Ritratto di famiglia in un
interno
opo la rapida
apparizione di un paio di pesci rossi vittime di un curioso incidente , una
mattina li trovammo esanimi sul fondo della vaschetta imbottiti di palline
misteriosamente partite da una pistola giocattolo - mai sarà individuato il
colpevole del duplice delitto - nella nuova casa trovammo modo d’ospitare anche
una coppia di criceti, il primo introdotto con l’inganno da parte del più
grande, il secondo logicamente preteso dal secondogenito.
Il problema nacque quando, oltre a fare scopa, i due animaletti si misero a scopare sul serio mettendo in breve al mondo una carovana di minuscoli cricetini, ma andiamo per ordine.
Stronzo, questo il nome assegnato dal pestifero Alessandro al fetido maschio, aveva avuto una precedente relazione con una sorta di sorca di fogna lunga almeno un paio di metri che avevo acquistato nel negozio sotto casa per accontentare i capricci di Roberto e incautamente introdotto nella gabbia. Non appena avvicinai la topolona alle sbarre il povero Stronzo spalancò gli occhietti sfigurando il muso in un’espressione di puro terrore, rimproverato da mia moglie tornai dal venditore per sostituire la belva con un più rassicurante e ridotto esemplare della stessa specie con la raccomandazione di consegnarmi un altro maschio per evitare un deleterio affollamento della gabbia.
Evidentemente quel negoziante parlava un’altra lingua o non sapeva distinguere il sesso dei dissoluti roditori , il risultato fu infatti quello narrato qualche riga più sopra.
Ferma e definitiva la decisione della padrona di casa : il giorno dopo l’allegra covata la tenera famigliola , compresi mamma e papà, fece fagotto per tornare a roteare sui barilotti appesi alla voliera esposta in vetrina nella bottega d’animali di via Lago Tana.
Un grande soggiorno sgombro da giocattoli, matite e giornalini, una camera da letto meno affollata finalmente a misura di coppia , una stanza opportunamente arredata per i due discoli , tutto sembrava filare liscio, la pacchia sarebbe però durata poco.
Come avevo previsto la pesante scure impugnata a due mani dal nuovo locatore, l’ineffabile don Raimondo Penne, e dal nuovo amministratore di condominio s’abbatté con una violenza inaudita sul bilancio domestico tagliando di netto la capacità d’acquisto del nucleo familiare.
In breve s’aprirono ampie falle nel modesto conto in banca dei due parsimoniosi coniugi, sul periodico estratto conto la sospirata scrittura dei magri emolumenti corrisposti dal comune di Roma alla mia signora , annotata ormai a matita, veniva prontamente azzerata dall’operazione successiva a debito relativa alla pigione.
Abiti griffati e scarpe alla moda restarono nelle vetrine dei negozi, uova, patate e pastasciutta tornarono alla ribalta sulla tavola apparecchiata alla buona in cucina, i bucolici paesaggi dei rilievi abruzzesi ripresero a far da sfondo alle nostre rapide vacanze estive.
Già , cos’era accaduto intanto a Pagliara? Negli ultimi anni valutazioni alquanto discutibili avevano massacrato l’arredo urbano di quel roccioso e fiero paesello d’Abruzzo deturpandone il caratteristico aspetto montano e facendogli assumere la fisionomia di una leziosa cittadina marina, questo tuttavia non avrebbe turbato i miei sonni , il vero problema era un altro : i posti letto a disposizione nel villino di piazza San Salvatore non erano ormai più sufficienti ad ospitare contemporaneamente quattro nutriti nuclei familiari spesso corredati di affiliati, affini e consanguinei e per disporre della casa nel periodo della villeggiatura occorreva stabilire una ferrea turnazione.
A peggiorare la situazione ed amplificare la grana delle ferie era sopraggiunta oltretutto anche l’improvvisa decisione di mia suocera di affittare , prima ad una chiassosa famigliola di burini poi ad un paio di rompicoglioni calabresi , madre anziana casalinga e figlia orrenda pendolare , il mio delizioso appartamentino di Ladispoli .
Via Spoleto era diventata insomma zona off – limits , il fresco di quel terrazzo a due passi dal Tirreno se lo godevano quella coppia di stronze e a noi non restava che trascorrere i mesi estivi ad osservare l’asfalto fumante di viale Libia agonizzando in balcone. Cazzo ! Se vinco alla lotteria prima o poi me la compro!
Tra l’ottobre 95 e l’agosto 99 attraversai momenti piuttosto difficili , Letizia cominciava a soffrire dei tipici malesseri psicofisici delle donne orfane di coccole e smancerie quando si rendono conto che i mariti distratti , pressoché sordi al richiamo dell’ars amatoria, cominciano a trascurare i riti dell’accoppiamento e consumano le loro proverbiali ventose da polipo sui tasti del telecomando anziché strofinarle sulle poppe delle mogli. I figli crescevano a vista d’occhio e con loro in misura esponenziale i grattacapi quotidiani, mia madre continuava a vagabondare da un ospedale all’altro collezionando malanni, interventi chirurgici e badanti .
Pensieri, ansie e preoccupazioni m’incanutirono anzitempo , la mia consorte cominciò a frequentare assiduamente le corsie di ginecologia cambiando gli specialisti come i collant la mattina, approfondite analisi ed accurate indagini mediche spolparono all’osso il conto in banca ed il mio fegato .
Tra l’altro in quello stesso periodo anche mio fratello Piero si beccò qualche misterioso virus che lo trascinò al reparto malattie infettive del Policlinico . Quell’anno – non ricordo quale - le feste di Natale si trasformarono in un vero incubo , costretto a far la spola tra l’Umberto I° e il Policlinico Italia dove si trovava ricoverata mamma per la periodica revisione globale , dovetti fare i conti anche con l’insensibilità e la rabbia di chi speravo avrebbe potuto starmi più vicino. Così vanno le cose, stati d’animo complessi , prese di posizione mortificanti , spesso irritanti, ma non c’è scampo, devi abbozzare, ingoiare il rospo e tirare avanti.
Il lavoro poi non dava tregua, un giorno sì e l’altro pure arrivavano inquietanti segnali di sgombero da parte della Mandante, si viveva sul filo della corda tremando ad ogni raccomandata recapitata nella cassetta delle poste e ad ogni trillo di telefono. Avevano già fatto fuori decine di colleghi e presto , temevo, sarebbe arrivato anche il mio turno . Mi andò bene , rimasi a galla insieme a pochi altri .
Nell’estate del 96 l’ultima vacanza come si deve, la meta , ancora una volta l’ elegante Hotel Parco dei Principi .
Tutto era andato bene , tempo splendido , defatiganti bagni in piscina ed effervescente animazione serale, per l’ennesima volta mi ero classificato secondo alla gara di Karaoke – difficilmente nel corso della mia vita sono arrivato primo in qualcosa – al ritorno tuttavia , come sarebbe stato facile prevedere , ad aspettarmi al varco trovai la mia proverbiale sfiga pronta a presentarmi quel conto salato che mi avrebbe rovinato il resto delle ferie.
Eravamo appena tornati da Scalea , Lety dopo aver fatto una mezza dozzina di lavatrici – no, non le costruiva. Spiritosi! – ed aver effettuato l’indispensabile cambio degli abiti in borsoni e valigie, era ripartita con i bambini per Ladispoli , io li avrei raggiunti un paio di giorni più tardi una volta sbrigato il lavoro che si era accumulato sulla mia scrivania durante il breve soggiorno in Basilicata.
A sera, dopo una frugale cena solitaria , mi ero appena accomodato in poltrona per godermi in pace i programmi televisivi di prima serata – circostanza piuttosto rara all’epoca, impensabile oggi - quando il trillo del telefono che continuava a rompere in maniera a dir poco assillante mi costrinse ad alzarmi.
Era mio cugino Fabrizio, mi chiamava da Pagliara dove mia madre si era trasferita per il periodo estivo, stava molto male era necessaria la mia presenza in paese per decidere il da farsi . Degli altri fratelli neanche l’ombra - m’era andata bene all’epoca del primo ricovero al Forlanini e non potevo pretendere ulteriori miracoli – si trovavano tutti in lontane località di villeggiatura , pertanto il compito andare a recuperare l’anziana congiunta sarebbe toccato inevitabilmente a me. Il problema che si presentava ai miei proverbiali occhi becalini non era di poco conto: imboccare la A14 con una Citroen AX dai fari sbilenchi – pochi giorni prima avevo centrato in pieno un cassonetto della spazzatura - nell’oscurità di una notte senza luna sarebbe stato un azzardo mica da ridere.
Ricorderete – non fate i pesci lessi! Ve l’ ho già raccontato. – come qualche anno prima ero miracolosamente riuscito ad imbrogliare il medico militare e a superare l’esame oculistico per l’abilitazione alla guida, la situazione da allora era ovviamente precipitata , conoscevo perfettamente i miei limiti ed ero consapevole del fatto che mettermi al volante durante la notte sarebbe stato come sfidare la morte ad ogni curva. Ancora una volta tuttavia c’era poco da scegliere, così avvertii la mia comprensiva consorte – credo sia ancora al telefono a lamentarsi - feci riprendere servizio a Santa Lucia che era appena smontata dal suo faticoso turno di lavoro - per chi non avesse capito rimisi le lenti a contatto - e scesi in strada per salire a bordo della mia quattroruote che, atterrita, stentava a credere alle mie reali intenzioni quasi si trattasse di manie suicide.
Durante il rischioso viaggio l’adrenalina salì a valori da primato e il sudore stillò a cateratta ammorbando l’aria dell’abitacolo, di tanto in tanto strizzavo gli occhi per poi riaprirli e frugare un po’ più in là oltre l’oscurità della notte e rendere più nitido il bordo dell’autostrada segnato dai provvidenziali catarifrangenti del guardrail.
Un vero incubo che durò quasi un’ora , lento come una lumaca con famigliola al seguito, percorsi i circa sessanta chilometri d’autostrada praticamente alla cieca, cercando soccorso nei fanalini di coda di qualche provvidenziale utilitaria che mi precedeva, almeno fino a quando questa , considerata la mia velocità da crociera , non si allontanava all’orizzonte .
Quando il casello di Tagliacozzo, miracolosamente intravisto dopo la lunga galleria , mi condusse all’uscita dell’autostrada la situazione, già di per sé drammatica, si fece addirittura tragica. Alle 11 di sera il traffico era decisamente scarso se non inesistente, sui fari misericordiosi di qualche auto che illuminasse la mia via e mi guidasse lungo l’interminabile nastro bianco al centro della contorta strada di montagna non potevo certo contare, di strada da fare ce n’era ancora parecchia e gli ultimi chilometri sarebbero stati a dir poco infernali. Non potevo certo tornare indietro , così pagai il dazio al casellante, ripresi fiato e , ingranata la prima, ripresi la mia angosciante marcia verso la Marsica rischiando ad ogni curva di finire fuori strada. Il fetore a bordo si era fatto insopportabile, le mani sul volante si erano trasformate in saponette , e a dare il definitivo colpo di grazia ai miei nervi già scossi avevano provveduto i tortuosi tornanti di Tagliacozzo . Ma ormai il più era fatto e quando vidi confusamente di fronte a me le palizzate del circolo ippico e le luci delle case della Piccola Svizzera capii che con un ultimo sforzo sarei riuscito a raggiungere incolume la meta.
A preoccuparsi di peggiorare il quadro generale e rincarare la mia dose di paura e trepidazione ci pensarono poi i misteriosi rumorini che provenivano dal motore al limite dell’ìngolfamento provato com’era da una lunga marcia tra terza e quarta e le inquietanti vibrazioni della carrozzeria prossima al tracollo, sembrava di stare in una lavatrice nella fase della centrifuga.
Raggiunsi Putrella Liri , da lì sarebbe stato uno scherzo – pensai - superai Fonte Nina , percorsi ancora qualche curva e finalmente intuii il largo gomito che serpeggiando lungo gli ultimi metri portava sul piazzale di Pagliaterra, parcheggiai, spensi le luci del cruscotto e la Citroen, distesi i nervi , s’addormentò esausta.
L’indomani – questa volta di giorno – dopo una notte insonne spesa a cercare di mantenere in carica le batterie di mia madre a forza di palate d’acqua e zucchero – crisi ipoglicemica – la caricai di peso in macchina insieme alla carrozzella che mi demolì il sedile posteriore e me ne tornai a Roma per scaricarla al Pertini dove, ovviamente, non c’erano posti letto disponibili per il ricovero .
M’armai di santa pazienza ed attesi pazientemente insieme a lei le canoniche sette ore cui avevo ormai fatto l’abitudine, poi , finalmente, trovarono un buco alla Nuova Hitor , lei finì in un letto d’ospedale per le cure del caso, io, dopo aver sgombrato la scrivania d’agenzia , in una casa in affitto sul mar Tirreno a litigare con mia moglie e a liberarmi delle tossine accumulate durante quel viaggio allucinante .
Ma ora fate un ultimo sforzo, seguite questo insolito viandante, abituato ad un incessante dialogo con sé stesso , nelle ultime tappe di questo lungo cammino che , attraverso l’ultimo lustro del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle , lo condurrà all’alba del nuovo millennio. Pregi e difetti, vizi e vanità della nuova classe dirigente italiana dopo un ricambio a dir poco epocale , i protagonisti principali e le figurine di contorno nello spassoso teatrino della politica , intrighi, trame e tradimenti per arrivare al potere , un reportage feroce e, mi auguro, divertente attraverso l’illusoria metamorfosi del paese di Pulcinella.
In questa lunga cavalcata siamo ormai arrivati ad un passo dal nostro vissuto quotidiano, gli ultimi anni del ventesimo secolo sono dietro l’angolo e rincorrere eventi tanto vicini diventa difficile , il traffico di memorie e riflessioni tra le arterie del cervello rischierebbe la paralisi, aspettiamo che il tempo diluisca i ricordi e nel frattempo limitiamoci ad osservarne gli aspetti salienti.