla .
Tra le caratteristiche essenziali che dovevano necessariamente possedere le mie molteplici conquiste c'erano curve mozzafiato, ciglia ondulate alla Bamby, contagiosa simpatia e un'intelligenza pronta e accorta non sufficiente però ad offuscare la mia, e qui feci male i miei conti, del tutto irrilevanti erano invece le loro generalità anagrafiche. Ad evitare perciò che, pericolosamente pungolata, mi seppellisse sotto una nuova montagna di chiacchiere, mi ero ben guardato dal chiedere il cognome alla mia ciarliera compagna, importante indizio questo che mi avrebbe certamente aiutato a dipanare l'ingarbugliata matassa.
Cominciò a fare l'indovina rivelandomi che avevo un fratello di nome Piero abitante in via Sicilia , incuriosito le chiesi di continuare, non si fece pregare, figurarsi, aggiunse che la moglie si chiamava Giuliana e da poco tempo avevano avuto una figlia cui avevano dato il nome di Valentina.
Il mio stupore - non le avevo raccontato ancora nulla sulla mia vita privata - aumentò quando sciorinò in preda ad un delirante raptus logorroico senza fermarsi un momento per sputare, l'intero albero genealogico della mia nutrita casata.
A questo punto, considerando il mio sguardo perplesso e il punto interrogativo apparso accanto alla mia testa fumante, ebbe pietà di me e finì per confessare di essere la cugina di mia cognata Giuliana, quella goffa ragazzina insomma che avevo incrociato qualche anno prima al ricevimento di nozze di Palazzo Giustiniani.
Un passo indietro ora e torniamo all'epico scontro generazionale che stava per avere inizio nella rassicurante cornice dell'appartamento sito al piano quarto dell'elegante palazzina di via dei Foscari 10.
Dopo avermi fatto
finalmente salire a casa sua che non era ovviamente la favolosa reggia
descrittami minuziosamente nei suoi monologhi telefonici, mi presentò la madre
che mi fece accomodare in salotto e solo dopo qualche minuto d'imbarazzante
silenzio fece il suo ingresso Don Antonino, un omino calvo, pallido, occhi neri
e vivi, sopracciglia severe e un paio di baffoni neri alla "nun saccio nènte e nun vogghio sapiri nènte
ieu."
L'abbigliamento, a dir poco sconcertante ,era del tutto simile a quello del futuro consuocero , non mi meravigliai quindi più di tanto quando lo vidi avvicinarsi a me per stringermi la mano, così conciato: pantaloni del pigiama, celeste cherubino, oltremodo larghi, tenuti su da un paio di buffe bretelle azzurre che spiccavano su una comoda canotta bianca a coste strette, modello panettiere di Trastevere, aderente tuttavia al giro pancia.
Dopo le presentazioni di rito le due donne, discrete e sollecite, s'allontanarono per andare a mettere su il caffè lasciandoci soli a discutere di cose da "ommini".
L'inquisitore con espressione ombrosa dapprima mi scrutò da capo a piedi poi m'invitò a sedere accanto a lui e , con tono cordiale ma solenne, cominciò ad interrogarmi sparandomi negli occhi la luce accecante di un riflettore ad energia solare fotovoltaica . Mi chiese dei miei studi, s'informò sulla mia famiglia e si sincerò sulle mie future aspirazioni, mancò poco che mi chiedesse se avessi intenzioni serie nei confronti della figlia.
La prima impressione insomma non fu delle migliori, eravamo profondamente e drammaticamente diversi, io ultrà giallorosso , lui biancazzurro d'incrollabile fede, io comunista con marcate simpatie per la componente armata delle brigate rosse, lui fascio perso tendente al nazi spinto con riflessi misantropi e razzisti.
Pian pianino comunque cominciammo a conoscerci meglio e a rispettare le nostre diversità apprezzando le doti dell'uno e dell'altro , quel suo piglio inflessibile e austero s'ammorbidì lasciando trasparire un inatteso carattere gioviale e goliardico e quell’atteggiamento amichevole si trasformò ben presto in un affetto sincero .
Quando mi fermavo a cena - e da quel giorno gli inviti si fecero piuttosto frequenti - la bistecca più grossa e appetitosa finiva inevitabilmente nel mio piatto e, a dire il vero, da quando se n'è andato un caldo pomeriggio di giugno di tredici anni fa non è ho più mangiato di così monumentali.
Appassionato ornitologo possedeva centinaia di pregiati cardellini rinchiusi in voliere sempre linde e pinte collocate sul balconcino della cucina ed ogni mattina s’alzava di buon’ora per accudirli con amore prima di recarsi in clinica dove esercitava la professione di radiologo.
Accadde così qualche tempo dopo – io e la figlia eravamo già marito e moglie – che gli venne la balzana idea di affidarmi , per un fine settimana nel quale avrebbe dovuto assentarsi, i poveri pennuti. Feci del mio meglio , distribuii il mangime, cambiai l’acqua, dosai perfino le vitamine come mi era stato raccomandato, ma fu tutto inutile, quando tornò ne trovò decine gambe all’aria e ancora oggi , roso dal rimorso, non riesco a capacitami del come e perché sia riuscito a farne fuori tanti .
In un’altra tragica circostanza m’incaricò di recapitargli dalle terre di Calabria , precisamente da Lamezia Terme , residenza della figlia maggiore - d’età e di stazza - Marilena , un paio di canarini di quelle parti . Era luglio, faceva un caldo infernale , ebbi la fantastica trovata di accomodare la gabbia con i malcapitati volatili sul lunotto posteriore della Fiesta ed imboccai senza pensarci più la Salerno-Reggio Calabria : a metà strada erano già cotti a puntino pronti per essere gustati con contorno di patate e un pizzico di rosmarino.
La moglie Livia sembrava fatta di tutt'altra pasta, un donnone affabile e cordiale, alta e rocciosa sovrastava il marito di una decina di centimetri almeno, occhi ravvicinati e sorridenti, simpatico nasone alla Depardieu , sempre allegra e disponibile mi accolse in casa come un figlio e tale mi sentii da allora in quella casa come fosse per me una seconda famiglia.
Nel vedere i miei suoceri per la prima volta ebbi la netta sensazione di averli già conosciuti da qualche altra parte, non ci misi molto a ricordare dove : sulle pagine della settimana enigmistica nella rubrica dedicata alle strisce di Carlo e Alice.
La mia vita era cambiata, avevo ormai messo la sordina alla disordinata giornata tipo della simpatica canaglia che ero stato sino ad allora, toni sommessi nei modi e look drasticamente rinnovato effetto bravo ragazzo , volevo eliminare qualsiasi motivo di frizione con la mia nuova fiamma scrivendo con fin troppa bella calligrafia – sì, lo so! La mia professoressa d’italiano delle scuole medie me l’avrà ripetuto centinaia di volte! Bella calligrafia è una ripetizione ! Ma continua a non piacermi bella grafia - la premessa alla mia nuova storia d’amore. Questi incisi ti fanno perdere il fiato!
Dopo aver affrontato con successo i primi cinque esami di legge tra il maggio e il dicembre 1977, mi ero preso una pausa di riflessione per cercare di capire se era veramente mia intenzione spulciare legislazioni e codici per il resto della vita. Mi ero preso tutto il 1978 per pensarci ma ora, deciso il passaggio a Lettere nel marzo 1979 , era ora di preparare senza altri tentennamenti uno scintillante esordio nella nuova facoltà.
La serenità d’animo che mi regalava la relazione con Letizia – ne abbiamo già parlato - mi permise di superare facilmente in poco più di un mese, tra il 22 giugno e il 30 luglio, tre prove : Storia della musica, Storia dell’età dell’illuminismo e Religioni del mondo classico. Ero diventato un vero secchione. Stentavo a riconoscere me stesso nei panni di quel ragazzetto studioso e precisino in cerca di gloria nelle aule dell’ ateneo di viale Regina Margherita.
Mi lasciavo alle spalle i travolgenti anni settanta vissuti quasi interamente in solitudine, se si escludono a cavallo di quel decennio il legame con Marina e le toccata e fuga – molte fughe poche toccate – con le rimanenti pollastrelle che vi ho già confidato. Così ai buffi pantaloni a tubo color pastello sostituii gli scomodi jeans aderenti , alle lunghe chiome sovversive e vaporose un più morigerato taglio da ragioniere, a quel mio modo di vedere il mondo senza tante sfumature un pizzico di equilibrio che potesse prepararmi all’epoca degli indispensabili compromessi.
Al di là del 31 dicembre già s’intravedevano le sfumature rosa dell’alba 1980, non posso certo tenervi all’oscuro di quanto accadeva intorno alle nostre esistenze.